“Ripeti una menzogna con costanza, qualcuno lo convincerai. E’ così che diventa semplice anche far passare l’idea, ad esempio, che l’Italia, paese ancorato allo jus sanguinis, sia dunque arretrato e non al passo coi tempi come gli altri paesi”. Quattro anni fa, esordiva con queste parole un articolo che pubblicavamo su questo sito (e del quale consigliamo vivamente la lettura) per mostrare come, sulla base dei risultati di una ricerca dell’Università di Modena, l’anacronismo dello ius sanguinis non fosse altro che una bugia, appunto. Oggi che il dibattito si infiamma, c’è bisogno di ribadire quel concetto ma c’è anche bisogno, dal momento che è avvenuta una forte polarizzazione delle posizioni in merito, di ribadire un altro aspetto da evitare nell’affrontare la questione: la banalizzazione dei due principi. Ecco perché.
Oggi lo ius soli sembra la priorità della sinistra, nonostante le frenate interne e la paura di perdere elettori, il quotidiano “Repubblica” ne ha fatto una campagna propagandistica potente ed una legge in proposito è in attesa di essere approvata in Parlamento da un momento all’altro. La base spinge per l’approvazione. Sull’argomento la “destra” si, naturalmente, schierata sul fronte opposto, contro il disegno di legge attualmente depositato. Pro ius soli contro “conservatori”. Sinistra contro destra sulla base di due principi in completa opposizione. Il monito del presidente Mattarella è stato chiaro. Quello del Papa altrettanto. E si parla addirittura di un gioco di sponda tra Vaticano e Governo far andare in porto l’approvazione. Pochi giorni fa, in centro a Milano, l’ennesimo flash mob in favore dello ius soli ha avuto luogo in piazza Cordusio, a pochi metri dal Duomo. Ma c’è che, in realtà, è tutto un po’ più complesso. Ed ecco che ci troviamo costretti a dar ragione al giornalista Gian Antonio Stella il quale ha il merito dell’obiettività, in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 24 luglio scorso e che, tra l’altro, fa riferimento alla stessa ricerca e banca dati da cui partiva il nostro articolo di quattro anni fa: “Le leggi non sono slogan” scandiva il titolo.
Un punto di partenza eccellente per arrivare al punto. La legge che attende di essere votata dal Senato, infatti, non si basa su uno ius soli puro, “è semmai uno «ius soli temperato», mediato con lo «ius culturae»“, ricorda Stella, che sottolinea anche come il Pd tenda invece ad accentuare l’ideologizzazione del dibattito, spingendo sull’idea di ius soli, senza specificare i dettagli. Ma proprio i dettagli, a volte, sono essenziali al dibattito. Non a caso gli italiani favorevoli allo ius soli, nel 2017, si sarebbero ridotti a circa il 40%, con un calo drastico negli ultimi tre anni. Gli slogan fanno male al dibattito e fanno male anche alle idee a quanto pare.
Ora, è chiaro ed è normale che ciascuno possa ritener maggiormente valido un principio anziché l’altro. Ma nella realtà, ad abbondare sono i regimi misti, in cui sono presenti entrambi gli elementi ed è soltanto una buona combinazione tra questi che fa una buona legge. Non basta dire si oppure no, è necessario entrare nel merito per essere concreti. La ricerca a cui si faceva cenno si basa sulla creazione di una banca dati sul comportamento in materia di 162 paesi dal 1948 al 2001. A redigere il rapporto Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi, dell’Università di Modena come anticipavamo.
Ebbene, quella ricerca mostrava come “in poco più di mezzo secolo lo jus sanguinis si è consolidato a scapito dello ius soli, al contrario di quello che si potrebbe credere (e che ci vogliono far credere)”. In particolare, “emerge che dal 1948 al 2001 i rapporti di forza tra jus soli e jus sanguinis su scala globale siano stati letteralmente inverti in favore di quest’ultimo: se nel 1948 soltanto 67 paesi adottavano lo jus sanguinis e ben 76 lo jus soli, nel 2001 soltanto 39 paesi sceglievano lo jus soli, a fronte di ben 88 paesi che preferivano lo jus sanguinis”. Nel merito del dibattito, peraltro, la ricerca conteneva delle affermazioni molto interessanti. Tra tutti questa che associa lo ius soli al feudalesimo: “Nell’Europa del diciottesimo secolo predomina il criterio dello jus soli, residuo di una tradizione feudale che lega l’individuo alla terra in cui nasce e quindi al rispettivo feudatario”. Del resto, negli Usa il principio dello ius soli nasce in stretta correlazione con le esigenze connesse alla schiavitù ed all’importazione di manodopera dall’Africa con la famosa tratta che è alla base degli scontri razziali attuali: “codificato nella stessa Costituzione tramite un emendamento del 1868, rivolto alla protezione dei diritti di nascita degli schiavi di provenienza africana“. Allo stesso tempo, lo ius sanguinis risulterebbe il regime adottato anche dalla maggior parte dei paesi africani e questo proprio in funzione anti-colonialista, ovvero dopo la conquista dell’indipendenza dalle potenze europee. Le radici dello ius sanguinis, invece, si hanno con la nascita degli Stati nazionali europei, in tempi moderni e “illuminati”. Di più. Come spiegano Strozzi e Bertocchi, infatti: “Il primo stacco nei confronti di questa tradizione avviene con la Rivoluzione Francese, che nel Codice Civile del 1804 reintroduce il criterio di derivazione romana dello jus sanguinis“.
Lo ius sanguinis, insomma, ha origini ben più nobili dello ius soli. Ma, tornando alla nostra introduzione sull’argomento, quel che ci preme sottolineare questa volta è un altro dato: il predominio dei regimi misti, anche in Europa e nei paesi considerati ‘migliori di noi’. Anche lo ius sanguinis italiano, d’altronde, è oggi “temperato”. Si può acquisire la cittadinanza italiana, infatti, dopo un lungo periodo di residenza in Italia, si può già acquisire alla maggiore età anche se nati da genitori stranieri e si può acquisire sposando un italiano. Dunque, nel discorso concreto, si tratta nella maggior parte dei casi di parametri soggettivamente stabiliti e del tutto distanti dall’applicazione di uno dei due principi in forma rigida. Ed è giusto che sia così. L’integrazione (anche se ci sarebbe un discorso a parte da fare sul tema), in realtà, può nascere soltanto da un inserimento graduale; non è possibile integrare le masse, ma si può eventualmente integrare il singolo, progressivamente e soltanto legislazioni “temperate” sono in grado di farlo. Anche la legge attualmente portata avanti dalla sinistra sembra riconoscere, dopo tutto, questa verità, anche se è più facile parlare per slogan. Allo stesso modo, quindi, anche la destra farebbe bene a ribattere nel merito e non in astratto. A guadagnarci sarebbe, quanto meno, il livello del dibattito.
Emmanuel Raffaele