Usa, ecco chi non si inginocchia a “Black Lives Matter”: “Sam” e le altre

L'immagine può contenere: una o più persone e spazio all'apertoClasse ’97, viene da Liberty (Ohio) ed è nata il 21 aprile come Roma: Samantha Murphy nata Leshnak, dal 2019 portiere della formazione di calcio femminile statunitense North Carolina Courage, sta già facendo il giro della rete.
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Infatti, nonostante fosse una riserva, qualcuno è riuscito a immortalarla quando, durante l’esecuzione dell’inno, è rimasta in piedi, mentre tutte le ventidue giocatrici in campo si inginocchiavano in nome del movimento “Black Lives Matter“.
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Giustizia per George Floyd, basta vandali, ipocriti e “antifa”

Secondo Statista Media Platform“, nel 2017, la polizia statunitense ha ucciso 457 bianchi e 223 neri; nel 2018 il rapporto è di 399 bianchi e 209 neri; infine, nel 2019 abbiamo 370 bianchi uccisi dalla polizia e 235 neri. Guardando al totale degli ultimi cinque anni, da gennaio 2015 sono morti per mano della polizia 2385 bianchi, 1252 neri e 877 ispanici (214 di altre etnie).
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In termini assoluti, quindi, la polizia americana uccide più bianchi che neri.
Ma, se guardiamo ai numeri in termini relativi, ovvero in proporzione al numero totale degli abitanti, scopriamo che, essendo la comunità nera ancora una minoranza negli Usa, dal 2015 abbiamo 30 morti per milione di abitanti tra gli afro-americani, 22 tra gli ispanici e 12 tra i bianchi (4 di altre etnie).
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Le cifre, così ponderate, rendono quindi un po’ meglio l’idea del perché la morte del 46enne George Floyd, lo scorso 25 maggio a Minneapolis, abbia scatenato le proteste e le accuse di razzismo alla polizia, ma anche la ragione per cui le manifestazioni proseguano nonostante l’arresto dell’agente di polizia responsabile dei fatti, Derek Chauvin.

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Bannon: “L’Europa è un protettorato americano, neanche ci prova a difendersi da sola” [VIDEO]

Quando intorno a metà agosto aveva lasciato la Casa Bianca ed il suo incarico di consigliere ufficiale del presidente Donald Trump, il discusso Steve Bannon aveva fatto una promessa: “tornerò, da fuori posso combattere meglio“. E così ha fatto, tanto che, dopo aver ripreso il ruolo di direttore di Breitbart, nelle scorse ore Bannon ha tenuto un lungo discorso nel corso di una convention repubblicana in California, difendendo Trump a spada tratta. Un discorso utile a capire il rapporto di Trump con Bannon e con l’ “estrema destra” americana senza altri filtri che quello del realismo politico.

E’ un discorso che trasuda realismo politico, in effetti, quello di Bannon il quale, nonostante la “separazione”, rivendica ancora la sua fedeltà al presidente: “sono orgoglioso di essere la sua spalla qua fuori”. La Corea del Nord, negli oltre quaranta minuti del suo intervento, non viene mai nominata. La questione che secondo molti aveva condotto alla rottura (Trump aperto ad una soluzione militare, Bannon a dir poco critico) viene esplicitamente evitata. E’ senz’altro un tasto dolente ed ecco perché viene liquidata come una delle tante cose sulle quali sarebbe normale essere in disaccordo nell’ambito di una coalizione. Bannon, infatti, punta tutto su una priorità, il nazionalismo economico, e su un metodo, una coalizione stabile tra conservatori, populisti e nazionalisti. Continua a leggere

“Dunkirk” finalmente al cinema e ne parlano tutti (anche troppo) bene, ecco perché…

Con oggi, siamo al terzo giorno di proiezioni in Italia (a parte qualche anteprima il 30 agosto). Negli Usa, invece, è uscito già il 21 luglio scorso. E, chi si è cimentato nelle critiche, difficilmente ha risparmiato elogi. “Dunkirk“, film insolitamente realistico di Cristopher Nolan, che racconta un episodio cinematograficamente “inedito” della Seconda Guerra Mondiale, scritto e co-prodotto dallo stesso Nolan, girato a partire dal maggio 2016 quasi interamente nei luoghi dei quali racconta, con i suoi 106 minuti di pellicola, è praticamente già candidato a fare incetta di Oscar.

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Reuters, sondaggio choc: solo il 27% degli americani vuole la rimozione delle “statue confederate”. E su Charlottesville stanno con Trump

I giornali di tutto il mondo li hanno additati come monumenti simbolo del razzismo e Trump è stato ovviamente bersagliato per la sua analisi “non in linea” dei fatti di Charlottesville, seguiti proprio ad una manifestazione contro la rimozione della statua del generale Lee. A Boston, decine di migliaia di persone sono scese in strada per silenziare una manifestazione di poche decine di persone. Ma, a parte le urla delle piazze e gli estremismi mediatici, la maggioranza degli statunitensi vuole che i tributi ai soldati confederati sudisti rimangano al loro posto. A riportare la notizia è l’agenzia stampa internazionale Reuters, che cita un sondaggio Reuters/Ipsos.

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