E’ solo il 1958 quando il “tradizionalista” Julius Evola pubblica “Metafisica del sesso”. Ma, sotto il fascismo, sui fogli di regime, le sue posizioni al riguardo, tutt’altro che moraliste, hanno già trovato ampio spazio e ben si inseriscono nella discussione dell’epoca su ruolo della donna e morale sessuale.
E, nel chiarire i termini della questione, il “Barone nero”, studioso delle tradizioni religiose, iniziatiche e misteriche dell’antichità, esordisce significativamente così: «L’amore che può interessare la nostra ricerca è essenzialmente l’amore-passione – ed è, in fondo, questo soltanto a meritare il nome di amore».
«Nell’amore – continua – possono aver parte affinità ideali, devozione e affetto, spirito di sacrificio, manifestazioni elevate del sentimento; ma tutto questo rappresenta, dal punto di vista esistenziale, qualcosa di “altro”, o qualcosa di incompleto, se per controparte non si ha quell’attrazione che si suol chiamare “fisica”, la cui conseguenza è il congiungersi dei corpi e il trauma dell’amplesso».
Del resto, già il fatto stesso che Evola parli di una “metafisica” del sesso, «come possibilità di una esperienza non soltanto fisica, come esperienza transpsicologica e transfisiologica», chiarisce una visione dell’Eros che se non è appunto intesa come esperienza in sé “immorale”, non è neppure considerata per il suo carattere meramente biologico-fisico. Una “terza via” erotica appunto.
Non intendendo in questa sede approfondire la funzione strettamente “iniziatica” sulla quale pur si concentra il testo in questione, ci limiteremo dunque a trarne alcune considerazioni di ordine più generale utili ad inquadrare la questione.
Così, in primo luogo abbiamo una concezione di derivazione “psicanalitica” che riconduce il sesso ad una questione fondamentalmente “materiale” connessa alle pulsioni elementari dell’uomo e che sta alla base dei tratti fondamentali della personalità e del comportamento. È ovvio che, al di là di ogni altra speculazione e delle parziali verità, la prospettiva appunto materialista, finisce per porre in maniera nichilista l’accento sulla ricerca del piacere fisico, se non altro come reazione ad un bisogno da placare.
Si tratta essenzialmente della visione contemporanea di base del sesso nella società occidentale, di cui Evola tra l’altro sottolinea il carattere essenzialmente psichico, più che strettamente fisico (il sesso non è mai un bisogno specificamente fisico, osserva).
Quanto a questa concezione, «l’amore fisico – spiega Evola – […] fa parte integrante dell’amore-passione. Preso in sé, rappresenta il limite inferiore di quest’ultimo; ma ne conserva pur sempre la natura».
È per questo che, in riferimento ad una considerazione essenzialmente fisica, limitata all’atto in sé, che quasi nega quell’irrazionalità dell’amplesso che proporzionalmente aumenta il piacere stesso, si fa riferimento a «dissociazioni» e «razionalizzazioni» dell’amore fisico, poiché «nella “normalità” dell’eros non vi è l’ “idea” del piacere come motivo determinante, ma vi è l’impulso che, destato in date circostanze dalla polarità sessuale in quanto tale, provoca da sé uno stato di ebbrezza fino alla crisi del “piacere” nel congiungimento dei corpi e del piacere».
In secondo luogo abbiamo il mito schopenhaueriano del “genio della specie”, che non a caso ha le stesse radici culturali della successiva ideologia evoluzionista e pone all’origine del sesso l’impulso innato alla conservazione della specie ed ha anch’esso ovvie radici materialiste.
Qui Evola sottolinea, innanzitutto, l’assenza dalla sfera cosciente dell’uomo la connessione diretta tra impulso erotico e volontà di riproduzione, non solo per le innumerevoli “sublimazioni” che l’esperienza stessa prevede – innaturali, irrazionali e illogici rispetto alla finalità – ma anche perché, anche qualora l’eventualità della riproduzione non venga esclusa o venga addirittura ricercata, essa non costituisce comunque che una consapevolezza razionale, indipendente dall’esperienza erotica e, tra l’altro, addirittura assente in alcune popolazioni primitive.
Quanto alle pretese “scientiste” per cui si tratterebbe di un desiderio inconscio, di un impulso innato, Evola obietta citando Vladimir Solovieff: «Molti organismi sia del regno vegetale che animale si moltiplicano in modo asessuale; il fatto sessuale interviene non nel moltiplicarsi degli organismi in genere, ma di quelli superiori». Di più: «amore sessuale e moltiplicazione della specie si trovano in rapporto inverso: quanto più l’uno dei due elementi è forte, tanto più l’altro è debole». «La passione sessuale – prosegue facendo parlare questa volta André Joussain – comporta quasi sempre una deviazione dall’istinto…in altri termini, in essa, di fatto, il riprodursi della specie è quasi sempre evitato».
Ciò che rivendica con forza Evola, insomma, è l’assoluta indipendenza dell’impulso erotico rispetto a qualsiasi istinto meramente biologico o di derivazione psichica. Una concezione che, naturalmente, finisce per andare contro anche all’idea “religiosa” dell’Eros: meno da quella strettamente semitica (ebraica e islamica), in cui l’aristocratico romano ritrova perlomeno una sacralizzazione che innalza il sesso nella sua funzione genesiaca e in ambito matrimoniale, molto di più nell’idea (archeo?) cristiana per cui il sesso ha funzione eminentemente riproduttiva ed in quanto tale si configura come una sorta di “male necessario”, da praticare esclusivamente in relazione alla fecondazione per non incorrere nel peccato carnale.
«Sarebbe bene per l’uomo non toccare donna. Ma a causa delle fornicazioni, che ogni uomo abbia la sua moglie e ogni donna il suo marito» (I Cor., VII, 1-2,9). Una posizione riduttiva dell’esperienza erotica che si rifletterebbe, secondo Evola, nell’ibridismo dell’istituzione cristiana – peraltro non originaria – del matrimonio e che, sebbene si sia oggi adeguata ai tempi e necessiterebbe comunque di un approfondimento a parte, rimane come dato morale di fondo.
Messo in chiaro quello che non è l’Eros (atto peccaminoso, «finalismo biologico», «impulso genesiaco», piacere fine a sé stesso) e la prospettiva d’osservazione, occorrerebbe ora indagarne la natura.
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