da buoni “pirati”, come sai, preferiamo dire “pane al pane, vino al vino”.
Ecco perché, quando sei sbarcato su Rivoluzione Romantica, ti avevo promesso “battaglia”.
Il dialogo è utile quando è aperto e schietto.
Perciò vorrei aggiungere qualche riflessione alle tue esposte ieri.
Non mi preoccupano i giudizi di merito sulla bontà di questo governo rispetto ai precedenti governi di centrodestra o di centrosinistra.
Io, personalmente, non ne sento la mancanza. Renzi è ancora al governo, seppur con un piede mezzo fuori. Prodi – non i Cinque Stelle – è tra i protagonisti principali della cessione di sovranità all’Ue, oltre che delle privatizzazioni del patrimonio pubblico. E Letta è l’alfiere di ulteriori cessioni, un Monti-bis in tutti i sensi.
Mentre D’Alema, l’unico che ultimamente ha ricordato il valore della sovranità come fondamento del primato della politica, lo ricordiamo comunque in comunione e leader di questo centrosinistra. Non è certo Marco Rizzo, per capirci.
Del centrodestra meglio non parlarne: Berlusconi è l’ombra di se stesso e il suo partito un ectoplasma, retto qua e là da signorotti locali.
Salvini è il suo più acerrimo nemico, però anche – inspiegabilmente – suo alleato.
E sembra perennemente in campagna elettorale.
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Quanto a Conte, certo ha traghettato il Movimento in acque nuove, facendogli cambiare identità, avvicinandosi forse al Pd sul fronte dell’Europa; ma non sminuisco per questo la sua statura umana e politica, la sua capacità di ricoprire il suo ruolo con una certa dignità.
Se in questi giorni il governo si è messo di traverso rispetto alla linea dei Paesi del nord sul Mes, è anche merito suo.
Potrò non essere d’accordo sulla sua visione complessiva, sullo sconfessare la linea dura rispetto all’immigrazione e tanto altro, ma il confronto con il centrosinistra lo vince a mani basse.
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Non sono neanche un nostalgico dei bei tempi passati: probabilmente ai tempi di Berlinguer, Moro e Almirante la politica era un’altra cosa perché l’informazione era un’altra cosa e lo scenario era un altro. Non esistevano i social e la politica era ancora imperniata sulle ideologie del Novecento. E comunque è sempre ingannevole il confronto col passato.
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Ma il motivo per cui ho sentito la necessità di dire la mia non riguarda affatto Conte e compagnia grillina che – ribadisco – non faccio oggetto di una difesa: come sai, tante cose mi separano da quanto hanno detto e fatto.
E’ che non sono così sicuro che l’ideologismo, contrapposto al post-ideologismo a cui hai fatto cenno, sia la soluzione ai nostri problemi. Nè che meno sovranità popolare sia meglio di più sovranità popolare.
E’ quanto hai affermato dicendo che “uno vale uno è sbagliato”.
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Ebbene, la governance europea e globale, che le élite continuano a proporci, è fondata esattamente sui principi da te elencati: il presunto merito accademico, il governo dei “competenti”.
Ma sono stati i competenti come Draghi a smantellare lo Stato italiano e su questo, peraltro, immagino tu sia anche d’accordo.
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Eppure, è su questa base che abbiamo ceduto loro le decisioni di politica economica (Draghi ha spiegato chiaramente che, a livello europeo, funzionerà col “pilota automatico”, senza cioè alcuna possibilità di intervento politico). Ma non solo abbiamo ceduto la nostra sovranità ai competenti, l’abbiamo ceduta a competenti liberisti. Ci siamo fatti convincere dai bocconiani neo-liberisti che, siccome avevano studiato, la loro ricetta fosse quella giusta.
Dimenticando che i tecnici devono fare i tecnici, ovvero offrire alla politica le loro competenze per mettere in campo gli strumenti per attuare le politiche decise dagli elettori e dai suoi rappresentanti.
Mi sembra che, almeno in linea di principio, sia questo il criterio alla base dello slogan “uno vale uno” e anche dei voti online, che tu comprensibilmente ridicolizzi ma che restano l’unica alternativa alle decisioni prese dalle caste partitiche che autoalimentano se stesse.
Abbiamo visto tutti le controindicazioni del metodo, l’influenzabilità dei votanti, certo.
E sono anche d’accordo sul fatto che il voto online non può prescindere da una linea politica stabile, che la politica non può essere delegata alla rete.
Ma non ritengo affatto ridicolo il fine ultimo.
