
Ha fatto molto discutere questa settimana la notizia di Elon Musk che appoggia Alice Weidel di Alternative für Deutschland che, a sua volta, afferma appunto che Hitler era comunista.
Ma, come al solito, la sinistra ha preferito scandalizzarsi, invece di spiegare perché dietro questa frase c’è un fenomeno importante che sta coinvolgendo la destra radicale in contemporanea con l’avvento di Trump. Anche in passato, infatti, nei momenti geopoliticamente più delicati, gli Stati Uniti hanno appoggiato i movimenti di destra della propria sfera di influenza per ripristinare la propria egemonia economico-culturale. E, nel farlo, tendono sempre a favorire e guidare un processo di trasformazione della destra stessa, in senso reazionario e liberista.
Se i giornali di sinistra hanno quindi pensato bene di dedicarsi a un banale quanto ovvio fact checking, spiegando il perché, storicamente, Hitler non era comunista e come abbia anzi perseguito i comunisti, a me risulta invece più interessante far notare perché la leader della destra radicale tedesca dica che Hitler era comunista, mentre parla con l’uomo più ricco del pianeta che, a sua volta, la definisce l’unica salvezza per la Germania, ha finanziato e appoggiato la campagna presidenziale di Trump e flirta politicamente con Giorgia Meloni.
La Weidel ha infatti detto: “Hitler era comunista, perché nazionalizzò le imprese“.
Nella stessa intervista ha definito il suo partito libertario e conservatore e ha messo in primo piano la lotta alla burocrazia e allo statalismo.
E’ quindi evidente che qui il problema non è se Hitler era comunista, ma il fatto che siamo di fronte ad un attacco importante allo Stato sociale europeo, portato avanti dagli Usa fomentando i settori più conservatori della destra radicale, complice la volontà di servirsi di questo spazio elettorale per restaurare la propria egemonia ed implementare la propria agenda.
Si tratta di un fenomeno certamente di rilievo dal punto di vista politico-culturale, ma ancora più interessante nella prospettiva della destra radicale.
Infatti, a prescindere dal giudizio complessivo sul nazionalsocialismo e sul fascismo e sulla coerenza nel merito, almeno retoricamente e ideologicamente, si tratta di ideologie che effettivamente si avvalsero di una costante allusione al socialismo e alle politiche sociali, soprattutto nella fase iniziale e movimentista.
Nel primo Novecento, questa destra nata con il fascismo – un movimento incomprensibile senza la precedente militanza socialista di Mussolini -, venne imitata prima dal nazionalsocialismo tedesco poi, ad esempio, dalla falange spagnola.
Ma anche altrove, prima e dopo la seconda guerra mondiale, la destra radicale ha sempre fatto riferimento agli strati popolari e ad un immaginario anti-capitalista.
Non è un caso se, dopo la guerra, in Italia, questa area politica venne definita come destra sociale e se l’erede principale del fascismo fu appunto il Movimento Sociale Italiano.
Dalla sua ascesa, però, abbiamo però assistito ad una progressiva erosione della destra sociale entrata nell’orbita Trump. E, come dicevo, non si tratta di un fenomeno inedito, così come non è nuovo il fenomeno per cui la destra radicale accentua la sua anima reazionaria ogni volta che prende il potere – avvenne anche con i movimenti sopra citati.
Nei momenti decisivi del dopoguerra, gli Stati Uniti hanno sempre appoggiato i movimenti di destra della propria sfera di influenza in chiave imperialista e che questi, a loro volta, si sono sempre rifugiati sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti – accadde anche al franchismo in Spagna, dopo aver sopravvissuto alla guerra. Nonostante la facciata democratica, del resto, gli Usa hanno sempre dimostrato simpatia per le svolte autoritarie a loro favorevoli, nonché la capacità di coniugare il credo liberista con un certo conservatorismo di facciata.
In effetti, quelli che sembra essere successo in questi anni in Ucraina, è successo nel dopo guerra anche in Italia, con la destra radicale spesso infiltrata dai servizi segreti in chiave anti-sovietica su volere degli Stati Uniti (basti pensare all’operazione Gladio), mentre, nel frattempo, in giro per il mondo, gli Usa appoggiavano dittature militari o rovesciavano governi in nome dell’anti-comunismo.
Questo è sempre potuto accadere perché, nella destra radicale, persiste una ambiguità ideologica che permette la coesistenza di anime apparentemente differenti: social-nazionalisti e anti-socialisti, conservatori e futuristi, che poi però – per qualche strana ragione – finiscono sempre per appiattirsi sulle posizioni più di destra e meno sociali.
Oggi i riferimenti della destra radicale sono di nuovo personaggi come Javier Milei, ferocemente anti-statalista, Elon Musk, ferocemente anti-statalista, entrambi amici di Giorgia Meloni – passata dalla destra sociale alla destra tatcheriana – e di Santiago Abascal in Spagna, monarchico e, anche lui, ferocemente anti-socialista.
Mi piacerebbe dedicare un post sulle contraddizioni di queste strane alleanze, ma credo che la loro formazione significhi molto di più delle loro differenze apparenti: è come se la destra radicale, al momento della verità, riveli sempre di essere meno antisistema di quello che vuole far credere.
Già nel luglio 2022, in effetti, facevo notare come sulla questione ucraina la destra radicale si fosse piegata agli Usa, abbandonando un lungo flirt geopolitico con Putin. Del resto, anche sulla questione palestinese non è che la destra stia facendo troppo rumore: Fratelli d’Italia, assorbendola, ha in effetti neutralizzato gran parte della destra radicale italiana, ed è per questo che è ancora al potere – dopo esser stata l’unica opposizione Draghi – anche facendo scena muta sui crimini israeliani.
Ecco perché nel 2025, la destra radicale è nelle mani di Trump ed Elon Musk, uno di cui Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump ed esponente del movimento Make America Great Again, non certo un progressista, ha detto: “non è positivo è che all’improvviso tenti di applicare le sue idee raffazzonate che puntano all’implementazione del tecno-feudalesimo su scala globale”.
Spiegare che Hitler non fosse ovviamente comunista, mi sembra quindi molto meno importante che unire i punti di questa svolta neo-imperialista iniziata dagli Stati Uniti, che rappresenta un vero pericolo per lo Stato sociale europeo, se pensiamo che viene portata avanti da chi pensa che la sanità pubblica sia un modello comunista.
Perché qui, altro che Soros: il modello di Musk è privatizzare tutto, anche gli eserciti per dare il via alle guerre private, rendendo sul serio gli Stati e la democrazia insignificanti e riportando il mondo all’epoca pre-moderna del diritto.
Emmanuel Raffaele Maraziti
Una risposta a "Hitler era comunista: la destra secondo Musk"