L’antifascismo non è “una cultura di pace”: chi non fa i conti con la Resistenza è complice dei violenti

“A Torino centri sociali contro CasaPound: 3 agenti feriti”. Questo il sommario in prima pagina ieri sul “Corriere della Sera“, sotto il titolo d’apertura. Subito dopo il concetto viene ribadito in maniera ancora più chiara: “scontri tra antagonisti e CasaPound“. Insomma, sembra proprio che le due fazioni se le diano date di santa ragione e, soprattutto, reciprocamente. Un modo come un altro per far capire che le colpe staranno sicuramente da entrambi i lati.

Bisogna pazientare qualche pagina per scoprire, nell’articolo che racconta più dettagliatamente i fatti, che in realtà non c’è stato nessuno scontro tra le due parti. Semmai, gli scontri sono stati tra gli “antagonisti” e la polizia, in seguito proprio al tentativo dell’estrema sinistra di assaltare l’hotel e i pacifici partecipanti all’incontro elettorale con Simone Di Stefano, candidato premier di CasaPound. Non è un modo diverso di anticipare la notizia: il titolo è completamente, deliberatamente e volutamente falso.

Del resto, il taglio dato alla notizia è quello della cronaca. L’articolo descrive freddamente i fatti, ma non trascura però di far notare che “qualcuno, nel frattempo, applaudiva e incoraggiava gli antifascisti mentre dal balcone assisteva alle proteste” e chiude stranamente così: “a Mantova la Procura ha chiesto il rinvio a a giudizio per nove persone accusate di ricostituzione del disciolto partito fascista“. Quasi sprezzante, d’altra parte, anche l’unico passaggio sul candidato delle “tartarughe frecciate”: “Simone Di Stefano ha liquidato così la manifestazione: ‘Sono solo quattro ragazzi imbecilli che con i fumogeni e la violenza vogliono imporre le loro idee’. Un’opinione, a giudicare dalla scelta terminologica, che sembrerebbe un po’ troppo riduttiva, superficiale, probabilmente ingenerosa secondo Simona Lorenzetti, che ha firmato il pezzo, concludendo non a caso, comunque, sul pericolo “fascista”.

Il pestaggio di Ursino da parte degli antifascisti

Lo scandalo, l’allarmismo e l’emergenza semplicemente non ci sono. Ci sarebbero state a parti inverse ovviamente. Se ne sarebbe parlato per mesi. Della sistematica violenza antifascista, documentata anche da una relazione dei servizi segreti, semplicemente non c’è traccia nel dibattito politico, al contrario: se si è stati capaci di parlare un’estate intera di un “lido fascista” per qualche slogan pacchiano, la violenza che si è ripetuta ancora in questi giorni in diverse città d’Italia, a distanza ravvicinata, con l’uso persino di bombe a chiodi, non sembra far salire l’allarme “squadrismo rosso”. La questione non acquista rilevanza politica e gli episodi vengono trattati proprio come fossero fatti di cronaca. A febbraio, come ha ben documentato “Il Primato Nazionale“, c’è stata un’aggressione antifascista ogni due giorni, a ridosso di una tornata elettorale nelle quali si preannuncia la crescita di CasaPound. L’ultimo, forse il più grave ed eclatante, quello accaduto a Palermo nei giorni scorsi, con il dirigente provinciale di Forza Nuova Massimiliano Ursino legato mani e piedi in pieno centro e pestato a sangue da cinque persone, fino a spaccargli la testa. Il tutto filmato e rivendicato da una rete antifascista decisa a segnare il proprio predominio con la violenza. Come per le chiavi inglesi degli anni Settanta, neanche questo episodio inquietante ha fatto aprire gli occhi alla sinistra istituzionale, che invece insiste col parlare di un di fatto inesistente pericolo fascista e la necessità di una prospettiva nuova.

A Monza, il 18 febbraio, è stato assaltato violentemente un gazebo leghista. A Bologna e Napoli, scontri e violenze per “protestare” contro i comizi di Cpi ed Fn. Il 13 febbraio, a Livorno, l’ex ministro Giorgia Meloni (FdI) viene presa a bottigliate mentre è in auto, sputata e le viene impedito di fatto di prender parola. A Piacenza, sempre nel corso di una manifestazione contro CasaPound, un carabinieri viene isolato e pestato mentre è a terra da decine di antifascisti. Sono solo gli ultimi episodi, basti pensare che solo a fine gennaio, in centro a Milano, era stato assaltato un banchetto di Fratelli d’Italia e picchiati i presenti, mentre una donna urinava sugli striscioni. Si potrebbe andare a ritroso senza mai fermarsi, passando per le bombe alle sedi di CasaPound a Firenze, prima ancora a Bologna ma anche ai più recenti assalti avvenuti a Milano contro i banchetti di Forza Nuova. Sempre tanti contro pochi, sempre armati, sempre violenti.

