Londra, i renziani Gozi e Ungaro sulla brexit: “ora serve più Europa” [VIDEO]

Da sinistra, Massimo Ungaro e Sandro Gozi

Londra, 30 gen – A poche ore dall’inizio del periodo di transizione che porterà all’uscita definitiva dall’Ue del Regno Unito, due big di “Italia Viva” – Sandro Gozi e Massimo Ungaro – si sono trovati a Londra per raccontare la loro visione sul “futuro dell’Europa nell’era della brexit”. 

E, seppur con sfumature differenti, entrambi hanno ribadito la loro opposizione ai sovranismi e la necessità di completare l’Europa nella direzione di un’Europa federale, il progetto di Stati Uniti d’Europa a cui anche la Boldrini aveva fatto cenno in una delle sue visite nella capitale inglese.

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Ieri su El País: “Radiografia di un suicidio politico”

Questa la foto di Matteo Salvini che, ieri, campeggiava a pagina 4 di “El Pais”

Per “El Pais” è tutto molto chiaro: “Dopo le elezioni europee, nelle quali la Lega ha dilagato in Italia, il Governo si è spaccato in tre blocchi: l’esecutivo di Salvini; quello di Luigi Di Maio, e un altro formato dal primo ministro, Giuseppe Conte, il titolare degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, il titolare dell’Economia, Giovanni Tria, e lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Da questo terzo polo, più istituzionale e vicino all’Unione Europea – spiega un deputato del Pd prossimo alle negoziazioni -, si è iniziato a tessere la trama della cosiddetta Operazione Ursula […]. Diffidente per natura, questa volta [Salvini, ndr] ha percepito indizi reali”. Continua a leggere

Area di libero scambio e cooperazione, ecco cosa chiede il Regno Unito dopo la “brexit”

Abbiamo già messo in guardia dalla convenienza economica e dall’opportunità politica di una eventuale chiusura da parte dei paesi dell’Ue nei confronti del Regno Unito. Ma, all’indomani dell’incontro tra i leader europei per ufficializzare la linea negoziale, resta soprattutto una riflessione da fare: le più svariate conseguenze disastrose prospettate in caso di uscita dall’Europa ed usate alla vigilia del referendum come spauracchio per indurre il popolo britannico a scegliere l’UE, si sono rivelate essere, semmai, a tutti gli effetti conseguenze dovute non tanto alla Brexit in sé, quanto – se questa venisse portata avanti fino in fondo – alla volontà punitiva della leadership europea. Lo abbiamo sostenuto nel nostro precedente articolo ed è ora il caso di concretizzare il concetto guardando all’indirizzo politico della premier Theresa May sull’argomento.

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Brexit, Merkel fa la voce grossa ma il Regno Unito ha un’arma da 70 miliardi di euro

Domani a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione Europea dovranno ufficializzare le linee guida per le trattative con – o, per meglio dire, contro – la Gran Bretagna per negoziare la Brexit.

“Siamo uniti, abbiamo una linea chiara e siamo pronti”, ha dichiarato Michel Barnier, che sarà il capo negoziatore dell’Ue in una trattativa che vede incredibilmente tutti d’accordo sulla necessità di punire il Regno Unito. Come ha sottolineato ieri la premier inglese Theresay May, infatti, i leader dell’Europa Unita si preparano “ad opporsi a noi” e raggiungere un accordo non sarà cosa rapida. Di mezzo, infatti, c’è innanzitutto una questione: i soldi che il Regno Unito dovrebbe ancora all’Europa. Secondo la scaletta dettata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, non c’è possibilità di procedere nelle trattative senza prima aver chiarito i termini preliminari della separazione: Londra dovrà versare nelle casse dell’Europa tutto quanto si è impegnata a versare con il bilancio pluriennale che scade nel 2020. “Le pendenze di bilancio a carico di Londra in vista del recesso”, spiega il Sole 24 Ore, “oscillano fra i 20 e i 70 miliardi di euro, con la forbice 50-60 miliardi considerata, da Bruxelles, più realistica”. Pagare moneta, vedere cammello: questo, in pratica, il monito di Angela Merkel, che ha più volte ribadito la necessità di procedere necessariamente “in quest’ordine, non al contrario”.