D’altronde, quando tu parli di “una persona che dedica anni ed anni allo studio, alla propria crescita culturale e professionale”, potresti benissimo aver fatto il ritratto del nostro Presidente del Consiglio.
Ed anche su Grillo, l’idea che la sua linea fosse anti-scientifica è un po’ una leggenda dal momento che, nei suoi comizi di era grillina, la scienza è stata anzi oggetto di una esaltazione a volte inquietante; ricordo che fu tra i primi a parlare di stampanti 3D, tra le risate di Crozza e soci.
Quello che è sempre stato nel suo mirino, a volte giustamene e a volte meno, sono state piuttosto le incrostazioni di interessi legate ad un uso della scienza e della tecnologia a guida liberista.
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Anche in questo caso, non è una difesa della linea di Grillo o grillino, ma devo purtroppo dirti che il “post-ideologismo” grillino era stata l’unica bella novità nella politica italiana da decenni.
Differente dal post-ideologismo berlusconiano anni Novanta da talk show e di impronta conservatrice, il post-ideologismo grillino ci ha detto molto chiaramente: ideologicamente, siamo ad un punto di non ritorno, ci siamo impantanati per decenni in uno schematismo ideologico-politico che, anziché far nascere idee e soluzioni, le uccide.
Uno schematismo divisivo, fatto di etichette e non di contenuti.
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Ecco perché non sono d’accordo sul tuo “torniamo a votare per appartenenza ideologica e culturale” e sul “mi mancano le scelte dettate da un’ideologia”.
Non è solo una questione di definizioni.
Non amo il termine “ideologia” come complesso di proposte e soluzioni figlie di un complesso interpretativo-teorico fisso e che tende all’immutabilità, in alcuni casi suppostamente scientifico, che spesso ha indotto a non guardare in faccia la realtà, a metterci i paraocchi.
E’ questo schematismo che spesso ha condotto a non cercare soluzioni di compromesso, al di fuori delle etichette e ad un clima perenne da campagna elettorale, in cui l’avversario politico è sempre in errore e le divisioni ideologiche sono estremizzate fino al fanatismo.
Credo, invece, nei principi e nelle idee, che si possono declinare differentemente e progressivamente, in base al contesto e alle possibilità. Non per annullare le differenze, quindi, ma per depurarle dal pregiudizio di parte e di partito.
E credo che questo ideologismo malato abbia portato, ad esempio, alla confusione tra gli interessi dei lavoratori e questa sinistra.
E’ evidente che un ripensamento di certi paletti è indispensabile per capire le questioni oggi aperte nel campo della politica nazionale ed internazionale.
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Del resto, le principali ideologie hanno ragionato in maniera esclusiva, una mettendo alla base di tutto la libertà individuale, una la giustizia sociale ed una la nazione.
Ecco, non credo ci sia niente di peggio che assolutizzare queste priorità, anziché bilanciarle in una soluzione che punti all’equilibrio.
Una nazione, quindi, capace di pensarsi tale senza sciovinismi e capace di cercare la giustizia sociale senza comprimere la libertà individuale.
Credo che questo schema vada urgentemente superato ed è questo uno dei cardini del “Rivoluzione Romantica pensiero”.
Ecco perché, pur con le mie puntualizzazioni, la mia intenzione non è assolutamente quella di pormi in contrapposizione. Al contrario, sono perfettamente consapevole che le parole stesse siano spesso inutilmente divisive, mentre non lo sono i fatti. Proprio per questo ritengo piuttosto vitale, in questo momento, concentrarsi sulle questioni concrete e non su quelle astratte, come le ideologie ci hanno abituato a fare.
E che nuovi schieramenti semmai sorgano sulla base delle idee che diventano azioni, senza guardare al passato e senza commettere gli stessi errori. Il fanatismo, del resto, è stato figlio delle ideologie, che si sono così autodistrutte.
Ecco perché, pur con le mie puntualizzazioni, la mia intenzione non è assolutamente quella di pormi in contrapposizione. Al contrario, sono perfettamente consapevole che le parole stesse siano spesso inutilmente divisive, mentre non lo sono i fatti. Proprio per questo ritengo piuttosto vitale, in questo momento, concentrarsi sulle questioni concrete e non su quelle astratte, come le ideologie ci hanno abituato a fare.
E che nuovi schieramenti semmai sorgano sulla base delle idee che diventano azioni, senza guardare al passato e senza commettere gli stessi errori. Il fanatismo, del resto, è stato figlio delle ideologie, che si sono così autodistrutte.
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Emmanuel Raffaele Maraziti