
Tre giorni al voto in Spagna e, secondo i sondaggi, una delle poche certezze sembra essere, numericamente parlando, il ripetersi dello stallo che ha portato il Paese a tornare alle urne dopo appena sette mesi e un nulla di fatto da parte del presidente incaricato Pedro Sánchez (Partito Socialista).
PERCHE’ SI TORNA AL VOTO
Sette mesi senza un governo, dunque, ma ancora tanti interrogativi, dopo che già oltre un anno era trascorso con un governo di minoranza del tutto privo di mandato popolare.
Infatti, quello che guidava dal 2 giugno 2018 lo stesso Pedro Sanchez era un governo nato solo grazie ad un particolare meccanismo: ottenuta la sfiducia al governo Rajoy, in seguito a diversi casi di corruzione all’interno del Partito Popolare ed una mozione appoggiata da Podemos e diversi partiti regionalisti e nazionalisti (catalani inclusi), Sanchez aveva infatti ottenuto automaticamente l’incarico per formare un governo, seppur privo di maggioranza.

E’ solo ‘grazie’ alla bocciatura della legge di bilancio che, nello scorso febbraio, si apre una nuova crisi e vengono convocate nuove elezioni, proprio in seguito allo strappo deciso dai due partiti indipendentisti catalani Sinistra Repubblicana di Catalogna (ERC) e Partito Democratico Europeo Catalano (PDeCAT), soprattutto in seguito alla vicenda del mancato referendum per l’indipendenza catalana.
In questi sette mesi, dopo il no di Ciudadanos al Psoe e nonostante i numerosi tentativi del leader di Podemos Pablo Iglesias, non si è però riusciti a trovare l’accordo per formare un governo. Del resto, in sette mesi di trattative, tutto quello che era riuscito a concedere Sanchez alla sinistra di Podemos erano state una vicepresidenza simbolica e due ministeri minori (il Ministero dell’Infanzia e il Ministero del Turismo, dello Sport e della Casa, privo peraltro di competenze sulla questione abitativa).
Un po’ poco in cambio dell’appoggio di ben 42 parlamentari; tanto che Iglesias ha più volte ammesso di essere perfettamente consapevole che Sanchez preferirebbe senza dubbio governare col Pp e che, semmai potrà nascere un accordo con il Psoe per un governo di sinistra, sarà solo perché Sanchez vi sarà obbligato. Ed è proprio questo, dunque, che chiede Iglesias agli elettori di sinistra: un voto per aumentare la propria forza contrattuale e obbligare il Psoe ad un accordo.
COSA PUO’ SUCCEDERE: SONDAGGI E PROSPETTIVE
Tutto questo mentre i socialisti non escludono, invece, il “grande inciucio” con il Pp ed eventualmente Ciudadanos. Per raggiungere la maggioranza, infatti, sono necessari 176 deputati e, sulla base degli ultimi sondaggi, solo un governo di “coalizione” permetterebbe di superare la soglia necessaria. Tanto più che Podemos sembra destinato a perdere una decina di seggi. Le basi dell’accordo, del resto, sembrano quelle della coesione nazionale – in seguito all’esplosione della crisi catalana (con le dure condanne ai leader indipendentisti e le violente proteste in strada) – e la crisi economica da scongiurare.
Una tattica per nulla insolita per giustificare accordi simili.

A poco servirebbe, in questo caso, anche l’ulteriore successo a cui si prepara Vox, il partito di destra guidato da Santiago Abascal e contro il quale la stampa spagnola progressista ha costruito una campagna di terrore simile a quella contro l’ex Fronte Nazionale in Francia.
Accusato di razzismo (a causa delle sue posizioni contro l’immigrazione di massa e clandestina), di negare la violenza di genere (a causa delle sue critiche nei confronti di un certo femminismo radicale che sembra voler strumentalizzare politicamente una violenza che ovviamente condanna, chiedendo anzi pene più severe per stupratori e violenti), di voler incentivare l’uso delle armi (per aver giustificato chi spara per legittima difesa), di populismo (essendo contro la burocrazia europea e vicino al trumpismo dal punto di vista economico) e chi più ne ha più ne metta; Abascal, che aveva appena portato Vox in parlamento con 24 seggi (10,3%), sembrerebbe dover superare i trenta deputati e, secondo alcune fonti, raggiungerebbe addirittura i 46 seggi (13,7%), raddoppiando quindi la sua presenza al Congresso.
Un risultato che sarebbe un sorpasso comunque clamoroso rispetto a Podemos, che dagli attuali 42 deputati (14,3% ) dovrebbe passare a poco più di trenta (12,4%).

