A Durham, nel North Carolina, una studentessa di 22 anni, membro del Partito Mondiale dei Lavoratori, è stata arrestata martedì a seguito della protesta in cui è stata buttata giù una statua che onorava la “memoria dei ragazzi che indossavano la divisa grigia”. Questa la frase in in rilievo sul basamento della statua, eretta nel 1924 per ricordare i soldati dell’esercito confederale morti durante la guerra civile americana e tirata giù lunedì da Takya Fatima Thompson, attivista di colore che, aiutata da una scala, ha legato una corda intorno al collo del soldato, utilizzata poi dal resto del gruppo per trascinarla giù.

Il monumento, dedicato alla memoria di chi morì “dalla parte sbagliata” della storia americana, è stato poi preso a calci e riempito di sputi dai manifestanti, solidali con i manifestanti di Charlottesville che, in Virginia, vogliono far fare la stessa fine alla statua del generale Lee (QUI l’approfondimento sui fatti in Virginia e le divisioni razziali negli Usa). Un accanimento inquietante su un oggetto inanimato che dimostra quanto fanatismo e odio ci sia dietro alle proteste “antirazziste” in corso in questi giorni e che spesso ha portato a scontri con i cosiddetti “suprematisti” i quali, ovunque negli Usa, stanno provando a difendere la condivisione di una memoria di riconciliazione, che rappresenta comunque un importante pezzo di storia americana. “No cops, no fascist Usa”, “We are the revolution”, urlava la piccola folla radunatasi intorno al monumento prima che venisse distrutta, con modalità che troppo ricordano lo stesso accanimento visibile nei filmati registrati dai fanatici islamici dell’Isis e lo scempio macabro dei cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci in piazzale Loreto. Tra i manifestanti, un cartello di certo poco pacifista, con la “A” dell’anarchia, ricordava: “Uccidere i nazisti è la mia eredità”.
Mike Andrews, sceriffo di Durham, ha annunciato che ci saranno altri arresti per quanto avvenuto. La ragazza, nel frattempo, è accusata di partecipazione ed incitamento ad una protesta che ha provocato danni a beni per oltre 1500 dollari. La cauzione per il suo rilascio è stata fissata dal giudice a 10mila dollari. Il Partito Mondiale dei Lavoratori ha confermato la sua appartenenza e rivendicato l’azione della ragazza aggiungendo: “Se la ente decide che vuole rimuove una statua simile, dovrebbe essere un suo diritto farlo”. Ecco perché, secondo loro, le accuse dovrebbero esser fatte cadere. Giustizia di piazza insomma.
A dimostrazione dell’appoggio istituzionale di cui godono i fanatici, il governatore della Virginia Roy Cooper, in un comunicato diffuso ieri, ha chiesto la rimozione di tutti i monumenti dedicati alla memoria sudista. In effetti, la rimozione progressiva di tutte le testimonianze simili sta avvenendo in realtà secondo metodi ben poco rivoluzionari, grazie alla decisione di assemblee cittadine più o meno ideologizzate che, in questo modo, sputano addosso alla riconciliazione nazionale. Anche in Florida, a Gainesville, una statua sudista, che da cento anni stava di fronte al palazzo dell’amministrazione cittadina, è stata rimossa su decisione di una commissione appositamente istituita. Quindicimila dollari il costo dell’operazione. A maggio, invece, l’ultima statua “confederale” presente, che dal 1884 raffigurava il generale Lee, è stata rimossa a New Orleans. La situazione è, ovviamente, più tesa che mai. Ma media e istituzioni sembrano riconoscere legittimità soltanto ad una delle parti in causa, la stessa che sputava e scalciava sulla statua di un soldato morto.
Emmanuel Raffaele