Quando Renzi diceva: “chi ha perso le elezioni non può andare al governo” [VIDEO]

“Siamo seri, chi ha perso le elezioni non può andare al governo, noi non possiamo far passare il messaggio che il 4 marzo sia stato uno scherzo. Il Pd ha perso, io mi sono dimesso e sette italiani su dieci hanno votato o per Salvini o per Di Maio. E’ così e allora tocca a loro governare. Noi non possiamo con un gioco di palazzo rientrare dalla finestra dopo che gli italiani ci hanno fatto uscire dalla porta. Noi non possiamo pensare dalla mattina alla sera che i giochetti dei caminetti romani valgano più del consenso degli italiani”.

Così Matteo Renzi a “Che tempo che fa” il 29 aprile 2018 (in un passaggio che è ancora presente anche sul canale youtube del Partito Democratico), a poche settimane dalle elezioni politiche, quando il Pd rifiutava accordi con il M5S, che invece non escludeva di fare un contratto di governo con il centrosinistra. Continua a leggere

Ieri su El País: “Radiografia di un suicidio politico”

Questa la foto di Matteo Salvini che, ieri, campeggiava a pagina 4 di “El Pais”

Per “El Pais” è tutto molto chiaro: “Dopo le elezioni europee, nelle quali la Lega ha dilagato in Italia, il Governo si è spaccato in tre blocchi: l’esecutivo di Salvini; quello di Luigi Di Maio, e un altro formato dal primo ministro, Giuseppe Conte, il titolare degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, il titolare dell’Economia, Giovanni Tria, e lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Da questo terzo polo, più istituzionale e vicino all’Unione Europea – spiega un deputato del Pd prossimo alle negoziazioni -, si è iniziato a tessere la trama della cosiddetta Operazione Ursula […]. Diffidente per natura, questa volta [Salvini, ndr] ha percepito indizi reali”. Continua a leggere

Centrodestra alle solite: confusi e felici

Riaggregare, secondo uno schema collaudato, ciò che troppo frettolosamente era stato dato per morto e che invece si scopre avere ancora senso di esistere”. Alessandro Sallusti, su “Il Giornale“, lo scrive chiaramente. E lo schema, effettivamente, è collaudato eccome: fingere divisioni, scissioni, cambiare simboli, poltrone e slogan ma alla fine restare uniti per rimanere a galla. Continua a leggere

Alternanza scuola-lavoro: si ma non così. Ecco cosa non va nella riforma di Renzi

“La lavapiatti a pranzo non c’è, pensateci voi: la cucina è al piano di sopra”. “Non potete finire domani, sono sotto di personale, mi servite ancora”Il primo e (in teoria) l’ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro inizia così per due ragazze di un liceo linguistico in provincia di Como arrivate in Spagna per lo stage curriculare reso obbligatorio dalla legge n. 107 del 2015. E’ la cosiddetta “Buona Scuola” di Renzi, considerata una delle riforme cardine del governo dell’ex premier ed attuale segretario di un Pd che perde pezzi. Ma, nonostante l’alternanza – introdotta per la prima volta in Italia dalla legge n. 53/2003 e che richiama direttamente il decreto legislativo n. 77/2005 – non sia una novità e proprio la riforma renziana mirasse a farne un caposaldo dell’istruzione italiana, l’introduzione della sua obbligatorietà è stata indubbiamente attuata con una leggerezza che lascia allibiti. Una legge-propaganda che, invece, sarebbe stata certamente apprezzabile se, prima di entrare in vigore e non in corso d’opera, fosse stata perfezionata, rendendo sufficientemente chiari tutti gli aspetti operativi e pronti tutti gli strumenti relativi. Invece, l’alternanza scuola-lavoro, le cui novità sono regolate da poco meno di una decina di commi dell’art. 1 della legge citata e principalmente dal comma 33 – che introduce il monte ore minimo di 200 ore per i licei e 400 per le scuole professionali da svolgere negli ultimi tre anni -, continua a rivelare, a due anni dalla sua introduzione, enormi lacune.

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Referendum costituzionale: bene la vittoria del “No” ma risparmiateci la retorica sui poteri forti

Secondo Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, è “la vittoria del popolo contro i poteri forti di tre quarti del mondo”. Secondo l’inglese “The Independent” il “No” alla riforma costituzionale Renzi-Boschi rappresenta quello che per gli Usa, il Regno Unito ed il mondo hanno significato, rispettivamente, l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti e la Brexit. Mera propaganda in entrambi i casi. Detto questo, premettiamo i dati ad ogni commento: al quesito referendario per la “ratifica popolare” della riforma del governo il 59,6% dei votanti ha tracciato una “X” sul “No” mentre soltanto il 40,4% ha votato “Si”, mandando all’aria i piani del premier e segretario del Pd Matteo Renzi. Quanto all’affluenza, ha votato ben il 68,44% degli elettori.

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