Nel cinquantenario del quotidiano “Al-Thawra”, il presidente siriano Bashar al-Assad ha rilasciato alla storica testata una corposa intervista pubblicata giovedì e diffusa integralmente da Syrian Arab News Agency [1]. Numerosi gli spunti utili a cogliere la realtà del “conflitto” siriano ed il ruolo dei media occidentali nel rendere tutto ciò meno comprensibile.
Una realtà sotto gli occhi di tutti ma scomoda da scandire a chiare lettere per non rischiare di confondere l’opinione pubblica: il nemico che combatte la Siria è lo stesso che l’Occidente ha millantato di aver combattuto per anni dopo l’undici settembre, il terrorismo islamico.
Ma ciò che ancor di più emerge è l’esistenza altrettanto scomoda di un’Islam forte ma laico, rappresentato esattamente dalla Siria.
«La nostra Costituzione e le nostre leggi – spiega infatti Assad – vietano i partiti politici fondati sulla base di un’ideologia religiosa». «Ciò non deve essere inteso – ha aggiunto il presidente siriano – come un atteggiamento avverso alla religione; al contrario, noi sosteniamo la religione. Religione in quanto vocazione, alta vocazione di insegnare la parola di Dio e che dovrebbe essere elevata a un livello più alto del governare la vita quotidiana delle persone». «La religione – ha concluso dunque Assad – non deve essere ridotta ad un partito politico».
Ecco i nemici della Siria, quindi. Identici in teoria ai nemici degli Usa, che pure adesso armano proprio i terroristi islamici in funzione anti-Assad, così come fecero in Afghanistan contro l’Urss.
«La Siria fin dal 1985 – ha ricordato Assad – ha ripetutamente chiesto una chiara definizione di terrorismo e ribadito la necessità di formare un’alleanza internazionale contro di esso. Ma tutto ciò non è stato preso sul serio dal momento che il terrorismo non aveva ancora colpito all’interno dei loro confini. Io ho sempre detto ai funzionari americani che la guerra contro l’Afghanistan avrebbe promosso e diffuso il terrorismo».
Ed i giacimenti di gas possono avere un ruolo in questo strano gioco di ruolo degli Usa? «I primi studi – spiega il presidente – hanno rilevato riserve di gas di grandi dimensioni soprattutto in mare, dall’Egitto attraverso la Palestina lungo la tutta la costa. Tali risorse sono di più a nord. E c’è chi sostiene che una delle ragioni della crisi siano proprio le riserve di gas ed il fatto che non dovrebbero essere a disposizione di stati che si oppongono alla politica israeliana e americana».
Propaganda in atto dunque, come quando si racconta di una Siria che si ribella ad Assad.
«Se per amor di discussione – ha aggiunto in merito – dovessimo accettare l’idea che il concetto di rivoluzione cambi, facendo di ciò che accade in Siria una rivoluzione, dovremmo poi ammettere anche che gli atti di Israele contro i palestinesi costituiscono una rivoluzione israeliana contro l’oppressione palestinese, o che l’invasione americana in Iraq e in Afghanistan è stata una rivoluzione».
Dunque, jihad contro la Siria? Neanche per idea. Ed è qui che il presidente Assad fa dichiarazioni importanti anche per cogliere la dialettica tra estremismo e Islam: «quello che sta accadendo in Siria è l’esatto contrario del concetto di jihad: è terrorismo». «E’ sufficiente – ha osservato – cercare la guida del Corano, nel quale risuonano le chiare parole di Dio. L’Islam è una religione di misericordia e di perdono. La parola “misericordia” è usata decine di volte nel Corano. L’Islam è venuto a promuovere i valori umani, a portare misericordia, amore ed impedire le uccisioni».
Duplice, infatti, il pericolo per la Siria e per i paesi arabi: l’appiattimento su posizioni occidentaliste ed, al contrario, la via del fanatismo religioso. Ed ecco, quindi, la necessità di una “terza via”, in nome del “panarabismo”, che unisca anziché dividere e cementi così l’identità nazionale.
Un’identità messa in pericolo, in primo luogo, proprio dall’emergere dei fanatismi religiosi, che «hanno creato la prima scissione tra panarabismo e islam, lavorando sodo per formare un paese per gli islamisti e un altro per i nazionalisti».
Identica, del resto, la chiave di lettura che il presidente Assad fornisce per spiegare la “crisi” del governo Morsi in Egitto, da imputare ad un prevalente sentimento “nazionalista” a dispetto dell’islamismo promosso dai Fratelli Mussulmani che, non a caso, avevano prodotto la rottura dei rapporti con la Siria solo qualche settimana fa.
«Quando Morsi ha reciso i rapporti con la Siria – ha riferito Assad – ci sono stati tentativi da parte degli egiziani per raggiungere un compromesso. Il ministro degli Esteri Walid al-Moallem ha rivelato questi dettagli nella sua recente conferenza stampa. Ciò implica che non tutti nel governo egiziano avevano approvato la decisione di Morsi perché era effettivamente una decisione errata».