Saviano a Londra: legalizzare tutte le droghe. Chi ricicla vuole la brexit

1Le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Ma è anche vero che, se errare è umano, perseverare è diabolico. Per commentare Roberto Saviano, il re delle banalità, nuova icona della sinistra, ci affidiamo anche noi ai luoghi comuni: legge del contrappasso. Le ultime sparate le aveva fatte contro Salvini, paragonando il suo libro a quello di Hitler, visto che ultimamente l’antifascismo è il suo hobby preferito: fa molto social e va bene per ogni stagione. Invece ieri, a Londra, ospitato dal King’s College per un dibattito organizzato dalla Italian Society con il giornalista investigativo Misha Glenny, già collaboratore del Guardian e della Bbc, il tema principale sono stati i suoi libri sul crimine organizzato ed  il business della droga: il famosissimo “Gomorra”, che ha fornito lo spunto per il film e la serie televisiva, ed il più recente “Zero Zero Zero”, sul traffico internazionale di stupefacenti (2013).

2«Per me si dovrebbero legalizzare tutte le droghe», ha dichiarato il giornalista, entrato poche ore fa in polemica con il senatore verdiniano Vincenzo D’Anna, critico nei confronti del mantenimento della sua scorta – per la cronaca, Saviano, pur affermando di voler essere libero al più presto, se l’era presa parecchio. La proposta di legalizzare la cannabis, così come la cocaina e tutto il resto, per risolvere il problema del crimine organizzato che ci specula, non è l’unica “perla” della giornata. Ma, per inciso, ci chiediamo se – questioni di merito a parte – si possa davvero pensare che, per sconfiggere organizzazioni come la mafia, la camorra o altre organizzazioni internazionali, che esistono prima della cocaina ed hanno dettato legge da sempre attraverso ogni tipo di commercio illegale, il gioco, la corruzione, attraverso gli appalti, attualmente in Italia anche attraverso l’immigrazione, possa essere sufficiente legalizzare uno dei loro business, seppur forse il più grosso. Certo sarebbe un gran colpo, ma la questione è ben altra. E Saviano dovrebbe saperlo. Ma è fatto così. Fin quando prova a fare il giornalista investigativo ci potrebbe anche stare simpatico. Solo che poi prende iniziative, fa di testa sua, si butta sulla politica e sulle sue «congetture» (parole sue!) come quella sul Brexit appunto: «quelli che riciclano soldi sporchi sono gli stessi che portano avanti la battaglia per il Brexit». Ebbene si, l’ha detto. Ma questo – breve parentesi – è solo una dei tanti episodi di quella che nel Regno Unito è stata ribattezzata “strategia della paura”, portata avanti dai grandi mezzi di informazione e da personaggi di spicco sul piano internazionale per convincere gli inglesi a votare per rimanere nell’Unione Europea il prossimo 23 giugno. Per il resto, questioni condivisibili nell’ambito del dibattito sui paradisi fiscali, il riciclaggio ed il ruolo dei “mediatori”. «L’Inghilterra», ha affermato, «è il paese più “corrotto” al mondo riguardo la provenienza dei capitali finanziari, perché attira tutti i capitali sporchi attraverso le sue isole offshore». «Il 90% delle compagnie proprietarie di immobili», ha aggiunto, «hanno sedi nei paradisi fiscali, che servono non tanto ad evadere ma a nascondere il denaro ed a celarne la provenienza. Mentre i “facilitatori”, la nuova borghesia londinese fatta perlopiù di commercialisti, gestiscono il denaro ma non sono responsabili della loro provenienza, risultando quindi difficilmente incriminabili, tanto più che in Inghilterra è molto difficile dimostrare il riciclaggio». Saviano, un consiglio: più libri e meno social.

Emmanuel Raffaele, 28 mag 2016

Enrico Letta a Londra: i popoli europei sono contro l’Europa

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta, durante la registrazione della trasmissione dell'Arena di Domenica In, negli studi della Rai della Dear a Roma, 10 novembre 2013. ANSA/CLAUDIO ONORATI

L’ex primo ministro Enrico Letta, fatto fuori dall’attuale premier nonché “compagno” di partito Matteo Renzi, ha partecipato ieri ad un incontro organizzato dal King’s College di Londra sull’adesione da parte del Regno Unito all’Unione Europea tra passato, presente e futuro. L’ex vicesegretario del Pd, che dopo le dimissioni da presidente del Consiglio si è trasferito con la famiglia a Parigi, dove insegna Scienze Politiche e dirige la Scuola di affari internazionali, è stato infatti tra i relatori di un convegno teso ad approfondire la questione “brexit” vista dall’estero.

