«Nelle periferie, si sa, non ci stanno gli editorialisti».
Difficile riassumere meglio l’atteggiamento snob e perbenista dei giornali nei confronti della manifestazione «fascioleghista» di piazza del Popolo a Roma. Pietrangelo Buttafuoco, su «Il Fatto Quotidiano», nel «day after», giornalisticamente accerchiato, l’ha fatto. A pagina due di una testata che, in prima titola, sprezzante e sfottente, «La marcetta su Roma», facendo ben attenzione a non sprecare l’occasione di incollare un bel ritaglio con foto del Duce sulla piazza di Salvini, appena sotto un sommario che è tutto un programma: «La Lega presenta il suo programma per cacciare il governo: insulti, libertà di sparare e croci celtiche». La morte del giornalismo in una sola prima pagina: esprimere la propria opinione in un editoriale è legittimo, non è legittimo farlo senza raccontare anche i fatti.
Sul programma della Lega in salsa lepenista nulla. Si preferisce, invece, raccontare la giornata riferendosi ad una Roma invasa di croci celtiche (nonostante se ne siano avvistate al massimo un paio) e di gente che invoca a casaccio la «libertà di sparare» (vedi «caso Stacchio» per comprendere il lato oscuro del giornalismo: la verità). Deontologia professionale in morte cerebrale, tra diffamazioni ed informazione scorretta, ecco come una penna può diventare pericolosa e criminale.
«I giornali perbene (tra cui il Fatto magari) – e già ieri i loro siti internet strillavano allarmati – si concentreranno», scriveva d’altronde Buttafuoco, «sul solitario cartello dove c’è il Duce che dice a Salvini, “ti stavo aspettando”. Alzeranno il ditino sulla presenza di CasaPound, che slurp!, è per i potentati la risulta di ogni ghiottoneria possibile». E così è stato.
Su sette testate nazionali («Corriere della Sera», «Repubblica», «Il Fatto Quotidiano» , «ll Sole 24 Ore», «Il Giornale», «Libero» ed «Il Manifesto»), l’han fatto in cinque, decisamente schierate contro, una si è sforzata di essere neutrale («ll Giornale») e soltanto «Libero», ha avuto un atteggiamento che possiamo definire favorevole.
E le stupidaggini non si contano: roba da giornalino scolastico.
L’esaltante superamento delle ideologie tipico del grillismo, che sul «Fatto» non ha mai sfigurato, diventa allarmante «cocktail postideologico». E se Salvini si oppone alle guerre americane, niente complimenti per chi «si improvvisa pacifista». «La destra italiana è tutta pancia. E parolacce». Aggiungiamolo sulla lavagna, nella lista dei cattivi. E diciamolo alla maestra.
L’eterno moralismo su cui poggia l’antifascismo.
E che non teme, peraltro, l’incoerenza, tanto che, nella stessa pagina, CasaPound è prima disposta «militarmente» e subito dopo in «cravatta e doppiopetto».
Quanto alla proposta di Salvini, l’ex direttore Antonio Padellaro, nel suo editoriale, non si sforza di citarla, ma è certo di dover riferire della sua «inconsistenza» ai lettori. Quanno ce vò ce vò.
A tratti comico il «Corrierone», che proprio non riesce a sottrarsi allo stereotipo del giornale borghese e che titola: «In una Roma blindata insulti al premier dal palco». Peraltro, perché blindata? Salvini è pericoloso? O forse qualcuno voleva impedirgli di manifestare? Quisquiglie.
Conta molto di più il fatto che, oltre le parolacce, Salvini insulti (pare non faccia altro) l’osannato Renzi. Insolente.
«Il turpiloquio come politica» sentenzia in prima un cazzilloso Aldo Cazzullo: «ancora più fastidioso» di Grillo. Addirittura. Torna infatti in auge il «vaffa day», termine che aveva finito per oscurare furbescamente ogni proposta politica del M5S. «Il suo tono, anche quando vorrebbe essere ironico, è greve, bieco, vagamente minaccioso». Novello Hannibal, Salvini infesta i sogni di Cazzullo, che non si spiega come sia possibile non voler alleati e pretendere comunque di vincere: non riesce proprio a sfuggire alla logica degli inciuci di palazzo e quasi dimentica il voto. Dettagli.
Mentre Marco Cremonese, a pagina undici, non può fare a meno di ammettere: «la «discesa» nella capitale di Matteo Salvini è un fatto politico con cui fare i conti, la nascita di un vero populismo italiano». «Il mai visto, ieri si è visto».
Ci pensa Fabrizio Roncone a restituire la testata alla sua tradizione di stereotipi tragicomici: «Ray-Ban a specchio e giubbotti neri, e poi barbe alla Italo Balbo e muscoli tesi, sguardi tesi al sole del pomeriggio. Slogan duri e drappi con le croci celtiche». Questo l’intro del pezzo sulla presenza di CasaPound in piazza. «Alcuni tengono uno striscione con la foto di Mussolini», azzarda più avanti. Peccato che a portare quel cartello sia un leghista, rigorosamente tagliato nei copia e incolla dei giornali. Per Roncone, il capo di CasaPound ha «l’aspetto temibile del Mangiafuoco» e la manifestazione è «volgare». Possibilmente con la erre moscia. Contenuti e coerenza, voto 4: ve lo immaginate come doveva essere chic il movimento operaio?! Andiamo avanti.
