POCO meno di duecentosessanta pagine edite da Chiarelettere e scritte da Luca Ciarrocca, direttore del giornale online Wall
Street Italia: si tratta di ‘Padroni del mondo. Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei governi e delle
popolazioni’, giunto alla terza ristampa in appena quarantacinque giorni.
Un successo meritato e, nonostante titolo e sottotitolo sembrano associarlo alle più forzate teorie complottiste, privo di fronzoli. Un testo rigoroso, ricco di dati, analisi, riflessioni ed una unica certezza: togliere la sovranità monetaria alle banche commerciali, che la detengono di fatto.
Insomma, nessun panciuto finanziere ebreo, nessuna riunione di incappucciati, in breve, niente di non documentabile e superfluo. Ciarrocca, invece, fa di più e di meglio: va al sodo e mostra un dominio che è nei dati, negli incroci delle proprietà societarie, nelle truffe finanziarie legali (una su tutte, la famosa riserva frazionaria) e illegali, a danno della sovranità dei popoli e di un’economia sana.
Punto di partenza è la crisi del 2008, crisi sistemica sistematicamente irrisolta secondo Ciarrocca, che individua nella questione delle «Tbtf» (too big to fail – banche troppo grandi per fallire) e nella pericolosa interconnettività di un potere economico eccessivamente concentrato nelle mani di pochi i nodi principali di questa crisi che rischia di esplodere in una nuova, catastrofica, bolla speculativa entro il 2018.
«I mercati finanziari», scrive citando l’economista Andrea Fumagalli, «non sono qualcosa di etereo e neutrale, ma sono espressione di una precisa gerarchia. Lungi dall’essere concorrenziali, si confermano fortemente concentrati e oligopolistici: una piramide che vede, al vertice, pochi operatori finanziari in grado di controllare oltre il 70 per cento dei flussi
finanziari globali e, alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione meramente passiva».
«Se i mercati finanziari sono come greggi», scrive, «allora occorre individuarne i caproni che li guidano.» «Le piccole banche», sottolinea «hanno un potenziale pressoché nullo di innescare un rischio sistemico, ma sono anche scarsamente esposte alla bancarotta». Le Tbtf, invece, accentrano il potere economico ed, allo stesso tempo, costituiscono un rischio troppo alto per la società, alimentando un circolo vizioso di salvataggi, inefficienza e «azzardo morale». Ecco perché Ciarrocca adombra in diverse occasioni l’idea di smembrare queste grandi banche, che sono in fin dei conti quelle ventotto che il Financial Stability Board di Basilea 3 ha individuato appunto come «Systemically Important Financial Institution». Istituti di credito (tra cui figura, unica italiana, UniCredit) che, secondo gli standard di Basilea 3, per affrontare nuovi shock sistemici entro il 2018 «non hanno bisogno
di una semplice iniezione di liquidità ma di mezzi pari a tre volte gli utili accumulati».
Altro che fuori pericolo: la prossima tempesta rischia di esser senza ritorno. Così, passando per lo «scandalo Libor», truffa ventennale sui tassi di interesse tesa a «truccare uno dei motori centrali del capitalismo finanziario», Ciarrocca arriva a mostrarci «Il lato oscuro del capitalismo»: dal sistema bancario ombra («cruciale nel formare e alimentare la superbolla che poi provocò il crollo delle piazze finanziarie nel 2008») ai paradisi fiscali («La sconveniente verità è che i più grandi gruppi (le solite Tbtf) sono parte attiva nelle operazioni di fuga di capitali »; «i paradisi fiscali sono infatti la faccia meno conosciuta, ma più centrale, della rete finanziaria mondiale»), fino, ovviamente, alla massa dei derivati («gioco d’azzardo puro», «trucco contabile per imbellettare i bilanci») da «637 trilioni di dollari, cioè circa dieci volte il Pil mondiale». Giochi d’azzardo senza copertura. Un castello di carta: ecco il capitalismo finanziario.
Ma il clou è nella riproposizione di uno studio del Politecnico federale di Zurigo («The Network of Global Corporate Control») che mappa il potere finanziario, confermando l’esistenza di una «cupola» al comando: una cinquantina di aziende che «controllano il 40 per cento del valore economico e finanziario di 43.060 multinazionali globali» e 1.318 aziende che «nonostante rappresentino appena il 20 per cento del fatturato operativo totale, attraverso i vari incroci azionari, sono di fatto proprietarie della grande maggioranza delle blue chips, cioè dei colossi manifatturieri quotati in Borsa, i big dell’economia reale, e accentrano su di sé il controllo di un ulteriore 60 per cento dei fatturati globali».
«La maggior parte delle multinazionali globali», conclude, «fa capo a una sorta di “cupola” […] formata nel suo nucleo centrale da appena 147 società. Il comando sull’economia globale è ancora più ferreo poiché questa superentità governa il 40 per cento dell’intera ricchezza del network delle 43.060 aziende».
Come anticipavamo, nessun complottismo, è tutto molto chiaro: «la cupola non è il risultato di una colossale cospirazione di illuminati attuata con diabolica strategia, quanto un corollario oggettivo di decisioni che si producono per via di un’interazione parcellizzata di migliaia di interessi utilitaristici». Insomma, un dato di fatto. Leggi antitrust, limitazioni degli incroci proprietari, queste alcune idee per intaccare questa pericolosa «interconnettività».
Ma al suo obiettivo Ciarrocca giunge dopo una rapida spiegazione della riserva frazionaria, attraverso la quale «le banche creano denaro dal nulla». È nel segreto dell’emissione monetaria fondata sul debito («il denaro non nasce fino al momento in cui non viene prestato») il fondamento dell’abbattimento dell’attuale capitalismo. Ed è per questo che il direttore di Wall Street Italia ripropone integralmente la proposta del movimento «Positive Money»: conversione degli attuali depositi bancari in «conti operativi», senza interessi ma garantiti inutilizzabili dalla banca per effettuare prestiti, investimenti, ecc.; creazione di «conti investimento», destinati invece alle suddette operazioni, concordando rischio, interessi e percentuale garantita dalla banca col cliente stesso (senza il trucco della riserva frazionaria); emissione di moneta da parte della banca centrale sulla base del fabbisogno indicato ogni anno da un’agenzia indipendente ed in base ai limiti stabiliti dal governo per i tassi di inflazione. La nuova moneta di fatto si sommerebbe alle entrate fiscali e sarebbe utilizzata per la spesa pubblica. Ed il nuovo denaro, anziché nascere come debito, ne sarebbe finalmente libero.
Queste, dunque, le conclusioni di un testo certamente consigliabile, che ha il merito della chiarezza e della sobrietà, ma che a tratti trasmette addirittura l’impressione che manchi qualcosa. In fondo, si tratta di un’opera che documenta verità non nuove, limitandosi ad aggiungere qua e là dati interessanti sui «poteri forti» e riproponendo al pubblico italiano una proposta forse poco conosciuta all’interno dei confini nazionali. In ogni caso, averlo nella propria libreria non è certo sconsigliabile.
Emmanuel Raffaele, “Il Borghese”, febbraio 2014