Investimenti per mille miliardi di euro nel corso del prossimo decennio e, nel complesso, “un quarto del bilancio comunitario dedicato alla questione ambientale*”: queste le cifre del cosiddetto “European Green Deal“, presentato ieri ufficialmente dal presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen.
“Oggi è un giorno davvero speciale”, ha esordito annunciando alla stampa l’accordo raggiunto dai commissari europei: “E’ solo l’inizio di un viaggio”, ha aggiunto, “ma per l’Europa è come lo sbarco sulla Luna”.
Se alle parole seguissero i fatti, sarebbe effettivamente così.
“UNA NUOVA STRATEGIA DI CRESCITA: RICONCILIARE L’ECONOMIA CON IL NOSTRO PIANETA”
Un momento storico, dunque, secondo la neo-presidente che ha spiegato: “Il nostro obiettivo è riconciliare l’economia con il nostro pianeta, riconciliare il modo in cui produciamo e il modo in cui consumiamo con il nostro pianeta e far si che funzioni per la nostra gente”.
Il suo intento, infatti, sarebbe quello di andare oltre gli accordi sul clima di Parigi (dal quale, peraltro, gli Usa hanno formalmente deciso di ritirarsi), rendendo l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, come aveva promesso di fare nei suoi primi cento giorni di governo.
“L’European Green Deal è la nostra nuova strategia di crescita“, ha affermato.
Rimodellare normative e tassazioni costituirà una parte importante del lavoro, per passare dalle promesse ai vincoli legislativi veri e propri, ma il momento fondamentale di questo nuovo piano sarà la riconversione dell’industria e della produzione e quindi la trasformazione del consumo e dell’economia stessa, una transizione per la quale è prevista la creazione di un fondo apposito.

“EUROPA LEADER MONDIALE DELL’ECONOMIA CIRCOLARE”
Nella sua visione il piano è la trasposizione di un cambiamento culturale, di una nuova consapevolezza, la necessità per gli europei di “cambiare il loro stile di vita”.
Come aveva promesso al momento della sua candidatura, la Von der Leyen intende quindi fare dell’Europa “il leader mondiale dell’economia circolare e della tecnologia sostenibile“, nella convinzione che “chi agisce per primo e più rapidamente sarà anche il primo a cogliere le opportunità della transizione ecologica“.
Preservare l’ecosistema e investire sulle zone rurali tra le priorità: “La salute dei cittadini europei viaggia insieme alla salute del pianeta: si tratta della qualità dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo, del cibo che mangiamo e la sicurezza dei prodotti che usiamo”.
Nei documenti redatti dalla commissione, infatti, viene evidenziato che appena il 12% dei materiali usati dall’industria sono materiali riciclati, che i trasporti che rappresentano il 25% delle emissioni e che il 75% dei gas serra provengono dalla produzione e dall’uso di energia: ecco perché gli impegni presi dai singoli Paesi dovranno trasformarsi in vincoli legali.
“L’EUROPA HA LA FORZA PER IMPORRE VALORI SU SCALA GLOBALE”
Ma l’obiettivo di ridurre l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi, ammette la neo-presidente, non può essere raggiunto da soli: “i fattori del cambiamento climatico e della perdita della biodiversità sono globali e non sono limitati dai confini nazionali”. Ecco perché l’intenzione è proseguire con le pressioni nell’ambito dei Paesi del G20, “responsabili dell’80% delle emiSsioni di gas serra“, ma anche consapevoli che, “in quanto mercato unico più grande al mondo, l’Unione Europea ha la capacità di imporre standard applicabili su scala globale”.
Il cambio culturale sarà incentrato sul riuso e sul riciclo, sulla revisione delle normative sul packaging, sull’uso della plastica e dei materiali biodegradabili, sull’obsolescenza programmata dei prodotti (soprattutto nell’ambito dell’elettronica), sulla condivisione di beni strumentali (si pensi al car sharing) e, in generale, sull’efficientamento dell’approvvigionamento energetico, a partire dalle tecniche di costruzione degli edifici, oltre che sugli investimenti nelle energie rinnovabili.
“LA RICONVERSIONE INDUSTRIALE E’ UNA OPPORTUNITÀ”
La riconversione industriale, si legge nelle comunicazioni della Commissione, richiede una generazione, bisogna quindi agire al più presto. Tra il 1990 e il 2018, viene ricordato, le emissioni sono state ridotte del 23% e nonostante questo l’economia è cresciuta del 61%, ma con le politiche attuali le emissioni sarebbero ridotte solo del 60% entro il 2050.
Ecco la necessità del “Green Deal”.
“La transizione“, assicura però la von der Layen, “è una opportunità per l’economia e per il mercato del lavoro“, oltre a permetterci di “migliorare il monitoraggio, la prevenzione e i rimedi all’inquinamento dell’aria, dell’aqua e del suolo“, per creare un ambiente “toxic-free”: “le funzioni naturali della terra e delle acque vanno recuperate. Questo è indispensabile per recuperare la biodiversità dei laghi, dei fiumi” e prevenire i danni del degrado ambientale.
