Iran, sull’accordo Trump fa decidere Israele e rimane isolato

Dieci anni fa due professori di Harvard, John Mearsheimer e Stephen Walt, fecero scalpore con “La Israel lobby e la politica estera americana”. In Italia il saggio fu pubblicato da Mondadori. Non si trattava di complottismo di nicchia, non si trattava di teorie antisemite ma dell’esplicito – e se vogliamo legittimo – tentativo di Israele di influenzare la politica estera a stelle e strisce. Il punto, semmai, era capire il perché di questa enorme e documentata influenza sul Congresso e, soprattutto, se questa influenza fosse foriera di conseguenze positive per gli Usa oppure no. I due accademici provarono a dimostrare che non era assolutamente così.

Poche altre volte l’irrazionalità di certe manovre da parte del governo americano è stata tanto esplicita e manifestamente etero-diretta. Sull’accordo con Teheran, siglato dall’amministrazione Obama il 14 luglio 2015 e oggi messo in dubbio da Trump, si è lasciato semplicemente decidere Israele. E, ancora una volta, non serve ricorrere al complotto: il premier israeliano Benjamin Netanyahu, oltre ai sauditi, è infatti l’unico che festeggia la decisione di Trump di non certificare il rispetto del trattato sul nucleare da parte dell’Iran. Persino alcuni falchi del comando militare americano, come il generale James Mattis, avrebbero tentato di frenare il presidente. Francia, Regno Unito e Germania che, dopo due anni di trattative, hanno sottoscritto il patto di Vienna insieme a Russia e Cina, hanno fatto sapere che l’Iran sta effettivamente tenendo fede all’accordo. Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera UE, ha fatto lo stesso. E contrariata si è detta anche Mosca. Lo stesso Rex Tillerson, segretario di Stato americano, del resto, a settembre aveva confermato che l’Iran non era tecnicamente inadempiente.

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L’International New York Times dimentica l’egemonia americana e accusa l’Iran

iran-150304090504.jpg“L’Iran nella storia: tendenza all’egemonia”. Titolava così venerdì scorso, in prima pagina, l’International New York Times un approfondimento sul paese che rappresenta un po’ l’incubo per eccellenza della diplomazia israeliana, il quale continuamente preme sull’alleato d’oltreoceano per intervenire militarmente contro di esso mettendolo in guardia rispetto agli accordi in merito allo sviluppo a fini civili dell’energia nucleare. La diplomazia, con i nemici, è una logica superflua: una linea che da sempre appartiene ad Israele e spesso imposta agli Usa, capillarmente controllati nella loro politica estera dalle lobby pro-Israele che influenzano il Congresso.

Ed il pezzo raffinato scritto a sei mani da SonerCagaptay, James F. Jeffrey e MehdiKhalaji è una risultante esplicita di queste logiche di pressione esercitate spesso a mezzo stampa.

«L’Iran non rinuncerà alla sua rivoluzione», questo il messaggio delle tre firme illustri: né più né meno che le parole della “diplomazia” israeliana.

Esperto di nazionalismo turco e relazioni tra Usa e Turchia, Cagaptayè uno studioso americano di origini turche la cui opinione in materia è molto influente a Washington, dove dirige un centro studi. Jeffrey, invece, è un diplomatico, esperto di politiche energetiche e sicurezza nel Medioriente, già ambasciatore americano in Iraq e Turchia ed ufficiale dell’esercito, ben visto dalle amministrazioni repubblicane. Khalaji, infine, è uno scrittore americano di origini iraniane.

L’essenza della loro posizione è riassunta in queste frasi sparse nel corso della dissertazione: «non è la religione ma l’ambizione imperiale che guida la politica estera iraniana», perciò «non aspettatevi che l’Iran comprometta i suoi principi», dal momento che«il governo attuale dell’Iran ancora porta l’impronta di una lunga storia imperiale e di lontane ambizioni regionali della Persia»,«cerca di far valere il suo predominio nella regione e non giocherà secondo le regole».

All’interno del pezzo troviamo un excursus storico che parte dalle ambizioni di influenza regionale dell’ex Persia dal XVI al XVIII secolo, il ruolo guida del paese all’interno della comunità sciita ma anche le alleanze con non realtà sunnite o addirittura non islamiche (come i cristiani armeni in Azerbaijan) per arrivare alla rivoluzione islamica del ’79: tutto per smania di potere, secondo i tre.

