Scomparso a Monza nel 2012, per tre volte – nel ’48, nel ’51 e nel ’55 – vinse il Giro d’Italia, per altre tre il Campionato italiano e sempre tre volte (consecutive) trionfò al Giro delle Fiandre, ciò che gli valse l’appellativo di “Leone delle Fiandre”. Fu commissario tecnico della nazionale, “terzo” nell’eterna sfida tra Coppi e Bartali e la sua tomba è oggi custodita all’interno del cimitero monumentale di Monza.
Ma Fiorenzo Magni, professionista dal ’41 al ’56, figlio di un trasportatore, dopo l’armistizio del ’43 rispose alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana stabilita nel Nord Italia da Benito Mussolini. Una “colpa” che gli costò per sempre l’accusa di essere fascista e, di conseguenza, diverse contestazioni (quando vinse nel ’48, a Milano, fu fischiato dal pubblico) ed anche qualche tentativo di aggressione, come scriveva proprio Internazionale (“La storia sbagliata di Fiorenzo Magni) qualche anno fa. D’altronde, già nell’aprile scorso, la figlia Beatrice lamentava la scarsa attenzione rivolta al ricordo del padre ed al suo importante ruolo nel mondo del ciclismo anche da parte di Monza, sua città d’adozione, proprio per le motivazioni “politiche” citate: “abbiamo sempre sentito come una spina la mancanza di un ricordo ufficiale“.
Ed è per quelle stesse ragioni che, nei giorni scorsi, la presidente della sezione locale dell’Anpi, Angela Riviello, ha dichiarato la sua contrarietà rispetto alla proposta dello storico Walter Bernardi, che ha aveva avanzato l’idea di intitolare proprio alla sua memoria una pista ciclabile a Prato. Una proposta che, peraltro, non avrebbe ancora nulla di ufficiale.
“Magni ha scelto la parte sbagliata della storia“, si legge nel suo comunicato, “non per necessità ma consapevolmente dopo l’8 settembre e quindi non si può intestare una via a lui perché sarebbe un modo per sfumare la camicia nera in maglia rosa. Noi abbiamo una responsabilità davanti ai nostri ragazzi e Magni a Prato è ancora una ferita aperta”. “Attenzione a costruire falsi eroi”, ha ammonito la Riviello, proprio in riferimento all’idea di Bernardi, in procinto di uscire con un libro dedicato proprio al ciclista: “Fiorenzo Magni, la maglia rosa sulla camicia nera“.
Incisiva la risposta di Bernardi, che ha abilmente schivato le accuse, replicando: “Qui a Prato ci sono strade intitolate a fior fior di repubblichini, come quella ad Arrigo Bartoli proprio a Vaiano (paese in cui Magni è nato, ndr). Io quando ho lanciato la mia idea pensavo al Magni ciclista, allo sportivo, ma qui a Prato parlare di lui è diventato un tabù. Io ho la tessera dell’Anpi e sono un uomo di sinistra ma qui in Toscana siamo guelfi e ghibellini, da sempre ci piace litigare tra noi, soprattutto tra gli appartenenti a questa parte politica”.
Sottilizza, invece, Fulvio Conti, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze, che su ilfattoquotidiano.it, argomenta: “Io personalmente non avrei niente in contrario con la proposta di intitolare a Fiorenzo Magni una pista ciclabile per i suoi meriti sportivi. Una pista ciclabile, ma non una strada o una piazza: già in questa scelta c’è la volontà esplicita di onorare la memoria del campione di ciclismo nella sua terra di origine, separandola da alcune vicende che hanno macchiato la sua vicenda di uomo”. Secondo il docente, peraltro, la storicizzazione del fascismo sarebbe dovuta passare, singolarmente, da una “Norimberga italiana” (anziché attraverso l’amnistia promossa proprio da Togliatti) per impedire agli italiani di avere del regime un’immagine “edulcorata” rispetto al nazismo ed allo stalinismo.
Un chiacchiericcio continuo al quale non resta che rispondere alla Magni, che nel ’51 non venne invitato alla cerimonia di apertura del Giro d’Italia all’altare della Patria a Roma proprio a causa del suo passato e lui, per tutta risposta, proprio quell’anno vinse il giro nonostante un infortunio alla spalla seguito ad una caduta. Poche chiacchiere e pedalare.