GRETA THUMBERG E IL GREEN DEAL ELABORATO DAL DiEM25
L’idea di un Green Deal per l’Europa non è, ovviamente, tutta farina del suo sacco e gli spunti sono ovviamente molti da quando la questione ambientale ha conquistato il centro dell’agenda politica. Proprio ieri Greta Thunberg, la sedicenne svedese che ha conquistato la scena mondiale mettendo in guardia i ‘potenti’ sull’emergenza climatica, è stata nominata dal Time persona dell’anno. Ma l’idea di un Green Deal per l’Europa è specificamente parte di una campagna condotta dal Democracy in Europe Movement (DiEM25), schieramento transnazionale progressista che ha messo in evidenza dieci punti per la riconversione dell’economia.
Secondo questo progetto, i Paesi europei dovrebbero investire almeno il 5% del Pil a questo scopo e il loro riferimento a livello economico è proprio il New Deal americano di Roosvelt, ispirato dalle teorie keynesiane sull’intervento e dell’investimento dello Stato per uscire dalla crisi e creare allo stesso tempo posti di lavoro. Lo scopo dunque sarebbe anche quello di garantire una transizione equa, consapevoli che non tutti partono dallo stesso punto e che, chi parte in ritardo, potrebbe avere più difficoltà a trarre vantaggio dal cambiamento.
“PORRE FINE AL DOGMA DELLA CRESCITA INFINITA”
Ma un altro punto interessante del progetto, che incrocia la sostenibilità con l’equità, è l’insistenza sul fattore redistributivo (a fronte di un aumento esponenziale delle diseguaglianze in Europa) e sociale in chiave ‘anti-privatistica’: “Molti dei più grandi progressi nella tecnologia”, è spiegato sulla pagina web dedicata, “sono avvenuti grazie alla ricerca e ai finanziamenti pubblici, da internet ai touch screen, dai motori a reazione ai razzi, dal GPS agli algoritmi per i motori di ricerca. La nostra economia, però, si è strutturata in un modo tale per cui, mentre lo Stato investe nella ricerca e corre tutti i rischi connessi all’innovazione, il settore privato raccoglie tutti i frutti, pagando tasse sui profitti quasi nulle. Il Green New Deal deve garantire che la società tragga direttamente benefici dagli investimenti fatti nelle nuove tecnologie, utilizzando i proventi per investire in ulteriori innovazioni e mantenendo la promessa di una maggiore liberazione sociale dalla settimana lavorativa”.
Tra gli altri punti fondamentali, si impone la necessità di “Porre fine al dogma della crescita infinita“, perché proprio “L’ossessione per la crescita economica, misurata dal Prodotto Interno Lordo (PIL), è uno dei principali motori della crisi climatica ed ecologica perché incoraggia i Paesi a perseguire politiche economiche spericolate, ignorando i costi ambientali”.
COSA E’ L’ECONOMIA CIRCOLARE
Al contrario del cosiddetto modello lineare (‘produzione-consumo-smaltimento’), in cui il risultato di produzione e consumo è per forza di cosa un prodotto che giunge a fine vita e diventa quindi un rifiuto, nell’economia circolare la produzione è pensata per non generare rifiuti, completamente tesa al riciclo e al riutilizzo, in una filiera sostenibile che non è costretta a rifarsi alle materie prime “vergini”.
Si parte, ovviamente, da una riduzione dell’impiego di materiali inquinanti e, soprattutto, da un’eco-progettazione che permette la ristrutturazione, lo smontaggio o comunque il recupero del prodotto, all’intervento sull’obsolescenza dei prodotti per favorire la lunga durata e la riparazione fino ai processi di condivisione di prodotti e oggetti per un uso più efficiente.
Si arriva, ovviamente, fino alla transizione verso fonti energetiche rinnovabili e all’abbandono di quelle fossili (e dunque dei processi estrattivi, inquinanti e deturpanti per il paesaggio).
In un depliant del Ministero dell’Ambiente che riassume i principi dell’economia circolare si evidenzia: “Nell’Unione europea ogni anno si usano quasi 15 tonnellate di materiali a persona, mentre ogni cittadino UE genera una media di oltre 4,5 tonnellate di rifiuti l’anno, di cui quasi la metà è smaltita nelle discariche. L’economia lineare, che si affida esclusivamente allo sfruttamento delle risorse, non è più un’opzione praticabile“.
E aggiunge: “Alcune aziende scopriranno nuovi mercati passando dalla vendita di prodotti a quella di servizi e svilupperanno modelli imprenditoriali fondati su noleggio, condivisione, riparazione, potenziamento o riciclaggio dei singoli componenti. Le misure come la migliore progettazione ecocompatibile, la prevenzione e il riutilizzo dei rifiuti possono generare, in tutta l’UE, risparmi netti per le imprese fino a 604 miliardi di euro, ovvero l’8 % del fatturato annuo, riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas a effetto serra del 2-4 %5 In generale, attuare misure aggiuntive per aumentare la produttività delle risorse del 30 % entro il 2030 potrebbe far salire il PIL quasi dell’1 % e creare oltre 2 milioni di posti di lavoro rispetto a uno scenario economico abituale”.

