“Don’t Look Up”: ecco perché guardare l’ultimo film con Leonardo Di Caprio

Cinematograficamente si sta parlando molto di “Don’t Look Up“, film con Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence uscito lo scorso dicembre, disponibile su Netflix, scritto e diretto da Adam McKay.

Lo abbiamo visto e, come facciamo nel caso di contenuti culturalmente interessanti, ne offriamo una breve analisi in prospettiva socio-politica.
Gli spunti al riguardo, in effetti, non mancano.

ECCO COSA CI E’ PIACIUTO

Eccone alcuni:

  • una buona rappresentazione del delirio comunicativo media-social che, pur nell’epoca della centralità assoluta dell’informazione e della comunicazione, offusca e banalizza la verità;
  • una buona rappresentazione delle dinamiche decisionali della politica, molto meno razionali di quello che il comune cittadino possa credere, soggette al caso ed agli eventi e, dunque, ancor più in mano alle pressioni dei (poteri) più forti, quelli maggiormente in grado di spingere per una o l’altra soluzione (senza bisogno di particolari complotti, anch’essi concettualmente troppo razionali nella loro concezione);
  • la profonda connessione tra i due aspetti appena elencati: se il padrone è lo stesso (la banconota), l’informazione non esercita il controllo sul potere e diventa piuttosto complice;
  • una buona parodia dell’analfabeta funzionale, il semi-colto o colto la cui cultura è solo uno status da esibire e la cui conoscenza basata sulle nozioni è del tutto scollegata rispetto ad ogni azione sulla realtà e sulla propria etica: l’analfabeta funzionale ha un titolo di studio, sa scrivere, sa esprimersi ed ha introiettato alla perfezione la cultura dominante ma è del tutto privo di personalità e senso critico;
  • l’intelligente inserimento di un altro tema importante: il capitalismo di sorveglianza, attraverso l’integrazione di biotecnologia e comunicazione nella vita quotidiana, che può dare origine ad una distopia pericolosa;
  • una critica per nulla sottile alla scienza dei “businessman illuminati”, guidata da interessi privati e troppo vicina ad un potere facilmente influenzabile attraverso i soldi.

UN FILM ANTI-HOLLYWOODIANO

Cinematograficamente il film ha il merito (e l’obiettivo) di schivare e ridicolizzare attraverso il paradosso (ed una parodia accennata) lo stereotipo del film apocalittico hollywodiano, pur essendo la trama decisamente apocalittica.
Niente è lineare, la drammaticità è rotta dal teatro dell’assurdo politico-comunicativo, i due protagonisti sono due anti-eroi e l’eroe tipico americano è ridotto a una macchietta.
Anche il finto intellettuale hollywoodiano (noi diremmo il radical chic) si prende la sua bella lezioncina, con una scena che ne sottolinea tutta l’ipocrisia e vacuità.
Mentre, al tempo stesso, fa la sua comparsa una certa polemica (se vogliamo morale) contro il materialismo.

Tutto perfetto, dunque?
Niente è perfetto, quindi, ecco quello che ci è piacuto un pò meno.

ECCO COSA NON CI E’ PIACIUTO

Il presidente degli Stati Uniti (interpretato da Meryl Streep) è rappresentato in maniera forse eccessivamente parodistica (tanto che alcuni ci potrebbero anche rintracciare del maschilismo) ma non è questo il punto principale: è evidente che si fa il verso al “populismo” di ispirazione trumpiana, con vari riferimenti abbastanza espliciti anche ai “ricchi buoni” che si approfittano della classe media bianca operaia e rurale per il proprio tornaconto.
Ed è anche abbastanza chiaro il parallelismo con le posizioni repubblicane sul tema inquinamento e riscaldamento globale, nella dinamica “negazionisti” contro la scienza, con la destra populista che non vede il problema finché non è troppo tardi e la situazione è irrimediabile.
Un mantra che riecheggia appunto le posizioni di “sinistra” contro la “destra” sulla questione.
Questi riferimenti più esplicitamente politici fanno forse perdere qualcosa al messaggio ed incluso lo re-inseriscono nel contesto di una polarizzazione politica che pure sembra voler rifuggire.

Sempre in questa prospettiva, il film potrebbe sembrare perfettamente allineato alla vulgata che vuole i “competenti (inascoltati) al potere” contro la disinformazione imperante (e tendenzialmente di “destra”). Una soluzione che, su questa pagina, abbiamo sempre criticato e giudicato ingannevole: la competenza deve essere al servizio della politica, non può sostituire la democrazia e la integrazione tra le due cose passa attraverso una buona politica, una buona informazione e, dunque, una democrazia autentica, trasparente e funzionale.

Dal giudizio complessivamente positivo sul film, quindi, non possiamo non “scorporare” l’inevitabile background culturale dal quale prende vita, contaminandolo con contenuti politici per nulla involontari.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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