Esselunga: altro che “top employer”, ecco il loro metodo di “annientamento” [#generazioneprecaria]

Risultati immagini per esselunga fotoFirmata da A. G., ecco un’altra testimonianza per la rubrica #generazioneprecaria, dopo quella proposta in merito alle nuove “assunzioni” in Poste Italiane.

Premiata Esselunga: è tra le migliori società in Italia dove lavorare“. La notizia è apparsa sui quotidiani poco più di un mese fa. Secondo quanto comunicato alla stampa, l’azienda fondata da Bernardo Caprotti ha ottenuto infatti la certificazione “Top Employer Italia 2018” per le “eccellenti condizioni di lavoro garantite ai propri dipendenti, identificazione e sviluppo dei migliori talenti a tutti i livelli aziendali, costante ricerca di miglioramento dei propri processi organizzativi”. Ente certificatore olandese, che ha valutato i dati relativi ad un totale di novanta società italiane, si occupa solo di realtà dotate di strutture di risorse umane particolarmente avanzate. E, soprattutto, opera le sue scelte attraverso un questionario destinato unicamente alle aziende e che non prevede domande dirette ai dipendenti. Insomma, un “premio”, o meglio una certificazione, da prendere con le molle, nonostante i titoloni: a fornire gli elementi necessari, infatti, è l’azienda stessa. Continua a leggere

[#generazioneprecaria] Una “rubrica” per tornare a parlare di lavoro

Ci hanno raccontato della flessibilità come una favola. Poi ci hanno detto che era necessaria. Poi ci hanno detto che si erano sbagliati, ma ormai era tardi. Ci hanno detto “flessibilità è bello”, “flessibilità è il futuro”, “flessibilità è moderno”. E ci hanno preso in giro perché volevamo un lavoro vero, stabile, soddisfacente e perché volevamo una vita a misura d’uomo – non appesa ai calcoli su un foglio che misura efficienza e produttività. Perché volevamo una casa, una famiglia. Ci hanno detto che quello è il passato. E poi non hanno capito perché in tanti si sono suicidati. Perché in tanti non ce l’hanno fatta. Li hanno chiamati deboli, vigliacchi, perdenti. Gli hanno costruito un mondo senza senso e poi li hanno rimproverati perché non hanno trovato un senso per andare avanti. Hanno tolto la dignità ad un padre di famiglia con la loro usura e non gli hanno chiesto scusa quando ha deciso di smettere di vivere per ripagare delinquenti in giacca e cravatta.

Ho trentun’anni. Sono calabrese. Sono il primo di quattro figli e, quando ero poco più che un bambino, mio padre mi portava con lui a lavorare o a guardarlo lavorare. Oggi è politicamente scorretto. Oggi non si fa. Ma è così che mi ha insegnato a sporcarmi le mani, a rispettare chi lavora, ad essere umile. E quella umiltà forse l’ho pagata, perché non ho mai preteso niente. Finché ho capito: ci stavano prendendo in giro. Mi offrivano flessibilità, zero sicurezze, zero prospettive.
L’ho vissuta fino in fondo la precarietà. Non ho ancora capito le scelte che ho fatto e quelle che, in fondo, mi ha imposto la realtà.
Hanno anche imparato a confonderti, a farti sentire in colpa.
So solo che, ad un certo punto, mi ci sono abituato. E ho iniziato a giocarci. A vedere fin dove si può arrivare.
E, come tanti, sono emigrato: a Roma, a Milano, in Inghilterra, in Spagna.
A un certo punto mi sono accorto che avrei potuto finire a lavorare ovunque.
Se nessun posto è casa, qualunque posto può andar bene.
Poi ho capito che era una bugia anche questa. E che sembrava tutto facile ma non mi stavo divertendo. Mi ero solo assuefatto. Continua a leggere

Breve intervista ad Antonio Catricalà su riforma Fornero

Antonio CatricalàRitorno in Calabria e ritorno nella sua città natale Catanzaro per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri Antonio Catricalà, che avrà trovato senz’altro calorosa l’accoglienza riservatagli dal sindaco del capoluogo di Regione Sergio Abramo, dal presidente della Provincia Wanda Ferro e dal presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. «Qui ho passato la mia infanzia felice», ha esordito Catricalà, che ha parlato di «rinnovato splendore» della città ed ha concluso il suo discorso con un incoraggiante «viva l’Europa, viva l’Italia, viva il Mezzogiorno d’Italia». Inversione di tendenza, questa la parola d’ordine lanciata dal sottosegretario, che ha avuto modo anche di parlare di spending review; «non tagliamo i servizi, ma i surplus di spesa. Se riusciamo a realizzare il bottino di quattro miliardi e duecento milioni di euro entro l’anno non avremo la necessità di aumentare di due punti l’Iva per raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio». Temi caldi, dunque, come la riforma del lavoro, su cui ha avuto modo di chiarire il suo punto di vista proprio a Calabria Ora, com’era pressoché d’obbligo in una giornata dedicata ai giovani ed al loro futuro, viste le criticità della questione, che probabilmente si avvertono nel Mezzogiorno più che altrove.

