Usa, nominati capo staff e consigliere: un “angelo” e un “diavolo” alla corte di Trump

Un moderato come capo del suo staff alla Casa Bianca, mentre il responsabile della sua campagna elettorale sarà a capo della strategia e consigliere ufficiale: dopo quella del vicepresidente Mike Pence, sono queste le prime nomine rese note dal neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che per questi due importanti ruoli ha fatto i nomi, rispettivamente, di Reince Priebus e di Stephen Bannon.

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The Guardian: “Trump come Berlusconi”. Ma forse non è proprio così

“Abbiamo già visto Donald Trump – il suo nome era Silvio Berlusconi”. Non usa mezzi termini The Guardian: secondo il quotidiano inglese, infatti, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti sarebbe la fotocopia del nostro ex premier. Non sarebbero una novità Trump ed il suo approccio alla politica da molti considerato slegato dai fatti, dal momento che già ventidue anni fa “scendeva in campo” Berlusconi e, spiega John Foot, la politica italiana non sarebbe stata più la stessa, tanto che gli stessi Renzi e Grillo sarebbero conseguenza del suo modello comunicativo.

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Anche i Bush contro Trump. Demonizzazione da una parte, demagogia dall’altra

nbc-fires-donald-trump-after-he-calls-mexicans-rapists-and-drug-runnersNon fosse un palazzinaro multimiliardario, più volte coinvolto nella bancarotta delle sue aziende (un modo, a suo dire, di ridurre il debito), showman più che politico, una sorta di Berlusconi d’oltreoceano bravo a cavalcare l’umore del momento, verrebbe quasi voglia di tifare Donald Trump, considerando la quantità e qualità dei nemici che s’è fatto. Secondo la BBC, infatti, anche gli ex presidenti repubblicani Bush padre e figlio non saranno al fianco dell’ormai quasi certo candidato del loro stesso partito alla presidenza deli Stati Uniti. «Una novità assoluta», spiega la BBC, «per il 91enne ex presidente Bush, che aveva sostenuto i candidati repubblicani nelle ultime cinque elezioni». Una presa di posizione indiretta, a cui si accompagnano le parole più esplicite di Bush figlio in South Carolina: «Capisco che gli americani siano arrabbiati e frustrati. Ma non abbiamo bisogno di qualcuno nello Studio Ovale che rifletta ed infiammi la nostra rabbia e la nostra frustrazione». Detto da uno che credeva di fare le guerre in giro per il mondo in nome della civiltà cristiana e che ha lodato (se non ordinato) l’impiccagione di Saddam Hussein in diretta tv (per poi criticare ipocritamente il tono vendicativo), suona effettivamente poco credibile. Se poi si aggiunge che, oltre ai Bush e ad altri repubblicani, tra cui l’ex candidato alla presidenza Mitt Romney, Trump non piace neanche ai Rothschild ed altri amici di Wall Street, non piace alla Cia, né – naturalmente – ai democratici altrettanto guerrafondai alla Clinton e Obama ed ai fanatici dell’antirazzismo contrari alle frontiere, viene quasi voglia di avviare le pratiche per la cittadinanza americana. Soprattutto a sentire le parole di Hilary Cliton al riguardo, che riflettono un politicamente corretto bipartisan già importato nel nostro paese insieme al loro modello di democrazia: «I repubblicani sono d’accordo: Donald Trump è incosciente, pericoloso e divisivo». Le accuse, non nuove agli ambienti nazionalisti italiani, risuonano al di là dell’Atlantico e facilitano l’identificazione fin dalla nostra sponda, trovando conferma dell’ipocrisia dominante proprio nelle parole di Trump: «So che le persone sono incerte sul tipo di presidente che io sarò, ma le cose andranno bene. Io non mi candido a presidente per rendere instabile la situazione del paese». Scandalismo per demonizzare il nemico dagli uni, populismo d’occasione dall’altro: ancora una volta sarebbe il caso di evitare tifoserie e rivendicazioni di appartenenza inopportune.

Emmanuel Raffaele, 6 mag 2016