
Secondo Wopke Hoekstra, infatti, dopo sette anni di crescita, l’Europa dovrebbe aprire una investigazione e capire il perché questi Paesi non hanno i margini per far fronte da soli alla crisi aperta dalla pandemia. Costa ha affermato testualmente: “questo discorso è ripugnante, ripeto: RI-PU-GNA-NTE!”. Ed ha aggiunto: “questo virus colpisce tutti in maniera uguale. Se non capiamo che, ad una sfida comune, dobbiamo dare una risposta comune, allora non abbiamo capito la funzione dell’Unione Europea. Si tratta di dichiarazioni incoscienti. Questa meschinità ricorrente mina lo spirito dell’Ue e il nostro futuro comune”.
Il riferimento, spiega El Pais, è alla posizione di Paesi come Germania, Austria e, appunto, Olanda, che già in seguito alla crisi dei debiti sovrani avevano espresso il rifiuto di dare soldi a “chi non fa i compiti a casa”, che sarebbe come prestare soldi a “chi li spende in alcol e donne”.
LA PANDEMIA DIVIDE L’UNIONE EUROPEA
Quello aperto dalla lettera sottoscritta da nove Paesi dell’Unione Europea – Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Italia – è una vera e propria frattura all’interno dell’Ue, capace di romperne definitivamente gli equilibri o di portare ad una svolta epocale, con l’attribuzione di maggiori competenze allo “stato centrale”.

E’ infatti ingenuo leggere il “gioco” dipingendo gli Stati “frugali” come cattivi che non vogliono aiutare l’Italia e la Spagna, i più colpiti in questo momento dal lock down. Gli eurobond, oggi ribattezzati “coronabond“, sarebbero infatti titoli di debito emessi da un’ente europeo, che vedrebbe come garanti tutti i Paesi dell’Ue.
Per Paesi con un debito pubblico e tassi di interesse sul debito molto più bassi del nostro, si tratterebbe semplicemente di un trasferimento delle risorse “da nord a sud” e di pagare di più per fare debito, oltre che di mettere il comune un debito con Paesi con conti meno “in ordine”.
Un “azzardo morale” secondo Hoekstra, che spingerebbe a non proseguire con le riforme (tagli alla spesa, allo stato sociale e privatizzazioni per capirci) che da tempo l’Europa ci chiede. Ma, sul tavolo, c’è molto di più e si tratta della creazione di una politica fiscale comune e di un’ulteriore cessione di sovranità all’Ue, avvicinandoci ulteriormente alla creazione di uno Stato federale europeo. Alla Germania, in questo momento, non conviene e sarebbe una mossa difficile da spiegare agli elettori anche dal punto di vista costituzionale – come ha sottolineato in questi giorni Thomas Fazi, autore di “Sovranità o barbarie” e non certo filo-tedesco -, dal momento che le decisioni in materia di politica fiscale e bilancio sono di competenza esclusiva del parlamento tedesco.
SUL TAVOLO POLITICA FISCALE COMUNE E CESSIONE DELLA SOVRANITA’

Per comprendere l’alleanza italo-francese di questi giorni, basta del resto far riferimento alle posizioni dei partiti italiani più europeisti.
Massimiliano Iervolino, segretario dei Radicali Italiani, ha in questi giorni rilasciato un comunicato in cui afferma: “La proposta del Governo italiano all’Eurogruppo dovrebbe prevedere, nel breve periodo, l’emissione di ‘coronabond‘ da parte della Banca europea per gli investimenti, per fronteggiare l’emergenza; nel medio periodo, l’indicazione da parte degli Stati membri delle competenze economiche e sociali che sarebbero disposti a trasferire all’Europa per arrivare a una politica fiscale comune, condizione necessaria per emettere “eurobond”. L’obiettivo è superare la crisi economica facendo passi in avanti verso la Patria europea”.
Sulla stessa linea il Partito Democratico: “l’Europa”, sostiene il responsabile economia del Pd Emanuele Felice, “deve compiere un salto di qualità, e noi ci battiamo per questo […], discutiamo pure sulla forma e i dettagli, ma l’obiettivo deve essere ambizioso. Gli eurobond segneranno anche una svolta nell’integrazione europea, in direzione, finalmente, di una politica fiscale comune. Da questa crisi possiamo uscire solo con un’Europa più forte e coesa”.
Secondo il “Sole 24 Ore”, del resto, “molti degli attuali problemi dell’Europa sono l’eredità di una visione miope e perdente di integrazione economica e fiscale”, superabile solo attraverso “la centralizzazione delle decisioni di spesa e di destinazione dei relativi impieghi”, il quale produrrebbe “un valore aggiunto rispetto a 28 (oggi 27) sedi decisionali distinte, ognuna con le sue priorità”. Nel 2016, d’altronde, il giornale di Confindustria fu molto più esplicito: “Spazio agli eurobond e meno sovranità”. “La decisione”, spiegava, “sarebbe un passo in avanti verso un sistema federale dove l’unione monetaria sarebbe affiancata da quella fiscale e di bilancio, mentre l’Eurozona oggi ha solo l’euro e quelle (incomplete) dei mercati e bancaria”.
Dello stesso parere la piattaforma “Sbilanciamoci“: “Il banco di prova decisivo per l’Europa è però l’introduzione di una politica fiscale comune e di un meccanismo di condivisione del debito pubblico dei paesi, a partire dagli Eurobond”. Ecco perché, tra i sostenitori degli eurobond troviamo anche l’ex presidente della Commissione Europea, nonché traghettatore dell’Italia nell’euro, Romano Prodi. Per uscire da una crisi di queste dimensioni (si parla di almeno dieci punti percentuali del nostro Pil), L’alternativa al salto di qualità, secondo “Sbilanciamoci”, sarebbe appunto una forse definitiva rottura dell’aera euro, con la “possibilità di emettere una moneta nazionale“, “espandere senza limiti la spesa pubblica”, bloccare le “uscite di capitali” o procedere ad “acquisti forzosi di titoli di Stato”. Tutte politiche contrarie al paradigma neoliberista europeo, che renderebbero il futuro dell’Ue quanto meno “scoppiettante”.
PUNTO DI NON RITORNO
Ecco perché il premier olandese Mark Rutte, perfettamente consapevole della posta in palio, ha sottolineato: “Siamo contrari ai coronabond e molti altri Paesi lo sono, perché porterebbe l’eurozona in un altro territorio, sarebbe come attraversare il Rubicone“.
L’Europa, insomma, potrebbe essere ad un punto di non ritorno.
Ma è importante chiarire che le posizioni di Conte, Sanchez, Macron e soci hanno poco a che spartire con la sovranità nazionale.
Emmanuel Raffaele Maraziti
Una risposta a "Coronabond: ecco perché Germania e Olanda non li vogliono"