La tetta “femminista” di Victoria

Chiariamo prima di tutto una cosa: se una donna vuole mostrare le mammelle, credo che debba poterlo fare in tutta libertà.
Anzi, ben venga perché, da non-asessuati, le mammelle ci piacciono. Anche quelle piccole di Victoria.

Ma è il caso di sottolineare che la polemica che riproponeva ieri la stampa, sull’onda del movimento “Free the nipple” (“Libera il capezzolo”) e dopo la “censura” del capezzolo di Victoria dei Maneskin in concerto, è quanto meno carente e contraddittoria dal punto di vista teorico.

L’accusa che la polemica porta con sé è la solita: “la società patriarcale censura il corpo femminile perché la vuole chiusa in casa, sottomessa e non uguale all’uomo”.

Ma l’accusa, appunto, fa acqua da tutte le parti.

L’articolo uscito ieri su FanPage

PETTO FEMMINILE E MASCHILE NON SONO LA STESSA COSA

Innanzitutto, l’accusa dà assurdamente per scontato che petto femminile e petto maschile siano la stessa cosa ma, biologicamente ed esteticamente, le cose non stanno così, ragion per cui la comparazione in termini di uguaglianza tra i fattori è già un errore.

Il seno femminile ha una funzione biologica che il petto maschile non ha ed una conformazione differente dal punto di vista anatomico.
Il petto maschile è, per dirla volgarmente, un seno che, dal momento della sessuazione, non si è sviluppato come tale.
E’ un non-seno.

Il termine seno, del resto, com’è possibile verificare anche sulla Treccani se mai ce ne fosse bisogno, è usato soprattutto come sinonimo del seno femminile, anche perché il termine in realtà non indica le mammelle in sé ma l’insenatura, appunto, tra le mammelle tipica delle donne.

UNA CENSURA INESISTENTE

La ipotetica censura del seno femminile è, peraltro, pressoché inesistente.
Si tratta di una cosa limitata ormai solo ai social, mirata ai seni femminili (non ai capezzoli, furbescamente usati dallo slogan del movimento per simulare linguisticamente una uguaglianza che non esiste) sulla base di una differenza finora incontestata.
Ma, tutto si può dire, meno che i social abbiano una tendenza patriarcale, allineati come sono alle cause progressiste.
Semplicemente, Instagram avrà intuito che, liberalizzando la nudità, Instagram si convertirebbe in qualcosa di simile ad Only Fans.
Perché possiamo gridare al mondo che una tetta di fuori è solo una parte del corpo come un’altra ma, come dicevamo, non è così.

IL SENO FEMMINILE ESERCITA ATTRAZIONE EROTICA E NON LO HA DECISO IL PATRIARCATO

Per ragioni che non stiamo qui ad approfondire (presumibilmente perché i seni femminili sono collegati alla fase riproduttiva) i seni femminili hanno oggettivamente un ruolo attivo nell’ambito dell’erotismo e della sessualità.
Senza contare che la sua funzione pratica (l’allattamento) ha nel tempo conferito ai seni femminili, come agli altri organi delegati a espletare funzioni fisiologiche e sessuali, una sfera di intimità e pudore differente rispetto al petto maschile.

RIPENSIAMO IL PUDORE? VA BENE! TIRATE FUORI ANI, PENI E VAGINE!

Possiamo anche ripensare il concetto di pudore (sempre che sia un concetto e non, appunto, un istinto dell’uomo), ma in questo caso dovremmo coinvolgere nel discorso il corpo intero e pensare nell’esposizione naturale di peni, ani e vagine in pubblico.
Non mi scandalizza, ne possiamo parlare, siete pronti? Siete coerenti?

LE NEO-FEMMINISTE VOGLIONO A-SESSUALIZZARE LA DONNA, COME LE RELIGIONI MONOTEISTE

Come si evince dalle ragioni della polemica (seno femminile=petto maschile), le ragioni del movimento e delle polemiche si basano sul fatto che “il patriarcato ha sessualizzato il seno e il corpo femminile”. Rendendolo qualcosa di diverso dal petto maschile.
Come dicevamo, per quanto si possa negare o reprimere, la natura ha fatto tutto da sola.
Ma le conseguenze logiche dell’accusa sono abbastanza singolari.
Vediamo perché.

LE SOCIETA’ PAGANE PATRIARCALI NON AVEVANO PROBLEMI CON LA SESSUALIZZAZIONE DEI CORPI

Il patriarcato è precedente al cristianesimo e le società pagane, pur patriarcali, non avevano problemi con la sessualizzazione dei corpi, tant’è che l’arte pagana antica si esprime spesso e volentieri attraverso la raffigurazione di uomini e donne nudi, nonché nella riproduzione di atti sessuali anche espliciti.
La censura del corpo, connessa alla censura della sensualità maschile e femminile, ha quindi riguardato le società cristiane e monoteiste (con riferimento a islam ed ebraismo), ma non le società patriarcali in quanto tali.
E’ curioso notare, quindi, che il neo-femminismo sembra così riprendere quell’opera di a-sessualizzazione della donna (e dell’uomo) portato avanti finora dalle religioni monoteiste, seppur senza gli stessi slanci trascendentale.

LE FEMMINISTE COMBATTEVANO PER RIVENDICARE LA PROPRIA SESSUALITA’

Fa pensare il fatto che, per decenni o forse secoli, le donne libere avevano combattuto esattamente per il suo contrario: affermare l’idea della donna come essere sensuale attivo (con la rivendicazione del piacere che ne consegue), in opposizione all’idea medievale della donna-angelo, della donna che è tutt’al più oggetto (spogliata a piacimento e usata) e della donna che serve solo a dar figli.
Anche questa lotta si è espressa nella forma di una esposizione provocatoria del corpo femminile, in tempi in cui questa esposizione era davvero provocatoria, scandalosa e rara.