LIBRO DEI SOGNI O REALTÀ?
Innanzitutto, bisogna riconoscere che, in linea di principio, il progetto portato avanti dalla Commissione ha il merito di rimettere al centro la politica, di affrontare la tematica ambientale in maniera frontale e di proporre un approccio alternativo all’economia.
Ecco perché, a questo punto, non si può far finta di nulla: l’ossessione per la la crescita illimitata, connessa alla valutazione dell’andamento dell’economia sulla base di un incremento obbligato del Pil, come giustamente evidenziato dal documento del DiEM25 per un Green Deal europeo, sono alla base del disastro ambientale.
Ci è stato finora proposto un modello economico neo-liberista e questo modello si è rivelato colpevole: slegare la questione ecologica da una discussione seria sul nostro modello economico, a questo punto, è ipocrisia pura. Ed un ecologismo simile è solo qualunquismo.
E’ questo modello, infatti, quello che hanno sposato, ‘costituzionalizzato’ e continuano a predicare le burocrazie europee: l’assenza del vincolo politico, con la cessione della sovranità al mercato e quindi al profitto privato.
Ora l’European Green Deal, che rappresenta un gigantesco intervento sull’economia e sulla produzione, ma anche un significativo vincolo politico al profitto privato, sembra riaffermare appunto il ruolo della politica sull’economia. E lo fa affidandole non il ruolo di arbitro tra interessi privati, ma un ruolo di indirizzo, un ruolo di intervento strategico, un ruolo di stimolo, dal momento che il mercato, da solo, sarebbe incapace di procedere alle medesime scelte e di essere ugualmente equo ed efficiente. Si tratta di una interpretazione del rapporto tra economia e settore pubblico del tutto differente.
Ed è singolare che tutto ciò sia in mano a volti che hanno finora proclamato la sacra via dell’austerity come via maestra. Il New Deal di ispirazione keynesiana a cui sembra ispirarsi il Green Deal è, infatti, esattamente l’opposto del neo-liberismo predicato finora. Coerenza vorrebbe che, a questo punto, si procedesse nella stessa direzione nei confronti dell’intera impalcatura europea e si ammettesse il fallimento dell’esperimento neo-liberista. Perché i due modelli sono semplicemente inconciliabili.
Quanto all’implementazione del piano, molto dipenderà dai veti dei singoli Paesi e, quanto all’equità, tutto dipenderà da come verranno utilizzate le risorse. Per non rischiare una ulteriore decrescita delle aree periferiche, se il piano verrà realizzato non guardando realmente agli interessi di tutti.
E’ certo che l’Europa può essere esempio e imponendo standard sul mercato interno può concretamente fare molto per imporre o promuovere un cambiamento mondiale, ma sarà ancora più importante sapersi difendere dalla concorrenza sleale dei Paesi extra-Ue. Ecco perché è impensabile implementare un piano simile senza mettere in conto di doversi eventualmente servire, all’occorrenza, di una certa dose di protezionismo. Altrimenti, potrebbe rivelarsi un boomerang.
Emmanuel Raffaele Maraziti
Fonti:
DISCORSO DI URSULA VON DER LEYEN PER ANNUNCIO UFFICIALE GREEN DEAL
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/speech_19_6749
AGENDA PER L’EUROPA DI URSULA VON DER LEYEN
https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/political-guidelines-next-commission_en.pdf
ROADMAP DELL’EUROPEAN GREEN DEAL TRACCIATA DALLA COMMISSIONE
Fai clic per accedere a european-green-deal-communication-annex-roadmap_en.pdf
COMUNICAZIONI DELLA COMMISSIONE SUL GREEN DEAL (11 DIC 2019)
Fai clic per accedere a european-green-deal-communication_en.pdf
LA PAGINA DELLA COMMISSIONE DEDICATA AL GREEN DEAL
https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en
ULTERIORI CHIARIMENTI DELLA COMMISSIONE SUL GREEN DEAL
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_19_6690
LA PAGINA DEDICATA AL GREEN DEAL DAL DiEM25
https://www.gndforeurope.com/about
IL MINISTERO DELL’AMBIENTE SULL’ECONOMIA CIRCOLARE
Fai clic per accedere a ce_economia_circolare_depliant.pdf
LA RICERCA CHE ANALIZZA GLI IMPEGNI PRESI DAGLI STATI SUL CLIMA
LA NOTIZIA RIPRESA IERI DA ALCUNE TESTATE
https://www.ilsole24ore.com/art/von-der-leyen-europa-zero-emissioni-entro-2050-ACZK5i4?fbclid=IwAR1ZMEPRB3rkfECDl5W4XasCUdNejeITBqzyez7dZv96vnnPjMZyXW2dJ5U