
L’ex primo ministro Enrico Letta, fatto fuori dall’attuale premier nonché “compagno” di partito Matteo Renzi, ha partecipato ieri ad un incontro organizzato dal King’s College di Londra sull’adesione da parte del Regno Unito all’Unione Europea tra passato, presente e futuro. L’ex vicesegretario del Pd, che dopo le dimissioni da presidente del Consiglio si è trasferito con la famiglia a Parigi, dove insegna Scienze Politiche e dirige la Scuola di affari internazionali, è stato infatti tra i relatori di un convegno teso ad approfondire la questione “brexit” vista dall’estero.
«L’Unione Europea non può raggiungere l’integrazione contro la volontà dei popoli europei. E oggi i popoli europei sono contro l’Ue», ha affermato Letta nel corso dell’incontro a cui era presente anche l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. Nonostante la consapevolezza dell’ostilità popolare, però, Letta ha confermato: «sono fortemente convinto che la “brexit” rappresenti una sconfitta sia per il Regno Unito che per l’Unione Europea». Secondo l’ex democristiano, infatti, da una parte «Londra è diventata la capitale finanziaria del mondo anche grazie al mercato unico», dall’altro proprio la sua permanenza potrebbe essere la chiave di volta per «sburocratizzare e rendere più competitiva l’Unione Europea». «I paesi europei hanno bisogno di restare uniti per dettare le regole in futuro» ma alcuni paesi «non sono ancora consapevoli di essere piccoli se rimangono da soli». Anche se, per la verità, il Regno Unito da solo non se l’è mai cavata male, a capo di un vasto impero intercontinentale che le ha sempre garantito una certa indipendenza dal resto dell’Europa. Del resto, si tratta di un paese che risente oggi molto della crisi e la cui economia, come e forse più di quella degli altri paesi, è cambiata molto rispetto agli albori dell’attuale Unione Europea, con un settori terziario che attualmente impiega l’82% dei lavoratori a dispetto di una percentuale poco superiore al 30% negli anni Cinquanta, mentre l’industria oggi occupa appena il 17% della forza lavoro.
Proprio questo, dunque, sembra rimandarci al punto centrale della questione: cosa è oggi e cosa vuole essere domani l’Europa? Nessuno dubita dell’utilità di un mercato unico europeo, ma questo ha senso se a trarne benefici sono i paesi membri, non se il blocco serve soltanto a fare da sponda al blocco americano, come ha ricordato Obama facendo riferimento al Ttip che prepara un mercato unico ben più ampio e che di europeo ha ben poco. E ancora: l’economia finanziaria sganciata dalla produzione ha rivelato i mali della speculazione; vogliamo che sia ancora questo il modello da seguire? Come ha preannunciato l’ex primo ministro portoghese Barroso e come pensano in molti anche tra gli euroscettici, del resto, l’ipotesi “brexit” avrebbe un impatto enorme sull’Unione Europea, probabilmente distruttivo: male per i paesi europei nel complesso, certo, ma è oggi pensabile costruire un’Europa diversa su queste basi – sull’impalcatura di una pretesa democrazia che manca però delle sue caratteristiche fondamentali e che, nonostante questo, mira comunque a scavalcare il potere decisionale dei governi? L’Europa oggi non è nazione e non lo diventerà soltanto perché a volerlo sono la Boldrini, Monti, Letta, Renzi, Cameron oppure Obama. L’auspicabile quanto “vecchio” sogno di un’Europa delle nazioni, che non scavalca i popoli ma li unisce, semplicemente non passa attraverso le strutture oligarchiche di questa Unione Europea nata dall’utopia federalista. Ma non è ancora troppo tardi – anzi, sembra proprio possa accadere da un momento all’altro – per smantellarla e, piuttosto, ricostruirla su base confederale. «Chi è dentro ce l’ha con l’Ue, chi è fuori ne è attratto. Nella stessa domenica elettorale gli europeisti perdono a Vienna e vincono a Belgrado»: secondo Enrico Letta questo è un buon segno. Ma è uno strano modo di interpretare la democrazia. E a noi qualcosa non torna.
Emmanuel Raffaele, 27 apr 2016
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