C’è qualcosa che certa stampa continua a non vedere e raccontare con la necessaria oggettività. E c’è una tradizione politica, quella della sinistra, in evidente crisi di identità, con poche minoranze in grado di proporre una lettura differente.
Per capire di cosa si parla, basterebbe leggere un testo – “Sovranità o barbarie“, pubblicato nel 2018 da Meltemi – che guarda alla tradizione socialista e al movimento operaio, che cita Togliatti, Keynes e Marx (non certo Salvini), senza rinunciare alla sovranità nazionale.
Il libro, che porta la firma del giornalista Thomas Fazi e dell’economista William Mitchell, ammonisce: la sovranità nazionale è democrazia, lo Stato nazionale è l’unico argine al liberismo, internazionalismo e cosmopolitismo sono cose differenti, essere anti-sovranisti non è di sinistra.
Non si tratta di fanatismo nazionalista insomma, ma di un’analisi alternativa, che parte da dati oggettivi: non è un segreto – e ha avuto modo di dichiararlo anche il deputato di “Italia Viva” Massimo Ungaro – che “in dieci anni abbiamo perso dieci punti di pil, l’equivalente di uno scontro bellico” e che l’introduzione dell’euro ha più di una responsabilità.
Non c’è nulla di obiettivo e di sinistra nel fingere di non vedere un problema. Identica cosa che accade sulla questione migratoria, in cui il dialogo è bandito.
Se, “abbandonate le tradizionali appartenenze politiche, gli ex minatori gallesi, gli ex metalmeccanici di Newcastle, Sunderland, Grimsby hanno votato per chi prometteva Brexit subito, abbandonando l’ondivaga politica dei laburisti di Corbyn”; e se “persino le regioni ex operaie del Nord Inghilterra e Galles settentrionale hanno votato conservatore“, come osservava nello scorso numero de “La Notizia” Marco Varvelli, allora è chiaro che non si può liquidare la questione semplicisticamente girando le colpe alle ‘false promesse’ di risolvere “disoccupazione, deindustrializzazione, servizi pubblici a pezzi” uscendo dall’Unione Europea.
Perché, certo, è probabile che non saranno i conservatori a risollevare le sorti d’Europa ed è ovvio che non è l’uscita dall’Ue a garantire automaticamente la soluzione, ma le questioni sollevate non si possono gettar via come il bambino con l’acqua sporca.
La sinistra, che assiste inerme al ‘tradimento’ delle fasce popolari, può davvero essere rappresentata dalle frasi di semi-colti alla Alba Parietti che propongono di limitare il voto ai competenti? Come si può pretendere il voto degli operai, continuando ad accusarli di ignoranza e facendo incetta di voti nei centri storici alto-borghesi delle grandi città? Sono gli operai a votare di pancia o è la sinistra ad aver cambiato casacca? La foglia non cade mai troppo lontana dall’albero.
La deindustrializzazione d’Europa (e soprattutto delle sue periferie) non sarà ‘colpa’ dell’Ue, ma è certamente colpa di un approccio neoliberista che l’Ue ha costituzionalizzato e che la sinistra ha fatto proprio. Intervenire poco per non disturbare il mercato e lasciare che la produzione si sposti nei Paesi in cui costa meno. Nel frattempo, abbandonare il controllo della politica industriale e tagliare la spesa sociale, considerandola come un costo e non come una necessità ed una opportunità. Tutto ciò, mentre gli Stati non possono controllare il proprio mercato del lavoro (confini aperti) e la propria moneta.
Ecco, diciamo che questioni su cui riflettere ce ne sarebbero e la risposta non può essere un retorico fronte anti-Salvini e anti-odio di ispirazione ittica.
Affermare che, molto banalmente, “i britannici vogliono dirci che essere Europei non significa nulla”, che “o si è britannici o si è stranieri”, come se fosse tutto sempre una questione di razzismo, significa, ancora una volta, evitare di affrontare i problemi dell’Ue.
D’altronde, quelli che irridevano la brexit, sono gli stessi che per tre anni ci hanno parlato di elettori disperati e pentiti, prima di assistere al trionfo di Johnson. Gli stessi che ci hanno letteralmente parlato del rischio che il Regno Unito diventasse una “landa desolata”, prima di accorgersi che un accordo di libero scambio con l’Ue è la cosa più probabile e non è, peraltro, l’unica porta aperta per gli inglesi. E che essere europei è un fatto culturale e identitario, che va ben oltre i trattati di Maastricht e la Bce.
Insomma, se la sinistra proprio non sopporta che il popolo voti a destra, magari potrebbe ricordarsi di fare la sinistra.
Emmanuel Raffaele Maraziti