
Stando ai dati dei giorni scorsi, infatti, il tasso di mortalità nel Paese asiatico sarebbe allo 0,77%, contro una media globale del 3,4%, mentre il tasso di letalità allo 0,89% sarebbe oltre sei volte inferiore al tasso registrato finora in Italia.
A questo punto è d’obbligo una breve premessa: i dati diffusi in questi giorni sono tutti da prendere con le molle, essendo provvisori e, soprattutto nel caso del tasso di letalità, anche molto relativi. Come abbiamo già avuto modo di spiegare, infatti, il tasso di letalità, infatti, mette in relazione il numero di decessi con il numero di contagiati ma, trattandosi ovviamente dei contagi accertati, il denominatore è tendenzialmente sottostimato e, soprattutto, varia molto da Paese a Paese in base al numero e al metodo di test effettuati.
Anche questo, dunque, contribuisce a spiegare le differenza da Paese a Paese.
Ma c’è un dato assoluto, il numero dei decessi registrati finora in Corea del Sud, che rimane un dato oggettivo “positivo”. Con circa 50 milioni di abitanti e 8413 contagiati (il settimo Paese per contagi fino a ieri), la Corea del Sud ha fatto finora registrare “soltanto” 84 morti, pur essendo uno tra i primi, il 20 gennaio scorso, ad accertare un caso di contagio dopo la Cina.
ECCO LA STRATEGIA COREANA

Quando è stato individuato il primo caso, è apparso subito chiaro che si era creato un focolaio importante (responsabile della maggior parte dei contagi coreani) presso la Chiesa di Gesù Shincheonji (una sorta di setta) nella città di Daegu (con due e milioni e mezzo di abitanti, la quarta città del Paese).
Da quel momento sono stati effettuati oltre 200mila test ai seguaci del culto, avviando la quarantena per i positivi.
I controlli sono così andati avanti con un ritmo di 20mila al giorno, il che ha permesso di individuare e isolare prontamente tanti positivi.
Dopo di che, grazie all’esperienza della epidemia di Mers del 2015, secondo i piani, il Korea Centers for Disease Control and Prevention ha reagito approntando immediatamente una rete di laboratori pubblici e privati mobili, alcuni tipo “Mc drive” per capirci, dove la popolazione, senza neanche scendere dall’auto, viene sottoposta al test. Pochi minuti e, minimizzando peraltro i contatti, in poche ore si riceve il risultato.
Test a tappeto quindi e, così, solo il 10% dei contagiati ha richiesto la ospedalizzazione.
Le scuole sono state chiuse, così come sono stati sospesi gli assebramenti più consistenti ma, in compenso, non è stato effettuato nessun blocco totale delle attività e non è stata imposta nessuna quarantena di massa.
C’è anche da dire che al sistema hanno anche contribuito in parte anche violazioni consistenti della privacy, con tracciamenti dei casi positivi che passano dall’uso delle carte di credito, tecnologie gps, telecamere di sorveglianza, etc. Proprio grazie a questi dati è nata una applicazione (Corona 100m) che “rende pubblici movimenti e transazioni dei cittadini affetti da coronavirus” e permette la “localizzazione aree o edifici con persone contagiate”.
Come abbiamo segnalato nel nostro approfondimento di ieri, anche gli altri governi – incluso il nostro – erano a conoscenza del pericolo pandemia e, da tempo, erano stati approntati piani per affrontarla. Peccato che, già nella fase d’allerta, il governo e i partiti di maggioranza, poco informati e impegnati a sminuire il pericolo, sembravano cadere dalle nuvole, agendo in ritardo, in maniera improvvisata, fino a giungere alla decisione di chiudere tutto perché ormai la situazione era fuori controllo. Una decisione dettata dal passo e dal panico in cui il governo stesso sembrava immerso.
Emmanuel Raffaele Maraziti
5 risposte a "Covid-19, la strategia vincente della Corea del Sud [VIDEO]"