Immigrati e romani, personaggi di spicco e “presenze controverse” come CasaPound. Nel raccontare la presentazione del documentario “Piazza Vittorio” del regista americano Abel Ferrara, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, l’Ansa fa una giravolta intorno al nome di CasaPound. Eppure, all’interno del lavoro del talentuoso “italiano a New York”, sposato con un’italiana (Cristina) e che da tre anni vive proprio nel quartiere “multi-etnico” di dell’Esquilino, le parole del regista sono tutto sommato precise: “l’unico presidio culturale del quartiere Esquilino è Casapound“, spiega Ferrara, come segnala puntuale l’agenzia stampa adnkronos. “Repubblica”, del resto, sembra non accorgersene neanche.

“Una giornata surreale e neorealista” o, come racconta lo stesso Ferrara, una sorta di “diario”: ecco cos’è “Piazza Vittorio”, documentario che punta a dare voce ad un mondo, ad un “microcosmo” a tratti pittoresco, sicuramente difficile e certamente vario. Clochard, artisti, immigrati, negozianti e perfino politici: loro sono le voci “narranti” che testimoniano in presa diretta l’Esquilino. Del resto, aggiunge Ferrara, “io non vivo in Italia, non vivo neppure a Roma, vivo a Piazza Vittorio”. Non ama le generalizzazioni. “L’immigrazione è positiva solo se lo sei tu“, osserva. Nel 2016 è stato ospite proprio di CasaPound, occupazione di “destra” in via Napoleone III. Ma si meraviglia che l’immigrazione faccia così paura e per Trump ha parole dure: “con lui mio nonno sarebbe stato messo in prigione e rimandato in Italia con una barca”. La bipolarizzazione estrema del panorama politico americano si avverte tutta. Eppure sugli immigrati ammette: “La differenza è che mio nonno è emigrato dall’Italia in America a 19 anni, non aveva soldi né documenti ma c’era un lavoro ad aspettarlo“. Qui, invece, di lavori che aspettano ce ne sono pochi anche per gli italiani.