Il Garante della privacy contro Google, una questione che va oltre i confini nazionali e che, già da luglio, potrebbe portare a sanzioni milionarie nei confronti del colosso americano. Scade infatti domani il termine concesso all’azienda dalle autorità a tutela della privacy di Francia, Italia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna per fare chiarezza sull’utilizzo dei dati e delle informazioni degli utenti.
La questione, in breve, la spiega proprio Antonello Soro, presidente dell’autorità Garante della privacy in Italia: «Google ha da poco adottato una nuova privacy policy, con un’informativa opaca, in cui spiega in maniera troppo generica di incrociare tutti i dati che raccoglie con gmail, il motore di ricerca, google +, android e gli altri servizi per creare dei profili. E questo non va bene. Il trattamento dei dati può essere fatto per una finalità precisa, magari commerciale. Ma Google possiede dei pezzi interi della nostra vita: sa cosa ci piace, dove andiamo in vacanza, dove ci troviamo, il nostro orientamento politico e i nostri gusti sessuali, cosa cerchiamo in Rete, chi sono i nostri contatti. E con gli account associano al profilo un nome e un cognome, senza che gli utenti ne siano consapevoli. Questo il nostro ordinamento lo vieta. Così come è una violazione non sapere in quali server siano conservati i nostri dati» [1].
Poco male, penseranno la maggior parte delle persone ormai assuefatte all’idea di essere sotto controllo totale, assuefatte al concetto per cui “è tutto a norma” e, soprattutto, che “è solo per la nostra sicurezza”.
Spinge su questa leva, del resto, lo stesso presidente degli Stati Uniti Obama, in risposta allo scandalo che ha travolto il suo Paese [2]: «è importante capire che i vostri rappresentanti sono stati informati su quello che abbiamo fatto» [3].
Tranquilli, quindi: vi spiavamo ma i vostri rappresentanti eletti lo sapevano. Ed il suo tono sembra dire: è tutto a norma, quindi di che vi meravigliate?
«Quando lascerò il mio ruolo – ha continuato – sarò un semplice cittadino. E ho il sospetto che le mie conversazioni e le mie email saranno monitorate». Tutto normale, no?
Quanto alla vicenda Google, la questione è altrettanto seria, tanto che, spiega il Garante, «nell’aprile scorso, esaurita la fase di indagine a livello europeo da parte del Gruppo che riunisce i Garanti privacy dei 27 Paesi dell’Ue, le Autorità di protezione dati italiana, francese, tedesca, olandese, spagnola ed inglese, riunite in una task force appositamente costituita, avevano avviato, con un’azione congiunta, procedimenti nei confronti di Google» [4].
Una fase che il Garante, in un comunicato del 20 giugno, dichiarava appunto in fase avanzata [5].
E che ha visto un atteggiamento reticente da parte di Google: «alle perplessità dei Garanti europei – ha spiegato Soro – risponde dicendo di rispettare i principi degli ordinamenti, ma di attenersi alla sola normativa americana. Tant’è che non possiamo fare ispezioni sui loro server».
Soro, del resto, non va per il sottile nel chiarire il nocciolo del problema dati: «Ufficialmente li usano per fini pubblicitari e commerciali, ma quali reali garanzie abbiamo che non vengano usati per altre finalità? Google ormai è una potenza economica che dialoga con i capi di Stato. In Cina, ad esempio, ci risulta che abbia abbassato la testa e collaborato con le autorità cinesi. Quella massa di dati sugli orientamenti politici dei cittadini fa gola a tutti, naturalmente».
E nel minacciare sanzioni milionarie se entro domani Google non farà chiarezza, sottolinea perentorio: «una ferita alla privacy significa limitare la libertà di tutti».
[2] «Secondo il Wsj [Wall Street Journal, ndr], anche gli utenti di AT&T – 107,3 milioni di clienti per la telefonia mobile e 31,2 milioni per la telefonia fissa – e Sprint – 55 milioni di utenti in tutto – oltre ai 121,1 milioni di Verizon, sarebbero “spiati” dalle autorità statunitensi. Inoltre, nell’ambito della sua attività per individuare possibili terroristi, la National Security Agency raccoglierebbe anche tutti i dati relativi agli acquisti compiuti con le carte di credito, potendo avere accesso a tutte le informazioni in mano alle banche e alle società emittenti».