La cosa più scoraggiante della politica è che, tanto i suoi protagonisti quanto i loro “followers”, sono irrimediabilmente concentrati nel dare addosso all’avversario, a prescindere. A scapito della verità e del dialogo. E che difendere le ragioni di qualcuno su una questione concreta sembra per forza dover significare parteggiare per questo qualcuno. Si tratta del peggiore “bias” della politica, diretta derivazione delle divisioni tribali, piuttosto che di un civile confronto.
E così accade che Giorgia Meloni legge – come giustamente sottolinea – delle frasi tratte dal Manifesto di Ventotene e la sinistra, fuori e dentro il Parlamento, si scatena, si scandalizza, urla, come se avesse profanato un dogma sacro. Un modo di fare tutt’altro che razionale direi. E tutt’altro che democratico peraltro. Né il Manifesto di Ventotene, né il suo autore Altiero Spinelli, né nessun altro testo o pensatore politico-religioso, possono essere considerati esenti da riflessioni, critiche e opinioni nel merito. Non esistono santi nel paradiso democratico.
La cosa che rattrista è che, nel mezzo della disperazione europeista, nessuno ha dimostrato la maturità culturale e umana di spiegare quanto meno le sue ragioni, ovvero il perché prendere le distanze da quelle citazioni sia considerato così oltraggioso. E’ la morte del dialogo, del dibattito culturale, è partitismo puro coi paraocchi.
Abbiamo ascoltato raffiche di accuse sulla “deconstestualizzazione” compiuta, atto ridefinito come “cherry picking” in perfetto stile radical chic, ma neanche una spiegazione pacata. Le urla isteriche del Partito Democratico sono partite nel Parlamento e hanno poi invaso social e televisioni, in uno spettacolo di strumentalizzazione penoso.
Che non ha fatto altro che dare la dimostrazione plateale che la Meloni ha ragione: la sinistra italiana ha un’anima illiberale.
“Ritengo” – ha spiegato infatti la premier all’indomani della polemica – che l’essenza di alcuni passaggi che ho letto di quel manifesto, e cioè che il popolo fondamentalmente non è in grado di autodeterminarsi e che quindi va educato e non ascoltato, sia purtroppo abbastanza strutturato nella sinistra anche di oggi e ne abbiamo avuto moltissimi esempi. Io ricordo gli editoriali di Eugenio Scalfari in cui spiegava che l’unica forma di democrazia è l’oligarchia. Chiedo quindi alla sinistra, nel momento in cui si distribuisce quel testo, qual è il messaggio che vuole dare”.
Come dargli torto? La sinistra, del resto, invece di smentirla, ne ha dato una manifestazione lampante, linciando la Meloni anziché rispondere alla domanda e aprire il dialogo. Ma la domanda era e resta del tutto legittima, alla luce delle posizioni elitariste che la sinistra continua ad assumere ormai abitualmente, facendosi alfiere di ogni possibile misure anti-popolare. Senza contare che l’Unione Europea non è che sia stata costruita esattamente seguendo lo schema democratico liberale, tutt’altro.
Basterebbe aver studiato la storia dell’Unione Europea, per sapere che il modello para-costituzionale europeo è tutt’altro che popolare e che l’Unione – incompleta – è stata portata avanti a colpi di sentenze e decisioni burocratiche.
Ricordo ancora un testo universitario che ho avuto sottomano in occasione di un esame, che definiva “ottriato” il modello costituzionale europeo (come quello delle prime costituzioni monarchiche per capirci, ossia calato dall’alto), con una assemblea i cui poteri sono stati storicamente limitatissimi, una partecipazione scarsissima ed una fondazione basata sulla logica del mercato e non sull’identità dei popoli europei.
Basta leggere un testo di storia anche per sapere che l’Ue nasce come Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio e poi estende ad altri settori, fino ad arrivare alla condivisione di una moneta, secondo una strategia perfettamente pianificata dai federalisti, con l’obiettivo di forzare la nascita di un vero e proprio Stato, attraverso l’unione economica graduale e passaggi quasi sempre burocratici e non politici. Non lo dico io, è scritto nero su bianco nei manuali.
La Meloni, quindi, non dice nulla di scandaloso quando mette in dubbio la fede democratica dei federalisti ed europeisti di sinistra. E non inventa nulla quando cita testualmente frasi del Manifesto in cui si afferma che “Attraverso questa dittatura del partito si forma il nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia” e che “la politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.
Parole decontestualizzate?
Ora, io il Manifesto l’ho letto e certo, predomina in esso lo spirito anti-nazionalista ed europeista, per superare le guerre. Sulla base di questo “pacifismo” di fondo, quindi, la sinistra ritiene irricevibili le accuse.
Ma anche il Manifesto del Partito Comunista era stato scritto in nome dell’uguaglianza e del superamento del nazionalismo e, allo stesso modo, si caratterizzava per ritenere essenziale una “dittatura del proletariato” come fase propedeutica alla società senza classi. Non possiamo negare che le frasi di Ventotene riecheggino questa strategia poco democratica, né che Spinelli, benché critico con lo stalinismo, abbia militato nel Partito Comunista fino al 1937 e sia stato candidato nelle liste del Pc anche nel dopoguerra fino agli anni Settanta-Ottanta.
Ma, a prescindere dalla biografia di Spinelli, che non è l’unico autore del Manifesto di Ventotene, proprio in virtù del contesto storico rivendicato dalla sinistra per minimizzare quelle frasi, perché allora gli risulta così difficile prendere le distanze da quelle parole? Perché ritiene scandaloso dover sottolineare che, pur mantenendo l’adesione allo spirito europeista del Manifesto, qualsiasi riferimento alla dittatura di un partito e ad una democrazia da mettere in pausa va ripudiato?
Da una sinistra che obbliga i suoi avversari a continue dichiarazioni di democraticità, una reazione isterica simile risulta inspiegabile.
A meno che “Giorgia” non abbia ragione sul carattere illiberale di questa sinistra.
Emmanuel Raffaele Maraziti