Inevitabile, quasi scontato, anche «Repubblica» non riesce a riassumere meglio di così la manifestazione: «Lega a Roma tra croci celtiche e foto del Duce». Ed il «camaleonte verdenero» ce lo racconta niente meno che Gad Lerner: «Salvini porta in piazza il popolo fascio-leghista tra vaffa e croci celtiche» è il titolo. E, sotto, nell’ordine, due croci celtiche due, una foto del Duce, la Le Pen ed un militante di Alba Dorata. Lerner confessa: il consenso della base per il cambio di rotta di Salvini è massimo. E compie un’analisi sulla fine della questione settentrionale, sull’offerta politica che «ormai è uguale a tutte le latitudini» e sulla parola d’ordine che suggella il patto: «Prima gli italiani!». Lucido, analitico, Lerner fa la sua parte e la sua parte non ci piace ma, perlomeno, prova a farlo senza banalità. Il giudizio avrebbe potuto essere migliore se ci avesse risparmiato la chiusura: «Sottovalutane il pericolo equivarrebbe a ignorare la storia d’Italia». C’eri quasi.
«ll Sole 24 Ore» è trasparente. In prima titola: «Salvini in piazza a Roma con Casa Pound: «Renzi servo dell’Europa». Nell’occhiello: «Attacchi all’establishment». Applausi. Quanto meno per aver ricordato chi sta con chi, seppur anche il sobrio giornale di Confindustria si abbandoni all’apocalittica evocazione del pericolo nero appena gli capita l’occasione: «inquietanti saluti nazi-fascisti, croci celtiche e foto di Benito Mussolini», nel pezzo firmato da Emilia Patta, mentre Paolo Pombeni stigmatizza l’importanza data alla sovranità (monetaria nella fattispecie),criticando promesse di ripresa mai fatte da nessuno e definendo quelli di CasaPound «neofascisti da fumetto». Insulti che però non fanno notizia.
Ironico come al solito «il Manifesto»: «Salvini chi può» è il titolo principale. Nella foto di prima pagina, tricolori e ragazzi di CasaPound, anche se non mancano nel sommario le solite croci celtiche. Prezzemolo ogni minestra.
«La piazza romana, osata per la prima volta dalla Lega, è quasi completamente piena. Metà di leghisti di vecchio e nuovo conio, metà neo fascisti con un nuovo emblema: “Sovranità”», scrive Andrea Fabozzi. Qui la foto del Duce diventa una gigantografia, ma il servizio non manca di obiettività. Il servizio sul contro corteo, ovviamente, è amore puro.
Anche «Il Giornale» si riscopre baluardo di perbenismo e, nel testo di Francesco Cramer, c’è addirittura spazio per una rapida descrizione dei fascisti a base di «anfibi e bomber». Per bocca di chi parlino è chiaro dalle parole di Adalberto Signore: «Salvini dovrà prima o poi fare i conti con quel centrodestra che non si riconosce in Marine Le Pen e CasaPound». Più o meno le stesse dichiarazioni dell’ex premier Berlusconi, un altro che si riscopre schifato dalle alleanze in odor di fascismo, dopo aver per anni fatto l’occhiolino ai vari Forza Nuova, Alternativa Sociale, Fiamma e compagnia bella, sostenendone diverse candidature. Gli stessi, peraltro, che ora accusano CasaPound di essere passata col «sistema» in seguito all’alleanza con la Lega e promettono di voler fondare un nuovo Movimento Sociale (viva la fantasia) in funzione anti-CasaPound ed anti-Lega.
Neanche loro hanno fatto sapere esattamente cosa del programma salviniano non gli vada a genio, né quali passaggi lo collocherebbero all’interno del sistema. Salvini non vuole allearsi con chi sta nel Ppe ed ha un programma che parla di nazionalizzazioni, no euro e frontiere chiuse. Dal sistema ancora nessun ringraziamento. Dalla stampa neanche. Zero Zero Sette: agente in incognito.
Infine, c’è «Libero», che occupa metà prima pagina con una foto del leader leghista a braccia aperte, sorridente, in un tripudio di bandiere che fa da sfondo ed un titolo che campeggia sul cielo terso di Roma: «Ecco il piano di Salvini per prendersi il centrodestra». Nel sommario: «Il comizio di Roma è stato un successo». Nel pezzo del direttore Maurizio Belpietro un passaggio importante: «il numero uno del Carroccio non ha alcuna intenzione di rifare le alleanze che portarono il centrodestra a vincere parecchie elezioni». «Matteo vuol creare il Partito unico di destra» è il titolo in terza pagina di un editoriale che, comunque, non rinuncia a far le pulci a Salvini, reo di usare «toni un po’ troppo forti» per convincere i moderati. Il pulpito è lo stesso che, dopo l’uccisione di Bin Laden, titolò a caratteri cubitali, «Un assassino in meno». Che indirizzò alla Germania un «VaffanMerkel» in prima pagina. Che sentenziò in apertura: «Giudici a puttane». Che piazzò la foto dei terroristi in azione contro Charlie Hebdo e urlò: «Questo è l’Islam», «i mussulmani ci odiano». Ma, d’altra parte, non si può avere tutto. Apprezziamo, se non altro, la mancanza complessiva di puzza sotto il naso di una testata il cui caporedattore Francesco Borgonovo, autore di un pezzo su CasaPound da incorniciare, ha presenziato, insieme all’ex direttore Vittorio Feltri, alla presentazione di Sovranità, il nuovo incubo dei giornali moderati. Chapeau.
Molto bello questo articolo, hai analizzato i fatti con distacco oggettivo.