«Riappropriarsi del concetto emancipativo di nazione», «basta alla fuga verso la cosmopoli e verso l’estero che caratterizza l’Italia: la cultura sia nazionalpopolare», «no alle delocalizzazioni in nome di un cieco abbattimento delle frontiere», «diritto di parlare la propria lingua nazionale contro la vergognosa imposizione della lingua inglese nelle scuole e l’ imperialismo culturale per cui una pubblicazione in inglese vale più che una in italiano»: a sentir parlare il filosofo Diego Fusaro, nell’incontro svoltosi ieri pomeriggio presso l’Università Magna Graeciadi Catanzaro, la percezione di trovarsi al di là delle ideologie è netta.
“La violenza dell’economia”: è questo il tema di un incontro che ha disvelato, a chi già non lo conoscesse, il pensiero del giovanissimo studioso torinese, comunemente definito marxista ma, in realtà, padrone di temi e di un linguaggio appannaggio spesso dello “schieramento opposto”. Ed il motivo è presto detto.
«Non ho mai detto», spiega Fusaro, «di essere marxista: sono allievo indipendente di Hegel e di Marx».
E, sollecitato sugli abbagli presi da Marx o, più semplicemente, su ciò che andrebbe accantonato dell’autore de “Il Capitale”, addirittura aggiunge: «Il mio Marx è il Marx idealista».
Poiché, se è vero che bisogna «ripartire da Marx, dalla sua critica dell’esistente e dalla sua passione per la ricerca di un futuro alternativo», diversi sono i limiti riconosciuti: «innanzitutto, la fede positivistica nella scienza e gli scivolamenti verso il meccanicismo e il determinismo nel capitale». «Il mio Marx», aggiunge infatti, «è il Marx di Gramsci e Gentile, il Marx della prassi, il Marx ‘idealista’, critico dell’economia e del capitale, mentre non mi convince Marx che pensa alla fine del capitalismo come un processo naturale: ciò è un’illusione».
Riassumendo: Marx e Gentile, nazione, idealismo, cultura, «che solo per il marxismo staliniano è mera sovrastruttura» (risposta sulla quale qualcuno potrebbe forse dissentire) e determinazione nel superamento della dicotomia destra-sinistra: «l’unica dicotomia che ritengo valida è tra chi accetta capitale e chi lo contrasta. Le altre sono dicotomie gravide di capitale».
E Grillo? E il ‘riemergere dell’estrema destra in Europa’?
«Il problema non è la destra, la sinistra o Grillo ma l’Unione Europea». «Mentre giovani fascisti e antifascisti si scontrano, il capitale si sfrega le mani».
Perché, dunque, ripartire da Marx?
Secondo Fusaro, come anticipavamo, la ragione è essenzialmente una: «in un’epoca di passioni tristi, le quali inducono a pensare che non possa andare diversamente da come va, Marx insegna a non accettare come destino intramontabile l’ordine esistente».
Marx, insomma, perché la filosofia non deve rimanere in una torre d’avorio ma divenire azione, «incidere nella visione del mondo delle masse, trasformare il senso comune».
Ciò che egli prova a fare illustrando la duplice violenza dell’economia: diretta e indiretta, ovvero culturale.
«La globalizzazione», afferma, «è una violenza dove carnefice e vittima non si incontrano mai. Come nel caso delle delocalizzazioni, laddove è il capitale che mira ad abbattere le frontiere ai suoi scopi». «Possiamo definire globaritarismo questa forma di autoritarismo, che non mira a escludere i popoli ma ad includerli ossessivamente per lo scambio delle merci».
E dell’errore di alcuni marxisti, ingannati dalla possibilità di capovolgimento della globalizzazione in comunismo globale.
«La condanna continua della violenza», argomenta in seguito, «e la condanna stessa delle violenze passate, del resto, servono soltanto a rendere legittima la violenza attuale, la violenza dell’economia».
«E’ il potere», sottolinea, «che, pur riconoscendosi imperfetto e ingiusto, si ritiene non emendabile. E’ il presente liberale che si assolutizza: non avrai altra società all’infuori di questa».
Con la conseguente «demonizzazione di ogni passione utopica come potenzialmente autoritaria» e la fine stessa della politica, ben rappresentata dal governo Monti, gli economisti (al posto dei filosofi, dei migliori o dei soviet) al potere: «La volontà di compiacere i mercati rappresenta la fine della politica, poiché la politica dovrebbe governare i mercati, disciplinarli, non compiacerli».
Ragion per cui Fusaro parla di «governi interscambiabili di centrodestra e centrosinistra», di una formazione/istruzione trasformata dal capitale in merce da consumare e di un’unica via di fuga: «sottrarsi dal do ut des mercatistico».
Ma anche della caduta del muro di Berlino, «la più grande tragedia geopolitica, poiché ha segnato il trionfo del capitale su tutta la linea».
E, per concludere, c’è anche spazio per qualche battuta sul recente incontro (mancato) a CasaPound, nell’occupazione che è la sede centrale del movimento in via Napoleone III a Roma, dove Fusaro avrebbe dovuto discutere, con «l’amico» e responsabile culturale di Cpi Adriano Scianca, proprio di Karl Marx. Una conferenza poi tenutasi senza la partecipazione del filosofo torinese, che in extremis aveva deciso di rinunciare in seguito ai durissimi attacchi (e alle minacce) ricevuti dagli ambienti antifascisti: «Centri sociali e CasaPound sono caduti in una logica di opposizione», ribadisce Fusaro, distribuendo egualmente (ma questa volta colpevolmente) le colpe tra chi ‘fa e chi antifà’.
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