Bruxelles, la capitale d’Europa, sarà musulmana in poco più di dieci anni. Più che una promessa (minacciosa a seconda dei punti di vista), un dato di fatto in una città in cui, già oggi, un terzo della popolazione è musulmana e dove, dal 2001, il nome più diffuso tra i nuovi nati è quello del profeta dell’Islam, Mohammed. Pesano come macigni, dunque, le parole di Abdelhay Bakkali Tahiri, presidente del relativamente nuovo partito belga chiamato, appunto, “Islam“.
Sulla carta la sigla è l’acronimo di Integrità, Solidarietà, Libertà, Autenticità e Moralità, ma non è certo un segreto che si tratti, appunto, di un partito esplicitamente islamico. Islam, come ha spiegato il suo stesso presidente in una intervista, è cresciuto grazie al supporto economico di marocchini, turchi, pakistani, iraniani e altri cittadini belgi di origine araba. La necessità implicita evidenziata, sia dalla creazione stessa del partito che dalla fiducia raccolta, è quella di un partito che rappresenti la comunità islamica su una base “identitaria” piuttosto che “ideologica”, una contraddizione (o, semplicemente, una constatazione) sociologicamente molto più interessante dei punti stessi del programma del partito, nato del 2012 a Molenbeek, quartiere di Bruxelles nel quale furono arrestati gli autori degli attentati terroristici di Parigi del 2015 e dove già 21 consiglieri su 46 sono musulmani.
In una città in cui l’ex sindaco Yvan Mayeur aveva messo in guardia sul radicalismo islamico (“tutte le nostre moschee sono in mano ai salafiti”), proprio questo quartiere, del resto, ha già eletto proprio tra i candidati di Islam uno dei due consiglieri della regione di Bruxelles, Lhoucine Aït Jeddig. Un risultato notevole considerando che, appena nato, il partito aveva corso appunto soltanto in tre distretti, mentre su base nazionale in appena 28 comuni su 589. Ma, in vista delle prossime elezioni amministrative di ottobre – dopo il 2% ottenuto a Bruxelles alle politiche del 2014 – e di alcune uscite che hanno fatto discutere, Islam sta guadagnando visibilità in Belgio e la discussione intorno ad un suo scioglimento è già aperta (una posizione liberticida che, ovviamente, non trova d’accordo questo blog).
Il fatto è che “Islam” parla di sharia e democrazia islamica, propone autobus separati per uomini e donne e allude alla creazione di uno Stato Islamico. Secondo Abdelhay Bakkali Tahiri, del resto, l’80% della Costituzione belga sarebbe già compatibile con la legge islamica e, quanto agli autobus separati, minimizza: si tratta di una proposta che non prevede alcun obbligo, ma semplicemente la possibilità per le donne di scegliere di stare in appositi spazi a loro riservati, per evitare molestie e contatti di troppo. “Dopo gli attentati terroristici, i musulmani sono stigmatizzati, sono state approvate leggi liberticide e c’è un sentimento di paura”, spiega il leader.
Proprio nell’intervista video qui riportata, del resto, Abdelhay Bakkali Tahiri insiste nella “svuotare” di significati particolari il termine sharia e spiega che l’allusione ad uno stato islamico è una provocazione consapevole, volta a combattere la cattiva fama del ben più famoso Stato Islamico. Secondo lui – non a torto – la legge islamica comprende una ampia gamma di interpretazioni e scuole di pensiero, per cui, fondamentalmente, può essere ciò che si vuole. Cita ad esempio l’Arabia Saudita, dove le donne non potevano guidare e ora possono farlo, senza mai negare la validità della sharia. “Il termine sharia è come un sacco che possiamo riempire come vogliamo e dargli la forma che vogliamo”, spiega in maniera un po’ rozza ma efficace. Ed è vero. E il punto è proprio questo. Oggi Islam si presenta come un partito dopo tutto “moderato”, tenta di tranquillizzare l’elettorato non musulmano, ma sembra sminuire eccessivamente una incompatibilità culturale percepita che è sottintesa nella creazione stessa del partito, quanto nel nome. Il Corano, dopo tutto, non è mai in discussione: la legge deve venire da lì e da lì prendere ispirazione. E il sospetto che la moderazione sia una questione di facciata è, dunque, più che motivata. Se il Belgio fosse praticamente islamico all’80%, del resto, dubitiamo che Islam sarebbe mai nato.
Dopo di che, è vero, ci sono stati e ci sono ancora diversi Islam, il Corano ha conosciuto e conosce diverse interpretazioni e, pur senza rinunciare al riferimento religioso, la pratica ha spesso condotto a soluzioni piuttosto flessibili. Innanzitutto a causa della mancanza di una gerarchia ecclesiastica e, di conseguenza, di diverse scuole e dottrine, ma anche per il semplice fatto che il diritto islamico negli ordinamenti statuali è stato sempre recepito in maniera differente, l’Islam ha dato luogo a soluzioni molto diverse tra loro, nel tempo e nello spazio. Ciò non vuol dire, però, che si possono chiudere gli occhi davanti ad una innegabile e documentabile deriva fanatica del mondo musulmano oggi, né assecondare lo svuotamento apparente di significati e l’appiattimento delle differenze che, invece, ci sono.
Dopo di che si può guardare con simpatia alle posizioni filo-socialiste (non a caso, a temere elettoralmente, sarebbero soprattutto i socialisti classici) ed anti-capitaliste del partito contenute in un programma incentrato sull’attenzione ai lavoratori (punti, peraltro, mutuati dall’Occidente), ma non bisogna mai dimenticare che se “Islam” è un partito identitario un motivo c’è. E questo motivo è appunto una identità ed cultura che non è la nostra, che non è europea, che non è laica e che, molto spesso, non è compatibile con la libertà. Se vietare il pensiero non è lecito, combattere il problema alla radice, insistendo sulla difesa della nostra identità è, dunque, un dovere.
Emmanuel Raffaele Maraziti