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Enrico Letta a Londra: i popoli europei sono contro l’Europa

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta, durante la registrazione della trasmissione dell'Arena di Domenica In, negli studi della Rai della Dear a Roma, 10 novembre 2013. ANSA/CLAUDIO ONORATI

L’ex primo ministro Enrico Letta, fatto fuori dall’attuale premier nonché “compagno” di partito Matteo Renzi, ha partecipato ieri ad un incontro organizzato dal King’s College di Londra sull’adesione da parte del Regno Unito all’Unione Europea tra passato, presente e futuro. L’ex vicesegretario del Pd, che dopo le dimissioni da presidente del Consiglio si è trasferito con la famiglia a Parigi, dove insegna Scienze Politiche e dirige la Scuola di affari internazionali, è stato infatti tra i relatori di un convegno teso ad approfondire la questione “brexit” vista dall’estero.

«L’Unione Europea non può raggiungere l’integrazione contro la volontà dei popoli europei. E oggi i popoli europei sono contro l’Ue», ha affermato Letta nel corso dell’incontro a cui era presente anche l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. Nonostante la consapevolezza dell’ostilità popolare, però, Letta ha confermato: «sono fortemente convinto che la “brexit” rappresenti una sconfitta sia per il Regno Unito che per l’Unione Europea». Secondo l’ex democristiano, infatti, da una parte «Londra è diventata la capitale finanziaria del mondo anche grazie al mercato unico», dall’altro proprio la sua permanenza potrebbe essere la chiave di volta per «sburocratizzare e rendere più competitiva l’Unione Europea». «I paesi europei hanno bisogno di restare uniti per dettare le regole in futuro» ma alcuni paesi «non sono ancora consapevoli di essere piccoli se rimangono da soli». Anche se, per la verità, il Regno Unito da solo non se l’è mai cavata male, a capo di un vasto impero intercontinentale che le ha sempre garantito una certa indipendenza dal resto dell’Europa. Del resto, si tratta di un paese che risente oggi molto della crisi e la cui economia, come e forse più di quella degli altri paesi, è cambiata molto rispetto agli albori dell’attuale Unione Europea, con un settori terziario che attualmente impiega l’82% dei lavoratori a dispetto di una percentuale poco superiore al 30% negli anni Cinquanta, mentre l’industria oggi occupa appena il 17% della forza lavoro.

Proprio questo, dunque, sembra rimandarci al punto centrale della questione: cosa è oggi e cosa vuole essere domani l’Europa? Nessuno dubita dell’utilità di un mercato unico europeo, ma questo ha senso se a trarne benefici sono i paesi membri, non se il blocco serve soltanto a fare da sponda al blocco americano, come ha ricordato Obama facendo riferimento al Ttip che prepara un mercato unico ben più ampio e che di europeo ha ben poco. E ancora: l’economia finanziaria sganciata dalla produzione ha rivelato i mali della speculazione; vogliamo che sia ancora questo il modello da seguire? Come ha preannunciato l’ex primo ministro portoghese Barroso e come pensano in molti anche tra gli euroscettici, del resto, l’ipotesi “brexit” avrebbe un impatto enorme sull’Unione Europea, probabilmente distruttivo: male per i paesi europei nel complesso, certo, ma è oggi pensabile costruire un’Europa diversa su queste basi – sull’impalcatura di una pretesa democrazia che manca però delle sue caratteristiche fondamentali e che, nonostante questo, mira comunque a scavalcare il potere decisionale dei governi? L’Europa oggi non è nazione e non lo diventerà soltanto perché a volerlo sono la Boldrini, Monti, Letta, Renzi, Cameron oppure Obama. L’auspicabile quanto “vecchio” sogno di un’Europa delle nazioni, che non scavalca i popoli ma li unisce, semplicemente non passa attraverso le strutture oligarchiche di questa Unione Europea nata dall’utopia federalista. Ma non è ancora troppo tardi – anzi, sembra proprio possa accadere da un momento all’altro – per smantellarla e, piuttosto, ricostruirla su base confederale. «Chi è dentro ce l’ha con l’Ue, chi è fuori ne è attratto. Nella stessa domenica elettorale gli europeisti perdono a Vienna e vincono a Belgrado»: secondo Enrico Letta questo è un buon segno. Ma è uno strano modo di interpretare la democrazia. E a noi qualcosa non torna.

Emmanuel Raffaele, 27 apr 2016