Laura Boldrini: “antifascismo è cultura di pace”

Ma le dichiarazioni della sinistra continuano su questo tono: “I violenti non usino l’antifascismo per giustificare le loro azioni, l’antifascismo è una cultura di pace”, ha dichiarato la Boldrini. Simili le parole del sindaco di Palermo Leoluca Orlando: “Il fascismo non si combatte con lo squadrismo, bensì con la cultura e la resistenza”. “Condanno questo episodio a maggior ragione perché considero inaccettabile la ripresa del neofascismo e dunque le idee di Forza Nuova. Ma il neofascismo si batte con la politica e con la democrazia non con la violenza”, ha commentato invece Emanuele Fiano del Pd, autore della legge contro i gadget “fascisti”. Mentre Stefano Fassina di Liberi e Uguali ha addirittura aggiunto: “Basta violenza e basta manifestazioni fasciste. Deve valere per tutti, senza deroghe, la nostra Costituzione”. Non meraviglia, dunque, che Anpi e Rifondazione Comunista abbiano risposto all’aggressione antifascista ancora più assurdamente: chiedendo al questore proprio di impedire il comizio di Roberto Fiore, leader di Fn. Pochi giorni prima del comizio a Torino, del resto, oltre alla caccia all’uomo annunciata dai centri sociali, l’Anpi aveva già ricordato la sua intolleranza nei confronti della libertà – anche quelle costituzionali, come il diritto di parola, ancor più da tutelare nel quadro dello svolgimento di elezioni politiche a cui CasaPound regolarmente partecipa – spiegando: “Siamo soddisfatti che CasaPound non abbia avuto a disposizione uno spazio pubblico, ma sia stata costretta a rintanarsi in un hotel privato”.

Un incontro promosso da Lue: anche qui il richiamo contraddittorio alla legalità

Condannare le violenze e relegarle alla cronaca di pochi teppisti che non rappresentano la sinistra o l’antifascismo non basta più. Non si può continuare a ripetere l’assurdità che l’antifascismo è una cultura di pace e, contemporaneamente, incitare alla Resistenza, come se la Resistenza non sia stato un fenomeno comunque violento, con documentati episodi di terrorismo, con l’omicidio di un filosofo come Giovanni Gentile, con il tentativo di far cadere l’Italia sotto il dominio di una dittatura comunista, come se non ci fossero state le foibe, le impiccagioni, le donne e i preti uccisi, come se la storia di una guerra civile non fosse mai esistita. Giusta o sbagliata, la lotta al fascismo non è stata uno scontro a viso aperto condotto contro uomini in divisa, ma anche e sostanzialmente l’uccisione sistematica dei civili fascisti o para-fascisti o amici dei fascisti o semplicemente di innocenti o nemici personali o politici, in un Paese allora totalmente fascistizzato. E’ stata una caccia all’uomo con modalità spesso terroristiche appunto. Non si può pulirsi la coscienza dicendo che “qualcuno ha sbagliato”, come si fa ancora oggi e come si è fatto negli anni Settanta. Se si rivendica la Resistenza, si rivendicano anche quelle violenze, che sono state sistematiche e parte fondamentale dell’antifascismo. Se la sinistra continua a tacere, a non prendere posizione su tutto questo e, soprattutto, a chiedere di mettere a tacere i fascisti (concetto che, peraltro, viene esteso a piacimento), incitando alla legalità a targhe alterne (dal momento che le manifestazioni di Fn e Cpi sono perfettamente legali ma ugualmente personaggi di rango istituzionale chiedono di vietarle) e raccontando ancora la bugia di un pericolo fascista che, di fatto, oggi è inesistente, è e sarà complice di queste violenze e del sangue che potrebbe scorrere.

Sergio Ramelli, studente ucciso a colpi di chiave inglese da un commando antifascista nel 1975

Come ha giustamente ricordato l’ex parlamentare, con un significativo passato “neofascista” alle spalle ed un fratello (Nanni) morto (o più probabilmente ucciso) in carcere, Marcello De Angelis. A proposito degli “anni di piombo“, infatti, ha ricordato: “si affermarono, dopo il ’72, i gruppi paramilitari che sfuggivano al controllo del Pci e che fecero della guerriglia urbana e del pestaggio con le chiavi inglesi la loro pratica quotidiana. Ma anche quei gruppi avrebbero avuto vita breve come in altre nazioni europee, anziché sfociare nella lotta armata, se non fosse stato per le connivenze e le protezioni di sponsor e fiancheggiatori istituzionali e “cattivi maestri”. LA LORO VIOLENZA ERA CELEBRATA, COPERTA, LEGITTIMATA, PROMOSSA, ISTIGATA da giornalisti, magistrati, teatranti, professori, sedicenti uomini di cultura, che dai comodi salotti e dai loro attici nei centri storici, costruivano la mistica dello sterminio dei portatori della Peste, del Fascismo sempre in agguato, della demonizzazione e disumanizzazione di chiunque indicassero come portatore del Male. Quelli che sprangavano, bruciavano sedi e case con ragazzi e bambini dentro, vessavano, mettevano alla gogna, umiliavano e infine uccidevano erano – allora come oggi – dei meri strumenti di quel Gioco di società al Massacro che veniva gestito e pilotato con le terga bene al caldo, godendo di una viziosa sensazione di potere”.

Quei cattivi maestri sono ancora lì, a giocare con un titolo sbagliato, con l’emergenza fascista, con la libertà di pensiero, di parola, di opinione. Invitando le istituzioni ad impedire manifestazioni legittime, di mettere a tacere i nemici politici, blaterando di legalità magari, per poi ignorarla quando conviene. E di fatto distinguendosi poco dai violenti che si lamentano se la polizia si mette (a volte) in mezzo alle loro azioni squadriste. Quei cattivi maestri hanno giacca e cravatta o un maglioncino stinto radical chic, ma è la loro cultura liberticida che fomenta, oggi come ieri, la violenza antifascista.

Per questo no, una condanna retorica e formale non basta ad impedire che ci scappi il morto.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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