«L’Unione Europea non può raggiungere l’integrazione contro la volontà dei popoli europei. E oggi i popoli europei sono contro l’Ue», ha affermato Letta nel corso dell’incontro a cui era presente anche l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. Nonostante la consapevolezza dell’ostilità popolare, però, Letta ha confermato: «sono fortemente convinto che la “brexit” rappresenti una sconfitta sia per il Regno Unito che per l’Unione Europea». Secondo l’ex democristiano, infatti, da una parte «Londra è diventata la capitale finanziaria del mondo anche grazie al mercato unico», dall’altro proprio la sua permanenza potrebbe essere la chiave di volta per «sburocratizzare e rendere più competitiva l’Unione Europea». «I paesi europei hanno bisogno di restare uniti per dettare le regole in futuro» ma alcuni paesi «non sono ancora consapevoli di essere piccoli se rimangono da soli». Anche se, per la verità, il Regno Unito da solo non se l’è mai cavata male, a capo di un vasto impero intercontinentale che le ha sempre garantito una certa indipendenza dal resto dell’Europa. Del resto, si tratta di un paese che risente oggi molto della crisi e la cui economia, come e forse più di quella degli altri paesi, è cambiata molto rispetto agli albori dell’attuale Unione Europea, con un settori terziario che attualmente impiega l’82% dei lavoratori a dispetto di una percentuale poco superiore al 30% negli anni Cinquanta, mentre l’industria oggi occupa appena il 17% della forza lavoro.

Proprio questo, dunque, sembra rimandarci al punto centrale della questione: cosa è oggi e cosa vuole essere domani l’Europa? Nessuno dubita dell’utilità di un mercato unico europeo, ma questo ha senso se a trarne benefici sono i paesi membri, non se il blocco serve soltanto a fare da sponda al blocco americano, come ha ricordato Obama facendo riferimento al Ttip che prepara un mercato unico ben più ampio e che di europeo ha ben poco. E ancora: l’economia finanziaria sganciata dalla produzione ha rivelato i mali della speculazione; vogliamo che sia ancora questo il modello da seguire? Come ha preannunciato l’ex primo ministro portoghese Barroso e come pensano in molti anche tra gli euroscettici, del resto, l’ipotesi “brexit” avrebbe un impatto enorme sull’Unione Europea, probabilmente distruttivo: male per i paesi europei nel complesso, certo, ma è oggi pensabile costruire un’Europa diversa su queste basi – sull’impalcatura di una pretesa democrazia che manca però delle sue caratteristiche fondamentali e che, nonostante questo, mira comunque a scavalcare il potere decisionale dei governi? L’Europa oggi non è nazione e non lo diventerà soltanto perché a volerlo sono la Boldrini, Monti, Letta, Renzi, Cameron oppure Obama. L’auspicabile quanto “vecchio” sogno di un’Europa delle nazioni, che non scavalca i popoli ma li unisce, semplicemente non passa attraverso le strutture oligarchiche di questa Unione Europea nata dall’utopia federalista. Ma non è ancora troppo tardi – anzi, sembra proprio possa accadere da un momento all’altro – per smantellarla e, piuttosto, ricostruirla su base confederale. «Chi è dentro ce l’ha con l’Ue, chi è fuori ne è attratto. Nella stessa domenica elettorale gli europeisti perdono a Vienna e vincono a Belgrado»: secondo Enrico Letta questo è un buon segno. Ma è uno strano modo di interpretare la democrazia. E a noi qualcosa non torna.

Emmanuel Raffaele, 27 apr 2016

Boldrini a Londra: a lavoro per unione federale, gli stati nazionali sono il passato

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Londra – Con una retorica vuota degna del ‘miglior’ Renzi, il presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, ieri al King’s College di Londra per il discorso annuale del “Jean Monnet Centre of Excellence”, in conferenza stampa schiva abilmente le domande sgradite. “L’Europa da settant’anni garantisce la pace”, assicura la Boldrini, dopo aver illustrato l’impegno suo e di tanti omologhi europei per ottenere una “unione federale di stati”.

“Presidente”, chiediamo, “proprio oggi sul Telegraph un ex ufficiale della marina britannica definiva un semplice ‘mito’ questo che lei ha appena espresso. Se il Piano Marshall ha portato la stabilità e la ripresa economica, la Nato ha monopolizzato la difesa militare, mentre da parte sua l’Europa non ha mai avuto un ruolo attivo nella risoluzione dei conflitti che ci sono stati sul continente, dai Balcani alla questione cipriota e così via: non crede sia vero?”. Il presidente della Camera si scalda visibilmente e fa partire una supercazzola rabbiosa sulla funzione disgregante dei nazionalismi per poi concludere con una non-risposta che ignora apertamente la relazione causale tra gli eventi che era il punto cruciale della domanda. “Da settant’anni in Europa c’è la pace e questo è un fatto”.

