La rivoluzione impossibile

Per anni, decenni, secoli la rivoluzione è stata il sogno dei giovani più entusiasti, un sogno dipinto generalmente considerato “di sinistra”.
Ma quindi solo la “sinistra” è rivoluzionaria?
Ed i giovani sono ancora quegli entusiasti sognatori della rivoluzione come nel passato passato o la cultura della “resilienza” ha tolto loro il fascino della ribellione?
Cosa c’è all’origine di una rivoluzione?
E, per finire, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, è ancora possibile fare “la rivoluzione”?

PROVIAMO A RISPONDERE QUESTE DOMANDE

1) Se per rivoluzione si intende una presa di coscienza ed un’azione dal basso per combattere e sconfiggere il potere politico che ha preso possesso degli organi di governo e/o dello Stato, la rivoluzione è sempre “di sinistra”, se essere di sinistra vuol dire difendere gli interessi del popolo contro quelli della élite economico/finanziaria.

Controrivoluzione è, al contrario, una reazione dall’altro verso il basso, una difesa del sistema o un contrattacco delle forze in questione non ancora sottomesse a fronte di un contro-potere non ancora fattosi potere.

2) Considerando la naturale tendenza di qualsiasi potere politico a creare élite che difendono se stesse, la rivoluzione è dunque l’inevitabile e periodica riscossa popolare per tentare di ristabilire equità sociale.

E, per forza di cose, ogni rivoluzione è destinata a creare un’altra élite che, una volta fattasi casta, smetterà comunque di rappresentare gli interessi popolari.
Senza contare che, all’interno dello stesso processo rivoluzionario, saranno sempre le élite a gestire e indirizzare a proprio favore il “cambio di guardia”, in maniera più o meno consapevole, più o meno cinica/romantica.

3) La possibilità di definire e definirsi (cosa è sinistra e cosa è destra) appartiene al potere, non il contrario.
Il potere politico può quindi indifferentemente scegliere una auto-rappresentazione di destra o di sinistra, ma ciò non dice nulla riguardo alle istanze che difende realmente.
Ecco perché il fatto che la “sinistra” diventi potere non comporta che il potere difenda davvero istanze di “sinistra”, ovvero di popolo.
Ma è certamente più pericoloso quando avviene, perché il potere in questo caso adotterà un immaginario di sinistra che rende più difficile riconoscere l’imbroglio.

4) Dal momento in cui, con la società di massa e il suffragio universale, nasce l’opinione pubblica e la comunicazione di massa, la tendenza alla demagogia, ovvero ad adottare un finto immaginario “di sinistra”, cresce forzatamente perché cresce la necessità del consenso.
Questo fenomeno esplode in forma quasi globale con la società delle telecomunicazioni e con internet.
Le elite económico-politiche continuano ad esistere, si rafforzano grazie alla loro crescita dimensionale, ma l’immaginario proposto è sempre più demagogicamente di sinistra (anche nei partiti di destra), a patto che le istanze della sinistra non mettano più in discussione l’assetto di potere stabilitosi.
Si afferma così una “sinistra culturale” priva del sogno rivoluzionario, che sublima il sogno concretamente rivoluzionario attraverso istanze minoritarie, secondarie, pseudo-rivoluzionarie o esplicitamente controrivoluzionarie.
In pratica, di sinistra e popolare rimane poco.

5) Il potere gode oggi dei potentissimi strumenti della tecnologia. Ciò che è cambiato, dunque, si riassume in due elementi che sono uno di supporto all’altro:
– monopolio culturale: il malcontento è molto più facile da contenere o, addirittura, molto più facile da prevenire attraverso gli strumenti della propaganda virtuale moderna e questo porta l’imposizione culturale egemonica ad un altro livello, il monopolio culturale appunto;
– capacità di controllo: quanto più si affinando gli strumenti di intelligenza artificiale, tanto più sarà impossibile sfuggire al controllo del potere.

Il risultato è una cappa culturalmente e fisicamente asfissiante, un totalitarismo che si avvia alla distopia, uno Stato di polizia 2.0, un Leviatano virtuale che appare invincibile.

6) Sognare la rivoluzione non significa fare o saper fare la rivoluzione. Sognare la rivoluzione non significa essere un rivoluzionario.
E, come per governare, anche per fare la rivoluzione le qualità richieste cambiano col tempo e gli strumenti del potere.
Se la rivoluzione è sempre stata un fatto da professionisti e non un semplice fenomeno popolare, oggi le possibilità rivoluzionarie sembrano ancor più del passato riservate a chi possiede le competenze per sfidare il potere sullo stesso piano: il piano tecnologico ed il piano comunicativo.

La rivoluzione culturale è quanto mai importante ma è inutile senza una strategia e capacità di azione sul piano tecnologico.
I rivoluzionari del futuro potrebbero quindi essere degli hacker.
Ma le competenze hanno un costo (in termini di tempo e denaro) sia di acquisizione sia di retribuzione.
E le tecnologie non sono alla portata di tutti.
Senza contare l’influenza culturale su chi, tendenzialmente, non rappresenta gli strati popolari.
Senza dubbio, quindi, la rivoluzione diventa anch’essa un fatto di élite: una élite che però non ha più bisogno del popolo per colpire.
E di conseguenza non ha più neanche bisogno del suo consenso.
La rivoluzione popolare è di fatto un sogno svanito?

7) Stando a queste considerazioni si direbbe di sì. Quindi?
Allo scontro frontale sul piano tecnologico, con i limiti che abbiamo visto, c’è una alternativa. Non la migliore, né la soluzione più rapida, né qualcosa che si può scegliere. Semplicemente la unica.
La comunità.
La comunità è quella realtà che ha una cultura dominante propria e può quindi sfuggire al monopolio culturale.
La comunità nel senso vero e autentico è quella realtà che esiste SOLO nel mondo reale ed è pressoché svanita nella società occidentale.
La comunità è per le strade, occupa le strade, vive le strade, vive le città e i posti di lavoro.
Sviluppa delle credente comuni e si fonda sulla solidarietà reciproca.
La comunità non è retta da comuni “interessi” ma da comuni, reali, concrete esigenze e necessità.
La comunità semplicemente è.
La comunità è una classe sociale, un gruppo etnico, una fascia d’età o qualsiasi gruppo sociale che condivide spazi e modi di vita, in maniera distinta dalla maggioranza.
La comunità in questione ha implicite potenzialità rivoluzionarie semplicemente perché esiste secondo regole proprie.
Ed è molto più difficile imporsi su una comunità che su un individuo.

Nel momento in cui abbiamo la necessità di vivere come gli altri, difficilmente possiamo sfuggire al monopolio culturale pur odiandolo.

Dove sono queste comunità?
La risposta non può essere univoca ma è facile notare che, a parte le poche rimanenti sottocultura autoctone forse non abbastanza compatte e diffuse, le uniche comunità che mantengono queste caratteristiche sono le comunità migranti non ancora assoggettate al suddetto monopolio culturale.
Le possibilità rivoluzionarie, piaccia o meno, sembrano al momento limitate a queste realtà.
L’alternativa, invece, è tutta da costruire.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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