Ma l’esposizione del corpo, in quel caso, non rivendicava l’asessualità del corpo femminile, la sua neutralità ed uguaglianza rispetto all’uomo.
Al contrario, la donna si sentiva libera in quanto, finalmente, donna.
Pienamente consapevole della sua sensualità, libera di provocare senza essere giudicata, libera di scegliere, capace di difendersi.
Quindi senza paura di accettare o respingere, con le buone o con le cattive, gli apprezzamenti maschili, che dopo secoli avevano smesso finalmente di rappresentare un’offesa all’onore della donna.

DESIDERIO SESSUALE E MASCOLINITA’ CRIMINALIZZATI

Oggi, invece, con questo femminismo, che considera molestia anche lo sguardo, siamo tornati all’idea degli occhi bassi. A doverli abbassare, però, sono in questo caso gli uomini, che hanno perso il diritto di essere uomini ed il cui desiderio sessuale è ormai criminalizzato (pensiamo alla polemica sul cat calling, i complimenti azzardati alle feste degli alpini, la tipa finita sui giornali per aver scattato una foto ad un uomo in palestra, complimentandosi del fatto che, avendo il suo culo di fronte, abbia abbassato gli occhi per non guardarlo o la tipa che, sempre in palestra, aveva sputtanato un signore che, col suo culo in faccia, aveva osato guardarlo).

SMEMORATE O DISTRATTE, ACCUSANO IL PATRIARCATO DI CIO’ CHE HA FATTO IL FEMMINISMO

Già decenni fa si bruciavano i reggiseni in piazza, anche se i quotidiani progressisti di oggi ci parlano della rinuncia al reggiseno come fosse l’ultimo atto di rivolta contro un crudele marchingegno inventato dal patriarcato (Che dire allora di slip e boxer maschili: sono anch’essi opera del patriarcato o non, più semplicemente, una questione di comodità e praticità? Avete mai visto un’atleta donna correre o allenarsi senza reggiseno sportivo? No, perché non è comodo).
Sempre decenni fa, l’esposizione del corpo femminile, curato e (per la prima volta ) completamente glabro, in tacchi e minigonna, era davvero rivoluzionario rispetto all’immagine di una donna che, se si curava, esponeva o voleva apparire troppo sensuale, veniva giudicata male.

Oggi, però, le femministe radicali, attraverso influencer e quant’altro, ci spiegano che depilarsi, truccarsi, stare in forma o indossare i tacchi, corrisponde a un’idea della sensualità “femminile” stereotipata dall’uomo e che perseguire l’opposto è parte della lotta al patriarcato che avrebbe imposto questi paradigmi estetici.
L’ennesima idiozia che dimostra poca conoscenza della storia e delle logiche di liberazione (sessuale) portate avanti proprio dalla donna.
Che piaccia o no, lo “stereotipo”, come dicevamo, è stato infatti costruito proprio dalle donne con l’intenzione di rompere con un passato di apparenza casta e castigata.
Farsi belle, esporsi, provocare, era un simbolo di libertà.

ISTANZE GENDER FLUID, ALTRO CHE FEMMINISTE

Infine, dovendo ipotizzare un obiettivo ad ampio raggio delle attuali istanze “femministe”, direi che i risultati hanno ben poco di femminista e che, dunque, ben poco femministe sono da considerarsi tali istanze e movimenti.

Stando ai termini delle accuse formulate, infatti, ci portano dritti alla promozione di una versione asessuata dell’uomo e della donna, che priva entrambi delle differenze che li caratterizzano come tali. Siamo quindi in pieno spirito “gender fluid”, una tematica che infatti sta al centro dell’agenda progressista.

E’ in quest’ottica che si comprende il perché della necessità di propagandare una versione sempre più femminile dell’uomo e sempre più mascolina della donna.
Non a caso, tornando alla notizia che ci ha “ispirato”, non solo le esposizioni del corpo in stile Victoria si accompagnano senza problemi alle proteste in senso opposto (ricordiamo le giocatrici di volley che protestavano per le uniformi troppo corte o le urla delle femministe contro i corpi femminili scoperti dei manifesti pubblicitari), ma anche ai continui elogi bavosi di Damiano in tacchi, minigonna e perizoma, di Fedez con lo smalto, di Mahmood e Blanco che flirtano sul palco di Sanremo, di Jonathan Bazzi che ci spiega come essere uomo.

La copertina di ieri su Vanity Fair

ALTRO CHE MASCOLINITA’ TOSSICA, VOGLIONO FAR FUORI IL MASCHIO

Per farla finita con la mascolinità tossica, hanno decido si farla finita con l’uomo.
La mascolinità tossica esiste e si esprime attraverso una mascolinità fragile, timorosa di ogni sfida alla sua virilità. Non è altro che una delle tanti espressioni del conformismo umano.
Ma il fatto che esista una mascolinità tossica non vuol dire che non esista una mascolinità (sana), da smontare a tutti i costi attraverso la criminalizzazione della eterosessualità e delle differenze.

A me non scandalizza e importa poco come vestono o si svestono Damiano e Victoria ai loro concerti.
Mi scandalizza il coro di voci progressiste che creano notizie dal nulla solo per esaltare i messia del nuovo vangelo gender fluid e dipingerli come esempi a cui tutti dovremmo adeguarci.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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