Che la causa di questa pace sia l’Europa unita, evidentemente, è un dogma irrinunciabile. Ma, francamente, non speravamo di ottenere di più. Ciò che è invece molto chiaro è che la sinistra italiana non riesce più a nascondere il proprio ‘si’ alla globalizzazione tanto avversata un tempo: “in un mondo globalizzato, nessuno Stato è un’isola”, osserva la Boldrini, che si definisce “europeista non solo per romanticismo e per il sacrificio degli antifascisti negli anni Quaranta, ma anche per la convinzione profonda che sia “impensabile tornare agli Stati nazione”. “Vogliamo una sovranità condivisa”, afferma annunciando di aver invitato a Montecitorio per il prossimo 27 agosto i giovani federalisti europei, prima di una grande iniziativa all’insegna dell’europeismo che si terrà simbolicamente a Ventotene nei giorni successivi. Quanto al Brexit ed alle condizioni ottenute dal premier inglese Cameron a Bruxelles, la Boldrini si dice ovviamente speranzosa sulla permanenza del Regno Unito in Europa, ma osserva: “gli accordi raggiunti hanno delle conseguenze sulle garanzie dei lavoratori e ne limitano la libertà di movimento, perché i non-cittadini non avranno accesso agli stessi benefit dei cittadini, in contraddizione coi principi dell’Unione Europea”.

Che lo Stato sociale abbia un costo e che questi diritti non possano quindi essere estesi in maniera illimitata senza renderne nulla l’effettività e ingiusta l’applicazione sembra essere un problema che non sfiora minimamente la riflessione boldriniana. Così come l’idea che uno Stato possa avere il diritto di voler rimanere tale senza doversi per forza integrare ad un maxi-stato europeo, o il fatto che, dal momento in cui non esiste una vera e propria struttura di welfare su base europea (ovviamente), è ovvio che ogni Stato pensi e debba pensare ancora prima ai propri cittadini. Neanche la legittimazione democratica di un’eventuale federazione, del resto, sembra preoccupare il presidente della Camera, al di là di una consultazione online sui vantaggi e svantaggi di stare nell’Ue lanciata sul sito della Camera e che lascia il tempo che trova. “Il prossimo 22 maggio a Lussemburgo”, ricorda, “incontrerò i miei ventotto omologhi e spero che la dichiarazione [“Più integrazione europea”, ndr] sottoscritta il 14 settembre scorso con i miei omologhi di Francia, Germania e Lussemburgo, ora condivisa dagli omologhi di dodici paesi, arrivi ad avere l’appoggio della maggioranza di loro”. Un obiettivo non lontano dal momento che, fa notare, mancano solo tre firme. Tre firme per imporre un’integrazione sempre più spinta, la scomparsa definitiva degli stati nazionali europei, nella distanza più totale della volontà dei popoli nel frattempo sempre più scettici sul conto dell’Unione Europea.

Il ‘progresso’ deve andare avanti e chi non è d’accordo lo diventerà, basterà spiegargli che chi è contro l’Europa fa “demagogia” ed è un pericoloso nazionalista. Facile no? Boldrini docet.

“Un’altra Europa è possibile”, ripete nel corso del discorso nell’aula magna del King’s College, stavolta davanti ad una platea più ampia di fronte alla quale non rinuncia a porre l’antifascismo come fondamento dell’utopia europea. Poi cita Salvemini, cita Spinelli e non rinuncia ad un tocco di sentimentalismo e colore (siamo o non siamo italiani!), mostrando al pubblico una giacca di salvataggio con riferimento alla crisi dei rifugiati ed alle stragi del mare avvenute nel Mediterraneo. E non sbaglia quanto meno nell’attribuire all’Europa la colpa di una cattiva gestione dell’emergenza “sulle spalle di pochi paesi, come l’Italia, la Grecia, la Germania e la Svezia”. Un po’ vaghi, invece, gli attacchi alla politica economica dell’Unione Europea, definita la “grande malata, che ha causato scontento e disamore” verso un’Europa che, così com’è, secondo la Boldrini, “non va bene”. La promessa che, nonostante tutto, l’Europa voluta da pochi alla fine si farà, tratta dai passaggi finali del “Manifesto di Ventotene”, chiude il suo intervento . Anche se in conferenza stampa e davanti ai microfoni Rai, non era mancata qualche dichiarazione sulla scelta dell’ex governatore della Puglia Nichi Vendola di utilizzare la pratica dell’utero in affitto per avere un bambino: “la nascita di un bambino va sempre accolta con amore”, aveva commentato inizialmente, salvo poi aggiungere: “ritengo sia una pratica inaccettabile qualora dietro questa pratica, attraverso un pagamento, si celi lo sfruttamento della persona”.

Emmanuel Raffaele, 1 mar 2016