“L’atto d’amore della madre di Piola: una maglia Azzurra per raccontare la festa della mamma”.
Ai responsabili della comunicazione della Federazione Italiana Giuoco Calcio la cosa deve esser sembrata del tutto innocente, quale del resto è. Eppure, grazie al consueto scandalo “social”, tanti giornali (“Repubblica” e “Corriere” in primis) hanno addirittura parlato di “bufera sulla Figc” e, come in un congegno appositamente progettato, le pressioni sull’organizzazione sono così diventate una faccenda seria fino a chiedere la rimozione del post pubblicato sul sito ufficiale. Nel mirino – udite, udite – la maglia azzurra indossata dal calciatore Silvio Piola, in occasione del suo esordio con la Nazionale il 24 marzo del 1935, a Vienna, contro l’Austria.
Era stata, infatti, proprio Emilia Cavanna, madre del grande centravanti scomparso poco più di dieci anni fa, a cucire la frase commemorativa che oggi spicca su quella maglia: “Vienna. 24 marzo 1935. Austria 0 Italia 2. Piola ha segnato entrambi i goal. Prima partita di Piola in Nazionale”. Cosa ci avranno trovato di scandaloso i social? Nella frase, naturalmente, nulla ma – notare la data – in quel periodo al governo in Italia c’era Benito Mussolini ed, accanto al tricolore, tra i simboli della patria, c’erano anche il simbolo di casa Savoia e – in onore del Pnf – il fascio littorio, che infatti compare anche sulla divisa degli azzurri utilizzata in quella partita. Una circostanza storica, semplicemente un fatto, che nulla ha di propagandistico nella sua rievocazione, peraltro perfettamente contestualizzata volendo celebrare la figura della “mamma” in un ambito che è quello calcistico. Ma per ‘il popolo del web’, o meglio, per la minoranza rumorosa del web, quel post della Figc è “inaccettabile” e “inopportuno”, perché “il fascismo è reato”. “Un infortunio grave”, del resto, anche secondo l’Osservatorio sulle nuove destre.
Commenti di per sé insignificanti, su cui hanno però marciato le testate in questione per montare il caso su un post che, già dal titolo, non lascia spazi a dubbi di sorta e che racconta, in realtà, un retroscena oltre modo curioso. Dopo le due reti infilate ai padroni di casa austriaci, infatti, è proprio Piola, schierato in campo a sorpresa dall’allora commissario tecnico Vittorio Pozzo, a chiedere all’allenatore di portarsi a casa la maglia per donarla alla madre. Benché inusuale, Pozzo glielo concede e così, ora, quella maglia è esposta al Museo del Calcio di Coverciano, dopo esser stata ritrovata dopo la morte di Silvio Piola, dalla figlia Paola. Una storia che, più di ogni altra celebrazione melensa e banale, riesce a far sorridere mettendo insieme lo sport nazionale per eccellenza in uno dei suoi momenti più fortunati (sotto il regime fascista e la guida di Pozzo, la Nazionale italiana vinse ben due campionati mondiali di seguito, schierando anche giocatori oriundi: “Se possono morire per l’Italia, possono anche giocare per l’Italia”), il ricordo di un grande calciatore e, soprattutto, il significato più immediato e autentico della figura materna.
Ma per i censori della memoria, la storia in sé può essere propaganda: meglio chiudere i musei, bruciare i libri, cancellare le prove di un Paese che non è sempre stato così com’è. Per fortuna o purtroppo.