Milano, apre il Mudec e va in scena l’Africa

mudec_2_webE’ stato aperto al pubblico ieri, 27 marzo, il Mudec (Museo delle Culture) insieme alla prima esposizione, “Africa. La terra degli spiriti”, che potrà esser visitata fino al 30 agosto e che affianca “Mondi a Milano. Culture ed esposizioni dal 1874 al 1940”, un percorso che parte dal decennio successivo all’unità d’Italia ed arriva a comprendere quasi interamente gli anni del fascismo facendo quasi da introduzione ad Expo 2015.

Un museo concepito come organismo vivente, questo il progetto nelle intenzioni dei suoi promotori (Comune di Milano e Gruppo 24 ORE ), funzionale al «dialogo con le comunità presenti sul territorio per dare ampia espressione alla pluralità delle culture che lo abitano e restituirne la complessità»[1], che vedrà infatti la collaborazione con l’Associazione Città Mondo, attraverso una convenzione che permetterà a quest’ultima di gestire lo “Spazio Attività Organizzative” e lo “Spazio Polivalente”, il laboratorio creativo e culturale del Mudec.

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Sala conferenze, dunque, ma anche un auditorium da trecento posti, bistrot, design store, laboratorio di restauro e spazio dedicato ai bambini e biblioteca con un patrimonio librario di 4mila monografie: ecco il frutto di oltre un decennio di attesa, fin da quando, nei primi anni Novanta, il Comune acquistò la zona ex industriale dell’Ansaldo e i suoi 17mila metri quadrati di proprietà, dove adesso è di scena il continente africano.

L’Africa e i suoi colori, l’Africa e i suoi suoni, l’Africa e, soprattutto, la sua diversità.

Un’esposizione che non stupirà per i contenuti, ma farà certamente riflettere sulla scarsa conoscenza della sua storia ed espressioni artistiche nella loro complessità.

“Terra degli spiriti”: un titolo che non poteva render meglio l’idea di un continente le cui opere qui esposte, dal Medioevo al secolo scorso, conducono dritti nel mondo delle tribù, di un misticismo tellurico simil-pagano che rende giustizia dell’identità di una realtà perfettamente complementare a quella europea.

Legno e bronzo, duecentosettanta esemplari soprattutto scultorei, per una mostra curata da Claudia Zevi, azzeccata nello stile espositivo e nelle luci, per nulla banale nella scelta dei pezzi esposti, tra i quali l’olifante d’avorio con lo stemma dei Medici e i cucchiai delle antiche collezioni medicee di Firenze.

mudec_1_webDal Congo al Mali alla Nigeria, storie di imperi pressoché sconosciuti, di un mondo esotico nel cui immaginario l’europeo è visto sempre (giustamente) come altro da sé e di una religiosità fortemente legata alla terra più che al “cielo”.

Storie ed impressioni che ci parlano di identità, di una diversità meravigliosa in quanto tale e del rischio distruttivo che comporta l’omologazione globale a fronte di un’economia predatoria e di un’immigrazione/emigrazione di massa che è fonte di sradicamento – letteralmente perdita delle radici.

Il Mudec, progetto rivolto appunto alle «comunità presenti sul territorio», è in realtà fonte di profonde riflessioni sul significato di “integrazione”. Paradigmatici, del resto, i versi che chiudono l’esposizione:

“Sono figlio della Guinea,

sono figlio del Mali,

nasco dal Ciad o dal profondo Benin,

sono figlio dell’Africa…

Addosso ho un grande bubu bianco.

E i bianchi ridono vedendomi

trottare a piedi nudi

nella polvere della strada.

 

Ridono.

Ridano pure.

Quanto a me, batto le mani

e il grande sole dell’Africa

si ferma sullo Zenit

per guardarmi e ascoltare.

E canto e danzo.

E canto e danzo”.

 

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[1] http://www.mudec.it/

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