Tra stato e mercato nel 2007, Chi governa l’acqua? nel 2008: Giulio Citroni, docente di Politica Comparata e Scienza Politica presso l’Università della Calabria, la Florida State University e l’Università di Firenze, da tempo analizza la questione del servizio idrico.
Abrogazione del decreto Ronchi per difendere l’acqua pubblica: ma dopo la legge Galli lo è ancora?
Nel ‘94 si sono introdotte logiche privatistiche nella gestione ma si era, credo legittimamente, lasciato all’autonomia dei comuni (associati in ATO) la decisione sulle forme aziendali pubbliche, private o miste da adottare. La legge “Comunitaria” Ronchi prevede l’obbligo di ricorso alla gara per l’affidamento a società di capitali o, in alternativa, la vendita di quote non inferiori al 40% delle società pubbliche a soggetti privati. Il referendum propone di abolire tale obbligo (e non, come dicono gli spot RAI, di abolire la possibilità di ricorso al privato): come segnala la Corte Costituzionale (sentenza 24/2009) un simile obbligo non trova alcuna giustificazione nell’ordinamento comunitario.
Cosa significherebbe abrogare il decreto Ronchi?
Innanzitutto chiarire che, dopo quindici anni di sperimentazione, tentativi di in house, società miste, gare ecc. non si è scoperto – come sembra presupporre il decreto – che le gare sono il modo migliore di operare e non è quindi giunto il momento di vietare le altre forme di gestione.
Difficoltà nell’implementazione della legge Galli: cosa si è sbagliato?
L’implementazione prevista era molto complessa: ha dato avvio a una sperimentazione non ancora terminata, che forse avrebbe bisogno di incentivi, partecipazione e controllo/valutazione, più che di interventi drastici come l’obbligo di un ricorso generalizzato alle gare e alle privatizzazioni.
Pochi partecipanti nelle gare per la scelta del socio privato e la decisione sulla gestione è ancora politica. Il mercato ha già fallito?
Di regole e controlli nelle gare si parla da anni ma su questo nessun governo è intervenuto efficacemente. Qualcosa è emerso dai lavori dell’Antitrust, che nel 2007 condannò ACEA e SUEZ per comportamento collusivo nelle gare per l’acqua toscana. A questo proposito si deve ricordare il secondo quesito sulla tariffa del servizio idrico: esso va direttamente a colpire il “mercato per decreto” tipico di molte privatizzazioni italiane, dove “il privato porta i capitali”, salvo poi farne pagare il costo al cittadino in bolletta.
Acqua pubblica: la gestione diretta è ormai improponibile?
E’ chiaro che il pubblico non intende costruire tubi e contatori: un ruolo del privato permarrà quanto meno nel ruolo di fornitore. Di qui, ad affidare al privato la definizione delle strategie aziendali complessive, ci corre molta distanza.
Costi socializzati e profitti privatizzati?
I costi certamente sono socializzati ed è naturale che sia così. Forse si dovrebbe anche riaprire la possibilità che gli investimenti sulle reti siano da finanziare con tassazione progressiva e non con una tariffa imposta su un consumo sostanzialmente rigido. I profitti, se ci sono, sono di chi gestisce.
In conclusione, quale ritiene sia la ricetta migliore?
In Europa le soluzioni sono diverse: la Francia, ad esempio, ha sempre affidato la gestione ai privati e ha dovuto correre ai ripari negli ultimi vent’anni per rimediare a corruzione, inefficienze, e opacità di un oligopolio privato che schiacciava i comuni. I casi esaminati dimostrano che contano il controllo, la valutazione, la partecipazione, oltre ovviamente alla capacità dei governanti.
Emmanuel Raffaele, “Calabria Ora”, giugno 2011