Giudizi insindacabili: la Corte europea contro gli Stati

corte_europea_di_giustiziaPrima che la sua assoluta mancanza di discrezione e cautela rendessero a Berlusconi impossibile politicamente difendersi dai giudici, pezzi come questi sarebbero suonati quasi filo-berlusconiani, tesi a dimostrare l’enorme influenza politica dei giudici.

In realtà, il giudizio (e pregiudizio) del magistrato che inquisisce o che emette una sentenza, la sua interpretazione dei fatti, che si combina con l’interpretazione della norma (tanto ampia, quanto più la disposizione che ne viene fuori risulta sgradita al giudice di turno) e della volontà del Legislatore, è quanto di più scontato possa esistere. Ed oggi che Berlusconi è caduto e che al governo c’è Monti, ovvero l’uomo gradito all’Europa, nonché non votato da nessuno se non dall’Europa stessa, un pezzo del genere può benissimo fare a meno di secondi fini e limitarsi ad indirizzare la sua morale nei confronti dell’Ue e del suo funzionamento.

Anche Berlusconi del resto passa, mentre l’Europa, a quanto pare, invece, resta, a dispetto dell’Euro, delle divisioni interne ed anche della sua nullità politica. Il progetto, del resto, storicamente imposto dagli Usa all’Europa in cambio dei fondi ricevuti con il Piano Marshall, è da sempre caro agli ambienti che hanno imposto al mondo ed al nostro continente il Libero Mercato Globale, che non hanno certo intenzione di mollare tutto ora, per qualche difetto di progettazione della moneta unica.

Chi vuole l’Europa del Mercato non ha certo fretta, lo ha sempre dimostrato. Agisce con pazienza ed incredibile costanza ed ha intelligentemente bypassato ogni progetto immediatamente federalista, per abbracciare visioni più furbescamente funzionaliste, portando ad una federazione di fatto, senza che nessuno (si legga, il popolo) se ne accorgesse. Non prima di essere assuefatto alle due parole magiche: Europa unita. Anche a costo di perdere decenni, pur di mettere al sicuro il risultato, impedendo che la cosa diventasse un boccone politico troppo grande da digerire.

Cessioni parziali della sovranità. Cessioni a volte impercettibili, spesso imposte senza neanche il bisogno di coinvolgere i governi nazionali. Ed in questo, la Corte di Giustizia Europea ha fatto bene il suo lavoro, risultando decisiva nel fare dell’Europa un super-Stato senza che nessuno si rendesse pienamente conto del come.

«Per descrivere e spiegare la costituzionalizzazione dei Trattati, e l’integrazione legale dell’Europa, è necessario partire dalla Cge (Corte di Giustizia Europea, ndr), l’attore che, inizialmente in solitudine, ha letteralmente inventato e dato vita ai processi che qui si intende analizzare». Un attore, insomma, che Giorgio Giraudi, docente di Analisi delle Politiche Pubbliche presso l’Università della Calabria, nel suo «Ripensare l’Europa», supportato da autorevole dottrina, definisce a dir poco essenziale nella definizione della direzione del processo di integrazione legale europeo.

Un ruolo che, a partire dal Trattato di Roma, acquista rilevanza in relazione all’art. 177 (poi divenuto 234) che definiva il potere della Corte di interpretare i trattati su richiesta delle corti nazionali. È a partire da lì, infatti, che la Corte riesce a creare la supremazia del diritto europeo su quello nazionale, mentre «i trattati non specificavano, volutamente, quale norma dovesse prevalere nel caso in cui il diritto comunitario venisse a trovarsi in conflitto con una norma nazionale».

Il primo passo in tal senso avviene nel 1963, quado alla Corte tocca pronunciarsi sul caso Van Gend ed Loos: «l’articolo 12 del Trattato Cee», ci spiega ancora Giraudi, «proibiva agli stati membri di aumentare le tasse di importazione oltre i limiti fissati per il commercio intracomunitario». Ebbene, un importatore olandese sosteneva che il suo Paese violasse gli obblighi Cee, avendo fissato all’8 per cento una tassa di importazione che all’entrata in vigore dei trattati era al 3 per cento. «In sostanza», prosegue Giraudi, «si trattava di esprimersi sulla questione se i trattati, per diventare vincolanti e operativi, dovessero essere recepiti ad un atto normativo nazionale, come è il caso di tutti gli accordi internazionali».

La Corte, in breve, esplicitò l’esistenza di un «nuovo ordine legale internazionale» e chiarì, in pratica, che le norme europee non avevano bisogno di essere recepite, essendo direttamente applicabili ai cittadini, soggetti dei trattati come gli Stati membri.

La logica internazionalista era per sempre superata. Senza che i popoli ne sapessero nulla, l’Europa era diventata il nuovo padrone e la Corte di Giustizia la spada (ancora spuntata dall’impossibilità di infliggere sanzioni) usata per attaccare a morte la sovranità nazionale.

Una decisione, fa notare il testo, che in effetti riecheggia la sentenza del 1803 della Corte Suprema Statunitense, che ugualmente decretava proprio l’esistenza di un «nuovo ordine legale» negli Usa.

È con la sentenza relativa al caso 106/77 Simmenthal, però, che il passaggio è completato e la supremazia del diritto comunitario diventa dottrina a tutti gli effetti. Se finora ci si era limitati a stabilire la superiorità delle norme contenute nei trattati, la conclusione di questo caso portò infatti ad uno step successivo e si che chiarì definitivamente la supremazia di ogni fonte comunitaria rispetto alle norme nazionali, che diventavano inapplicabili se incompatibili con quelle europee.

Una questione che, negli anni, ovviamente non è passata inosservata alla Corte costituzionale italiana e tedesca.

Per riaffermare il principio della natura internazionalista del diritto comunitario, infatti, la Corte italiana ha per lungo tempo sostenuto una tesi che, seppur sostanzialmente poco incisiva, giuridicamente risultava fondamentale. In breve, la Corte sosteneva che la mancata applicazione di una norma contenuta nei trattati costituisse una violazione da parte dello Stato italiano, ma solo in quanto violazione dell’art. 11 della Costituzione: «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».

Mentre la Corte costituzionale tedesca ha sfidato la Corte di Giustizia europea in maniera ancor più dura, pretendendo di tenere per sé il compito di valutare la compatibilità delle norme comunitarie con i diritti fondamentali della costituzione tedesca e valutando eventuali eccessi di potere delle istituzioni comunitarie nell’applicazione dei trattati. Tutto ciò, provocando naturalmente la pronta reazione della Corte europea.

Dunque, se il deficit democratico dell’Europa è cosa nota, le vicende legate alla Corte europea chiariscono ancora di più quanto il processo di integrazione sia stato oltre ogni immaginazione antidemocratico, frutto dell’imposizione non solo dei governanti, ma di pochissimi tecnocrati e giudici (l’accostamento non è, non può essere casuale) senza (amor di) patria.

Uno sdegno, dunque, che può solo esplodere in un rifiuto ancor più netto di quest’Europa che, ancora oggi, in virtù degli errori del passato, decide del nostro destino.

Emmanuel Raffaele, “Il Borghese”, febbraio 2012

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