Milano. A pochi metri dalla stazione metro di Porta Genova i lavori di rifacimento del manto stradale in vista dell’Expo procedono senza lasciar scampo alle attività che animano la zona, costretta a settimane e mesi di brutte recinzioni, scavi e polvere. Lavori auspicabili, per carità. Non altrettanto i tempi lenti e incerti, i cantieri che sorgono da un giorno all’altro senza informazioni precise, la chiusura della strada annunciata con un foglio A4 su un portone. I ricavi sono più che dimezzati ma, se un tavolino è fuori posto, con la concessione del suolo pubblica totalmente o parzialmente sospesa, incombe comunque la minaccia di migliaia di euro di multa o di chiusura temporanea del locale. Burocrazia contro lavoro. Come sempre.
Milano. A pochi metri, all’ interno della stazione, in pieno giorno, è l’invasione sfacciata di ambulanti stranieri che vendono di tutto e di più. Indisturbati. Faranno fattura? Avranno un permesso? Avranno le licenze in regola? Ed i prodotti lo saranno? Ad occhio e croce non si direbbe proprio. Ma la ragione, si sa, è dei fessi e le regole solo per gli italiani.
Stazioni ferroviarie, strade, metropolitane, treni: nell’epoca della lotta all’evasione e dell’intransigenza contro l’abusivismo, in cui se scarichi musica poi devi confessarti dal prete, gli stranieri sono invece liberi di fare quello che gli pare.
Milano. Una capo rom in un video picchia i mendicanti che non hanno raccolto abbastanza soldi.
Milano. I centri sociali giocano il gioco delle occupazioni, con tanto di sfilata di moda. Loro possono.
Milano. Il Leoncavallo trasloca in Vaticano e fa visita a Papa Francesco, che non ha tempo per lefebvriani e tradizionalisti ma adora i radical (più o meno chic).
Milano. La Lega a trazione lepenista di Matteo Salvini, insieme a CasaPound, in piazza Duomo, grida “Stop invasione”. Nazionalisti e indipendentisti, insieme, in un nuovo fronte che qualche cronista di sinistra, non a torto, ha ben collocato nella sua potenziale prorompenza elettorale.
Riprendersi tutto. Stop ai soprusi. Basta burocrazia. Basta benpensanti. Voce alla cosiddetta “pancia” degli italiani, stanca di ingoiare rospi e sentirsi rimbrottare dai telegiornali e talk show, trattati come scolaretti da educare e civilizzare.
Ignoranti? Razzisti? Fascisti? Incoerenti? Volgari? Un enorme “sticazzi” di rimando campeggia invisibile su piazza Duomo, a sfidare i buoni che ci hanno ridotto a sopportare di tutto. Uniti contro l’ipocrisia, i salotti, i “buoni sentimenti” e la carità pelosa.
Le tartarughe frecciate sfilano per Milano in duemila. Bandiere dell’Ue sbarrate, lo slogan “Prima gli italiani!” che fa da avanguardia, il servizio d’ordine ostenta “forza tranquilla”. “Da Bolzano a Palermo”, intonano, circondati da bandiere verdi ed accolti dagli applausi della piazza. Borghezio li saluta uno per uno. Tanti vengono dal sud. Ma anche tra i leghisti, in verità, più d’uno tradisce un accento poco padano. La maggior parte di loro, ormai, ha capito che in gioco c’è altro. I quartieri. La giustizia sociale. La guerra tra poveri, con gli ultimi del mondo, incattiviti da situazioni sociali esplosive che il nostro paese non può risolvere certo con la retorica delle frontiere aperte.
Insieme in nome delle priorità.
Milano. Il contro corteo dei centri sociali, antifascista e pro immigrazione, fallisce miseramente. Si uniscono a loro anche i grillini lombardi, sordi evidentemente ai diktat di Grillo contro l’immigrazione ed alla sbandierata non-ideologizzazione del movimento. Lontani i tempi in cui l’antifascismo non interessava, oggi si tenta il furto di elettorato ai danni del Pd, per cui annoverare Berlinguer tra i santi da adorare può far comodo. Ma il M5S ci ha provato anche alle europee, perdendo tanti voti di “destra”.