La giornata di oggi è dedicata ai giovani ed ai loro progetti lavorativi, un tema che stride con la riforma approvata, che facilita la flessibilità in uscita e, di fatto, i licenziamenti, non crede?

La riforma del lavoro è stato un disegno di legge molto elaborato, studiato con attenzione ed ovviamente approvato in una situazione di emergenza ma comunque con ampi consensi. Si è trattato di un provvedimento molto atteso anche dall’Europa, tanto che lo stesso Barroso (presidente della Commissione europea, ndr) ha spiegato che, avendo approvato quest’ultimo disegno di legge – che tra l’altro faceva già parte di un nostro progetto -, siamo andati in Europa con tutte le carte in regola e proprio questo ha facilitato il negoziato che ci ha visti uscire in una posizione favorevole in quella notte fatidica a Bruxelles.

Di certo, però, il nuovo contratto ‘tipo’ per l’ingresso nel mondo del lavoro sarà un contratto di apprendistato, quasi si voglia ‘togliere’ ai lavoratori per ‘dare’ solo agli imprenditori…

Non mi sembra che si voglia dare né togliere a nessuno. Mi sembra, piuttosto, che si voglia regolamentare al meglio un mercato che era regolamentato da norme non più accettate a livello internazionale e quindi garantire all’Italia una modernizzazione che era necessario portare avanti.

Ma contestualmente è stato abolito, tra l’altro, il reintegro ‘automatico’ dopo il licenziamento…

In realtà neanche prima era automatico, dal momento che era comunque necessaria una valutazione da parte del giudice.

Proprio il titolare del Dicastero del Lavoro, Elsa Fornero, ha dichiarato che il lavoro non è un diritto, è d’accordo?

Non faccio mai dichiarazioni sulle dichiarazioni altrui.

Emmanuel Raffaele, “Calabria Ora”, giugno 2012

Calabria, propaganda sulla crisi

lavoro neroI toni inopportunamente trionfalistici non mancano mai. Il nuovo governo Monti si è insediato ed ha subito sfatato due luoghi comuni: Berlusconi ha provocato la crisi, il governo tecnico è la soluzione. Per il 2012 l’Ocse prevede la recessione, mentre anche Francia e Germania traballano. È in questo contesto che Benedetto Di Iacovo, presidente della Commissione per l’emersione del lavoro non regolare in Calabria, ha affermato: «l’andamento dell’economia calabrese nel 2011 fa ben sperare anche per 2012».

Per carità, i dati sul lavoro nero sono rassicuranti (circa 7.000 unità emerse nel 2010), ma da qui a dire che la Calabria va in controtendenza ce ne vuole. E precisamente nel mezzo passano i dati che lo scorso 18 novembre – sfortunatamente per lui, qualche giorno prima delle parole di Di Iacovo – sono stati presentati presso la filiale catanzarese della Banca d’Italia. Dati tutt’altro che incoraggianti sulla situazione registrata nei primi sei mesi del 2011.

Tanto per cominciare, la disoccupazione è risalita. Nei primi sei mesi era al 12,9%. Nel primo trimestre era addirittura al 13,8%. Mentre nel 2009 eravamo all’11,3%. Il tasso di attività e quello di occupazione sono ai livelli minimi dal 2004 (47,3% e 41,2%). Sono cresciute, al contrario di quanto avvenuto a livello nazionale, le ore di cassa integrazione e ciò a causa dei necessari interventi straordinari. In crisi quasi tutti i settori e qualche speranza (queste si probabilmente congiunturali) da esportazioni e turisti stranieri. La situazione insomma non è delle più semplici.

Basti pensare che, secondo l’ultimo censimento dell’agricoltura, le aziende agricole calabresi, terze per numero in Italia, sono passate dalle 174.693 unità del 2000 alle 137.699 del 2010. Quasi 37.000 aziende perse in dieci anni, senza che, come altrove, vi sia stata in compenso un’espansione dimensionale di quelle esistenti. Anzi, sia la Superfice Agricola Totale (SAU) che la Superficie Agricola Utilizzata (SAT) risultano diminuite. Se prima le aziende agricole erano l’8,4% di quelle italiane, ora sono il 7,26%. Non è dunque solo una questione di settore generalmente in crisi. Se si guarda al più fruttuoso settore zootecnico, infatti, solo il 7,2% delle aziende agricole calabresi lo pratica, al contrario di quelle lombarde, dove la percentuale è al 39,7%.

Altro che questione settoriale, del tutto fuori tempo con la crisi finanziaria in corso. Lo stesso settore industriale, d’altronde, esprime una situazione sconfortante. Dando uno sguardo al rapporto sull’economia italiana redatto dalla Banca d’Italia nel novembre 2011, infatti, si scopre che la Calabria non è dotata neanche di un distretto industriale classificabile come tale. Al contrario della Puglia, ad esempio, che ne ha 8, della Sicilia, che ne conta 2, della Campania, che ne conta addirittura 6 e persino della Basilicata (1). In gioco, dunque, non ci sono solo dati di breve periodo.

E come sempre i toni trionfalistici lasciano il tempo che trovano.

Emmanuel Raffaele, “Universo Parallelo”, gennaio 2012