Il centro studi dell’ex leghista continua il pressing sui redditi bassi

Lo scorso 1 ottobre, su diverse testate – tra le quali Rai News – circola una statistica: “il 43% degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno“. “Quasi un cittadino su due non versa l’Irpef”, insiste il titolo.

Il tono della nota è chiaro fin dall’inizio: “Un Paese in cui il peso del fisco è concentrato su una minoranza di contribuenti“, in cui “il 78% di tutto il gettito Irpef è concentrato su 11,6 milioni di contribuenti”.

Tanto il titolo quanto l’introduzione dell’articolo sembrano far passare l’idea di un sistema di tassazione assurdo e ingiusto, in cui pochi lavorano per tutti.

Ma il primo inganno è proprio quel 43%, che in sé non vuol dire nulla.

UNA STATISTICA SENZA SENSO

Perché quella percentuale di italiani che non paga l’Irpef – come sottolinea l’articolo – è calcolata sul totale della popolazione, non sul totale dei dichiaranti o, quanto meno, della popolazione attiva.

Sarebbe un po’ come dire che in Italia il tasso di disoccupazione è del 61% perché solo 23 milioni di persone su 59 milioni lavorano: una assurdità. Il dato statistico è infatti l’8% perché si calcola solo in relazione alla forza lavoro disponibile (occupati + disoccupati in cerca di lavoro).

Allo stesso modo, quindi, il 43% evidenziato dalla statistica in questione è una cifra senza senso, innanzitutto perché include l’intera fascia di popolazione minore d’età (circa 8 milioni di persone hanno meno di 15 anni), gli studenti (circa 4 milioni di persone sono studenti universitari o delle scuole superiori) e le casalinghe (7 milioni nel 2017).

Senza considerare poi che include anche i disabili inabili al lavoro (circa un milione di persone, la cui pensione non è tassabile se è l’unica entrata) ed altri pensionati con redditi inferiori alla no tax area (circa il 30% su circa 16 milioni di pensionati), ma anche chi ha redditi soggetti a imposta sostitutiva (già tassati alla fonte).

Insomma, quel 43% è una statistica senza senso, utile solo a fare titoli sensazionalistici. Infatti, una volta sottratte tutte le categorie già elencate (circa 23/24 milioni di persone), la cui mancata contribuzione sembra più che giustificata (!), la percentuale di mancati contribuenti risulterebbe di gran lunga più bassa.

Chi rimane fuori dalle categorie già nominate? Disoccupati, lavoratori e dipendenti con redditi netti inferiori alla no tax area, evasori.
Evasori a parte, quindi, gente che non paga perché non può.

Ma quindi, qual è l’obiettivo che giustifica la diffusione di cifre simili?

A parte l’indiretta pressione sulla prestazioni sociali a sostegno della disoccupazione, obiettivo sempre più frequente di chi sostiene che finiscono nelle tasche degli “scanzafatiche” e disincentivano al lavoro, è chiaro che nel mirino sta principalmente il concetto di progressività della contribuzione Irpef, ovvero il fatto che chi guadagna di più paghi di più. Con l’obiettivo di applicare aliquote più “flat”, ovvero uguali (o quasi) per tutti.

Ecco perché nella nota si fa notare: solo 11,6 milioni di persone pagano quasi l’80% dell’Irpef.

COME FUNZIONANO LE ALIQUOTE IRPEF

Ma anche questo è un dato del tutto normale, infatti, in quasi tutti i paesi Ocse circa il 20/25% dei contribuenti copre il 70/80% delle imposte sul reddito. Un gruppo ristretto paga di più, perché è un gruppo ristretto a guadagnare di più.

In linea anche con il principio costituzionale di progressività della pressione fiscale: meno hai, meno paghi (art. 53 Cost). Per questo motivo l’Irpef, infatti, ha delle soglie: fino al 2023, per esempio, si pagava il 23% fino a 15mila euro, il 25% fino a 28mila, il 35% fino a 50mila e il 43% oltre i 50mila. Mentre la Legge di Bilancio 2025 ha eliminato l’aliquota del 25%, estendendo quella del 23% fino ai 28mila euro.

E’ peraltro il caso di notare che queste aliquote Irpef non rappresentano la percentuale “reale” che paga il contribuente.
Se per esempio guadagni 60mila euro lordi, pagherai il 23% sui primi 15mila euro, il 25% dai 15mila ai 28mila euro, il 35% dai 28mila ai 50mila e il 43% solo sulla quota che eccede i 50mila. Questo significa che l’aliquota media sarà intorno al 31%, ovvero intorno ai 18.700 euro – 18.400 con le nuove aliquote.

Anche se venisse in futuro approvata la costosa proposta del centro-destra, che prevede abbassare dal 35% al 33% l’aliquota che va dai 28mila ai 50mila euro, il risparmio sarebbe di circa 300 euro annui per un reddito di 45mila euro. Mentre sarebbe consistente solo se venisse approvata anche l’applicazione della stessa aliquota anche ai redditi fino a 60mila euro, abbassando del 10% l’aliquota per i redditi dai 50 ai 60mila euro – con un risparmio di quasi 3mila euro per un reddito di 55mila euro annui e un costo per le casse dello Stato di 4/5 miliardi. Soldi che, lo ricordiamo, vanno a finanziare la sanità, la previdenza sociale, l’istruzione, la difesa, la sicurezza. Ma anche il sostegno all’economia e al lavoro, i trasporti, l’ambiente, la cultura, lo sport. Soldi che, se vengono a mancare, bisogna sottrarre a tutte le voci elencate a meno di non trovarli miracolosamente da qualche altra parte.

DA DOVE VIENE LO STUDIO IN QUESTIONE

Ecco perché è interessante notare da dove vengono le cifre per comprendere il perché della diffusione di una statistica così ingannevole.
Questi numeri, infatti, vengono fuori dall’Osservatorio sulle entrate fiscali, presentato alla Camera dei Deputati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e da Cida, la Confederazione Italiana Dirigenti e Alte professionalità.

Se dalla confederazione dei dirigenti non ci si aspetta certo la difesa della classe operaia e dello Stato sociale, ci si aspetterebbe altro da un centro studi. Se non fosse che il suo presidente, Alberto Brambilla, non è proprio uno lontano dai giochi della politica.

Candidato dalla Lega a guidare l’Inps nel 2018, definito più volte “leghista” da Libero e Il Foglio, Brambilla è stato nominato Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le Politiche sociali nel secondo e nel terzo governo Berlusconi, ha lavorato per Banca Intesa e Cariplo e figura in una infinità di organismi e consigli d’amministrazione.
Si è allontanato dalla Lega dopo il governo giallo-verde coi grillini, mentre il suo chiodo fisso sono quelli che non pagano l’Irpef e far pagare meno ai redditi più alti che pagano di più.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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