L’errore si ripete a Milano: poche decine di persone contro i centomila di piazza Duomo.
Non un traguardo ma un punto di partenza, un percorso pieno d’ostacoli. A cominciare dal progetto della Lega dei popoli, in cui rischiano di confluire trombati d’ogni estrazione; alla Lega stessa che rischia di implodere nelle contraddizioni; alle alleanze che rischiano di riflettere giochi di potere anziché contenuti politici veri, penalizzando in questo caso proprio una realtà come CasaPound.
Milano. Nelle sale cinematografiche esce “Io sto con la sposa”, pellicola che nasce proprio nel capoluogo lombardo. Una docu-fiction che racconta la storia di alcuni clandestini richiedenti asilo che un giornalista italiano ed un poeta siriano conducono senza documenti fino in Svezia. Il film riscuote applausi e successo alla Mostra del Cinema di Venezia. Trova online i fondi per esser prodotto: arrivano da ogni parte del mondo. Le recensioni sono entusiastiche. “Una favola di disobbedienza civile”. I protagonisti, palestinesi e siriani in fuga, non possono che suscitare vicinanza umana.
Ma delle loro parole, nonostante la retorica internazionalista, rimane soprattutto la profonda nostalgia per la propria terra ed il sentimento d’appartenenza ad una stirpe, ad una nazione, ad un popolo. La finta sposa che scappa dalla guerra vive nel rimpianto dell’abbandono. La pellicola, attraverso le parole dei protagonisti, rivendica: “il cielo è di tutti. No alle frontiere”. E si scaglia contro l’aridità burocratica dell’Europa che chiude le porte ai disperati (“cornuti e mazziati!”). Ma l’apolide che, dopo anni, ottiene la cittadinanza italiana, si commuove: per la prima volta sente di appartenere ad uno Stato e ne coglie il valore. Da Milano fino in Svezia per inseguire un modello di civiltà, uno Stato che garantisce l’asilo a tutti coloro che scappano dalla guerra. Ma, infine, soltanto in due restano in Svezia. Gli altri scelgono di ritornare o vengono respinti. Il superamento delle frontiere da Milano a Stoccolma non si rivela poi così arduo. Pochi controlli. Con qualche accortezza il peggio è la tensione dovuta al rischio.
“Il cielo è di tutti, no alle frontiere”. Ma il sedicenne palestinese che fugge, si rivela soltanto un palestinese sradicato che infatti urla “fanculo la società” nel suo rap arabo-occidentale che rimanda all’incubo delle banlieue parigine. Una società non è una comunità: manca l’appartenenza, una tradizione comune, il vincolo solidale.
Ed il fascino in fondo immortale di quelle maledette frontiere che, in fondo, rappresentano plasticamente la continuità della stirpe, l’essenza di uno Stato. Quelle frontiere che proprio la Palestina ci insegna a rispettare, tracciate come sono dal sangue di chi combatte per rivendicarle.
Nel giorno in cui scrivo è 4 novembre, festa delle Forze Armate. Nel 1918, in questa stessa data, l’Impero Austro-ungarico si arrendeva all’Italia. A ridisegnare le nostre frontiere, dunque, l’estremo sacrificio, le sofferenze ed il coraggio dei combattenti italiani del primo conflitto mondiale, che restituirono così all’Italia Trento e Trieste.
Milano. C’è la Borsa e lo spread. Milano. Pisapia trascrive le unioni gay. Milano. Ci sono i soldi dell’Expo. Milano. Qui, come a Roma, nessuno ha più tempo di reagire ad un’invasione, di difendere le frontiere.
Emmanuel Raffaele, “Il Borghese”, dicembre 2014