Quasi invariati, invece, sembrerebbero i seggi assegnati al Psoe, che attualmente ne possiede 123 (28,7%) e che dovrebbe perderne un paio (27,3%) (o guadagnarne un paio secondo altre fonti, che concordano comunque sulle tendenze generali). Non certo l’exploit in cui sperava Sánchez per giustificare la pretesa di pretendere appoggio in cambio di briciole come accaduto con Podemos.
Tornerebbe a crescere, invece, il Pp, che dai 66 seggi (16,7%) passerebbe ad averne 91 (21,2%).
Perderebbe disastrosamente, invece, Ciudadanos, che passerebbe da 57 (15,9%) a qualcosa come 14 seggi (8,3%) (circa venti secondo altri sondaggi già citati) seggi e, più che fare l’ago della bilancia, può solo sperare di mettersi in coda. Anche in caso di patto a tre, infatti, Cs potrebbe non essere decisivo per la maggioranza.
Mentre allo stato attuale sembrerebbe da escludere la possibilità di un accordo a destra, con Ppe e Ciudadanos insieme a Vox (come già accade, ad esempio, nella comunità autonoma dell’Andalusia).
Ma sarebbe questo, senza ombra di dubbio, lo scenario più sorprendente e impattante, con l’eventuale entrata a vario titolo di Vox nel governo, dopo il successo che sembra aver riscosso nel corso dell’unico dibattito a cinque previsto prima delle elezioni e svoltosi lunedì scorso in diretta su Rtve.
VOX E TUTTI GLI ALTRI: LE OPINIONI
Deciso a contrastare l’immigrazione irregolare e mettere prima gli spagnoli nell’accesso al welfare state, Abascal ha parlato di una riduzione corposa delle tasse e messa in sicurezza del sistema pensionistico da finanziare soprattutto con le risorse attualmente destinate alle autonomie e ai suoi “duplicati”.
Quanto alla Catalogna, Vox non sembra volersi però limitare all’applicazione dell’art. 155 della Costituzione per il “commissariamento” del governo autonomo, quanto attivarsi per mettere fuori legge i partiti indipendentisti e dichiarare lo stato d’eccezione.
C’è però da dire che la sua posizione fortemente centralista e ostile alle autonomie, in un contesto delicato come questo e in un Paese come la Spagna che vede nelle autonomie la risposta alla dittatura franchista, sembra un elemento pericolosamente incendiario più che risolutore. I richiami a un certo reazionarismo e a una certa retorica vecchio stile, del resto, sembrano parte integrante del background di Vox, che senza dubbio strizza l’occhio ai nostalgici.

C’è da dire che, quanto alla Catalogna, l’unico che ci va piano è però Iglesias, accusato proprio per questo di ambiguità sul tema.
Secondo Iglesias, fiero di definire la Spagna “una nazione di nazioni” (definizione usata anche da Sánchez in passato), la repressione non è la risposta, considerando esplicitamente e chiaramente quello che accade come un fatto politico e non (o quanto meno, non solo) giudiziario. C’è da dire, quanto al riferimento appena fatto, che la stessa Costituzione spagnola fa riferimento alle nazionalità e ai popoli della Spagna, gettando così le basi delle autonomie storiche e di quelle più recenti – a cui lo Stato, negli ultimi vent’anni, come hanno ricordato Rivera (Cs) e Abascal (Vox), ha continuato a cedere deleghe senza sosta.
Proprio il tema catalano, del resto, sembra influire molto sulle scelte dei votanti, sicuramente impressionati dalle scene di guerriglia provenienti da Barcellona e poco soddisfatti, probabilmente, dalle risposte di Sanchez, che alla domanda sulle misure concrete da prendere in merito, ha risposto con l’educazione civica nelle scuole e il dialogo.
Interessanti, poi, dal punto di vista economico e delle politiche sociali, le posizioni di un Iglesias in verità mai banale, che in breve propone di abbassare le tasse a lavoratori e ai redditi bassi e far pagare di più alle banche, recuperando anche quanto dovuto dalle grandi aziende con sedi nei paradisi fiscali.
Le quarte elezioni in quattro anni in Spagna si avvicinano, il Cup (Candidatura di Unità Popolare, partito/movimento della sinistra indipendentista catalana) e Mas Paìs (fondato dal fuoriuscito da Podemos Íñigo Errejón) – che sono la novità di queste elezioni – sono dati rispettivamente tra l’1-2% e il 3-4%, ma a decidere, quasi sicuramente, sarà il 20% che non risponde ai sondaggi o è ancora indeciso.
E le sorprese potrebbero non mancare.
Emmanuel Raffaele Maraziti