«Il mondo», spiegano ad un certo punto, «ha convissuto con diversi poteri di natura egemonicain passato. Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Giappone hanno avuto aspirazioni simili prima del primo conflitto mondiale. Fu proprio questo fattore a spingere il mondo alla guerra nel 1914 e ancora nel 1939. La Germania nazista cercò di dominare l’Europa dall’oceano Atlantico al fiume Volga, riducendo gli altri paesi a stati vassalli e stabilendo un controllo totale a livello militare, economico e diplomatico. Sulla scia di questa rovina e caos, l’ordinamento voluto nel secondo dopo guerra dagli Stati Uniti stabilì regole per la comunità internazionale pertentare di mantenere il potere sotto controllo».

Dall’elenco di paesi con aspirazioni egemoniche nella storia, ovviamente, mancano gli Usa, il che è francamente il lato dell’articolo più esilarante nella sua “genuina” funzione propagandistica. Gli Usa pacificatori e tutori della democrazia mondiale, salvatori dell’ordine internazionale ed, a quanto pare, della sovranità dei singoli paesi dal pericolo rappresentato da quei paesi che tentano di imporre la propria influenza sugli altri.

Quanto queste considerazioni siano in contraddizione e quanto siano paradossali tenendo contro della storia e dell’imperialismo americano non è neanche necessario dimostrarlo, dal momento che l’influenza americana sull’Occidente, sull’Europa, sul Giappone e la sua volontà di estendere questa egemonia all’est Europa da che l’Urss non esiste più è un fatto che soltanto occhi accecati dall’ideologia possono non vedere.

L’Iran forse ha aspirazioni egemoniche. Le avrebbe legittimamente. Sicuramente più di quanto possano pretendere di averle Israele o gli Usa all’interno di un’area che è portatrice di una cultura del tutto diversa da quella occidentale. Non sarebbe e non è nulla di innaturale o di immorale. Che tutto questo venga utilizzato per screditare la credibilità dell’Iran è quindi del tutto assurdo. Prova soltanto di un egemonia contestata soltanto per far posto ad un’egemonia estranea quale quella occidentale.

Quanto al tentativo di identificare l’Iran come il faro del terrorismo islamico internazionale e della jihad, sottolineando i suoi legami con Hamas, dopo che gli Usa hanno armato tutti i terroristi che si sono finora susseguiti nell’area è soltanto l’ennesimo segnale della volontà di nascondere la verità.

Israele boicotta il riavvicinamento Usa-Iran

MIDEAST ISRAEL POLITICSUsa e Iran tentano di normalizzare le proprie relazioni diplomatiche. Ed Israele si innervosisce, scalpita, freme. Non sopporta di vedere il suo dipendente statunitense prendere iniziative di testa sua. E contro i suoi interessi.

E, giunto a New York, per intervenire davanti l’assemblea dell’Onu ed incontrare lunedì il presidente Obama, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha immediatamente chiarito l’obiettivo primario della sua missione: condannare gli Usa rispetto ad un eventuale riavvicinamento con l’Iran.

Alimentando tensioni per mettere in difficoltà l’amministrazione americana.

“Nello stesso momento in cui condanna il terrorismo sul suolo americano – hanno riferito funzionari israeliani -, l’Iran invia un agente a raccogliere informazioni per un possibile attacco contro l’ambasciata degli Stati Uniti”.

Un’accusa pesante che fa riferimento all’arresto di una “presunta” spia iraniana, con la quale Israele cerca di convincere gli Usa che quella dell’Iran è una semplice operazione di facciata, mentre nella realtà rimarrebbe sempre lo stesso Stato amico del “terrorismo” che era l’altro ieri.

Parole che, del resto, fanno eco alle dichiarazioni rilasciate dal parlamentare ed ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman: “mentre l’attenzione del mondo è concentrata sui tentativi del presidente iraniano di farsi passare come moderato e conciliante, è importante ricordare che gli iraniani, nel corso degli anni, hanno sempre avuto la tendenza a comportarsi ingannevolmente con false promesse e false informazioni.

Quello dell’Iran, insomma, non sarebbe un nuovo corso, ma una semplice operazione di immagine. Un doppio gioco. Ed Israele non farebbe altro che tentare di mettere in guardia gli ingenui Usa.

Ed a nulla è servita, evidentemente, l’indicazione data dal premier israeliano, tesa ad evitare dichiarazioni in merito alla telefonata intercorsa tra Obama ed il presidente iraniano Hassan Rohani. Una cortesia diplomatica, a poche ore dall’incontro con il presidente statunitense, che, come in altre occasioni, i politici israeliani non hanno ritenuto di dover usare.

Fonte: http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.549421