Milano – Come previsto da un’intesa siglata già lo scorso anno, entro fine dicembre la caserma Montello – 70mila metri quadri di cui 20mila coperti, che fino al novembre 2016 ospitavano duecento militari e dove attualmente è stato realizzato un centro d’accoglienza per immigrati – tornerà allo Stato per diventare, dopo i necessari lavori di risistemazione, una sede della Polizia. Eppure, i circa trecento richiedenti asilo e le varie associazioni di sinistra che li hanno sostenuti (dopo le proteste iniziali contro il centro d’accoglienza da parte di CasaPound, Lega Nord, ecc.) si sono detti più che sorpresi dalla notizia e per nulla d’accordo con il “metodo” usato nei loro confronti. “Non siamo pacchi postali”, hanno così fatto sapere attraverso un comunicato pubblicato dal profilo social della squadra di calcio dei Black Panthers. Formata dai ragazzi che vivono alla Montello, la squadra che il comitato “Zona 8 Solidale” definisce una “squadra afromilanese” è nata proprio grazie al sostegno di attivisti della sinistra cittadina, che hanno anche provveduto a lanciare una raccolta fondi on line per promuovere l’iniziativa.
Nel comunicato, che fa riferimento a questa ed alle tante altre attività iniziate dai migranti nel corso dell’anno alla Montello, i richiedenti asilo lamentano: “Quando la caserma Montello chiuderà, verremo divisi e trasferiti nei vari comuni dell’hinterland milanese. Come sempre accade, abbiamo dovuto scoprirlo da soli“. L’impressione, spiegano è che non siano ritenuti “interlocutori validi per decidere il futuro delle nostre vite”, dal momento che, “nel bene e nel male noi possiamo solo subire decisione calate dall’alto e non essere partecipi del destino che ci viene prefigurato”. Come abbiamo anticipato, per la verità, che la caserma dovesse trasformarsi in centro d’accoglienza soltanto per un periodo di tempo limitato, era stato detto fin dall’inizio. Ad illuderli, evidentemente, non lo Stato ma chi li ha “sostenuti” ed ora evidentemente ne fomenta lo scontento per scopi propri. “La nostra squadra di calcio ha allargato il numero di fans e sostenitori italiani, ed è proprio in questo quartiere che dovremo disputare le partite in casa l’anno prossimo”, sottolineano i Black Panthers. D’altra parte, al di là della comprensione per il rammarico personale, in quanto ospiti in tutto e per tutto di una struttura pubblica messa a disposizione dal nostro Paese, tutt’altro è l’atteggiamento che ci si aspetterebbe. E’ evidente che il problema sta a monte e che a monte andrebbe dunque affrontato. Perché, a quanto pare, nonostante le dimostrazioni di solidarietà e l’accoglienza, l’accusa lanciata dai migranti è quella di “un paese che sprofonda nella paura e nel razzismo”. Affermazione quanto meno contraddittoria rispetto alla seguente: “Ormai, ci sentiamo parte della vita di questa zona e siamo diventati a tutti gli effetti milanesi“. In ogni caso, lo spostamento sembra non gli vada proprio a genio: “pensiamo che tutto ciò sia una profonda mancanza di rispetto”. Dove e se spostarsi avrebbero voluto deciderlo loro.
A pensarla così, naturalmente, anche le citate associazioni che, infatti, una dopo l’altra hanno condiviso il comunicato. Dal comitato “Zona 8 Solidale” a “Milano meticcia e antirazzista“, dal “Collettivo universitario Bicocca” al centro sociale “Lambretta“, da “Memoria antifascista” – che denuncia: “Percorsi di inclusione iniziati con impegno, formazione, lavoro, sport, corsi di lingua, verrebbero azzerati. Amicizie e rapporti di collaborazione, spezzati” – a “Naga onlus“, associazione che impiega centinaia di volontari per fornire assistenza sanitaria, sociale e legale gratuira agli stranieri, che rilancia: “è disumano quello che sta accadendo alle persone ospitate alla Montello. Le persone non si sradicano. Non si smistano. Noi non siamo pacchi postali”. Le persone non si sradicano. Singolare affermazione per chi si batte per normalizzare l’immigrazione di massa ed ha tappezzato Milano con lo slogan provocatorio: “Da trent’anni ci arricchiamo con gli immigrati…perché le loro storie e la loro forza sono la nostra ricchezza”.
Emmanuel Raffaele