Particolare attenzione ha riservato ieri papa Francesco, nell’aprire la prima assemblea generale della rinnovata Pontificia Accademia per la Vita, all’ideologia gender, tema del resto già presente nella sua esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, che pure ha fatto infuriare alcune minoranze tradizinaliste. Ieri, nel suo discorso, che ha inaugurato la sessione “Accompagnare la vita. Nuove responsabilità nell’era tecnologica” che si concluderà domani, il papa ha infatti ribadito con forza la sua posizione al riguardo: “L’ipotesi recentemente avanzata di riaprire la strada per la dignità della persona neutralizzando radicalmente la differenza sessuale e, quindi, l’intesa dell’uomo e della donna, non è giusta. Invece di contrastare le interpretazioni negative della differenza sessuale, che mortificano la sua irriducibile valenza per la dignità umana, si vuole cancellare di fatto tale differenza, proponendo tecniche e pratiche che la rendano irrilevante per lo sviluppo della persona e per le relazioni umane. Ma l’utopia del ‘neutro’ rimuove ad un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita“.
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Bergoglio sempre più a sinistra e ad Ostia un prete lascia la Chiesa per candidarsi contro CasaPound
Messa all’angolo la cura delle anime, la Chiesa di papa Francesco sembra più che mai attenta alla politica italiana e più che mai vicina – politicamente e concretamente – alla sinistra. Non hanno dunque meravigliato nessuno le parole di Bergoglio che, replicando quelle del presidente del Consiglio Mattarella, ha esortato la politica ad una rapida approvazione dello “ius soli”: la nazionalità subito a chi nasce in Italia. Ed ecco perché, dopo tutto, non c’è da meravigliarsi neanche se, a Roma, alla presidenza del X municipio, il candidato “a sorpresa”, quello della sinistra a sinistra del Pd, sarà don Franco De Donno, che lascerà quindi la Chiesa (ancora è incerto se lo farà definitivamente oppure otterrà una sospensione). Continua a leggere
Papa Francesco e la lezione dimenticata di Roma, ma anche di Cristo
Forse non ci facciamo caso, ma quando pensiamo al passato, facciamo sempre riferimento mentale ad organizzazioni politiche in cui la frammistione tra politica e religione si suppone fosse forte. Dio era il dio del popolo, spiegava Nietzsche, perciò la dimensione politica e quella religiosa coincidevano. Nonostante questo, si trattava di ordinamenti probabilmente più “laici” nella sostanza di quello che si sta affermando nell’epoca post-liberale.
Impossibile? Lo spunto viene proprio dalle recenti parole del papa sull’amare il prossimo ed il suo riferimento diretto alle politiche italiane sull’accoglienza. Legge dello spirito sacrosanta quella dell’amore per il prossimo. Ma il capo della Chiesa cattolica, come già segnalato da più parti, compie un’operazione pericolosa, oltreché scorretta, allargando ad una dimensione politica il campo d’applicazione di una disposizione “spirituale” a carattere prettamente individuale.
Il «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», frase con la quale, di fatto, Gesù Cristo legittimò l’autorità del potere temporale romano, tenendo per sé “soltanto” la sovranità sulle anime, non è una semplice trovata per sfuggire ad una delle tante trappole dottrinarie vanamente tentate contro di lui dai farisei. Si tratta, infatti, di una tra le tante espressioni di una dottrina che la vita stessa di Cristo va a rappresentare. «Il mio regno non è di questo mondo» è quello che, del resto, ripete più volte nel corso della sua predicazione, sottolineando una caratteristica fondamentale del suo messaggio e della sua dottrina: la sua parola, infatti, non solo è rivolta esclusivamente all’azione individuale ma, soprattutto, si concentra non soltanto sull’azione in sé ma sul modo in cui si realizza l’azione. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità», racconta Matteo, citando direttamente il Messia dei cristiani. Ed in queste parole sta il senso della sua predicazione: ripulire l’interiorità dell’uomo. Non contano molto per lui le buone azioni, quanto le buone azioni fatte col cuore puro, con sincerità. Non si pone il problema di una giustizia politica o sociale, ma di una giustizia individuale, interiore, spirituale. È chiaro e scontato che questo non implica un disinteresse per le buone o le cattive azioni della società nel suo complesso, ma è indubbio che Gesù Cristo non mette in discussione il piano politico, deludendo peraltro i suoi apostoli, che in alcune occasioni sembrano seguirlo solo per la convinzione che il loro “re” avrebbe guidato una rivolta di natura sociale contro i romani. Molto semplicemente, Cristo non pretende di essere un legislatore politico ma un legislatore dello spirito, mirando ad influire sui comportamenti tra gli uomini e non certo a fare della sua parola un programma politico. Se lo avesse voluto fare, lo avrebbe fatto o detto. Non lo ha fatto, né detto e questo dovrebbe far riflettere prima di tutto chi dovrebbe rappresentare in terra la sua parola. Ma, soprattutto, se lo avesse fatto o voluto fare, siamo proprio sicuri che il suo programma politico sarebbe stato affine a quello proposto da papa Francesco? Non osiamo rispondere, ma sottolineiamo l’interrogativo. Ed evidenziamo che peraltro, nel tempo, la Chiesa ha dato una risposta a tutto questo, compilando vari “catechismi” e dottrine in cui dell’immigrazione, come della giustizia sociale e penale, c’è una visione del tutto “razionale” e non certo banalmente e utopisticamente improntata all’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”. Questa frase non è e non può essere un programma politico a meno di non opporsi alla politica stessa, nel senso di stato, organizzazione sociale e diritto. Ed in questo caso, a maggior ragione, lo uno stato se ne dovrebbe guardare.
Quella tracciata dal Cristo è, in ogni caso, senz’altro una frattura rispetto alla religiosità tradizionale, che ha dato vita alla difficile (e alterna dal punto di vista dell’approccio rispetto al messaggio originario) dialettica Stato-Chiesa e Impero-Chiesa, cambiando definitivamente il rapporto tra religione e Stato in Occidente. Appunto. Anche il contributo paolino, del resto, si inserisce su questa direttrice («ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite», Rm – 13, 1-7) senza contare il catechismo di san Tommaso d’Aquino, il quale ha ben chiara la priorità comunitaria nella decisione politica rispetto alla decisione individuale: «la cura del bene comune è affidata ai principi investiti della pubblica autorità», chiarisce nel corso di un discorso sulla pena di morte. Dopo l’avvento del Cristianesimo, quindi, la dimensione politica e quella spirituale si separano e, proprio in relazione a tutto questo, è opportuno che questa separazione venga rispettata, considerando la dimensione ormai “privata” del messaggio cristico.
La retorica dell’accoglienza, quindi, va combattuta anche in nome del “laicismo” e del “diritto” nel senso più alto del termine. La politica delle porte aperte rispetto all’immigrazione di massa è, sostanzialmente, una soluzione “religiosa” al problema, che pretende di rispondere ad un fenomeno che ha dimensione politica attraverso i doveri “spirituali” dell’accoglienza e della generosità. La risposta, invece, non può che essere politica ed indipendente da qualsiasi influenza “religiosa” (o ideologica, che fa lo stesso) nel momento decisionale.
E’ su queste stesse basi, del resto, che si tende, purtroppo, ad associare l’opposizione all’immigrazione di massa con un atteggiamento esistenzialmente e/o razzialmente ostile all’immigrato in quanto persona. Un’associazione mentale che, appunto, riflette quanto detto: il criterio con il quale, chi si oppone a questa visione sulla base dell’antirazzismo e dell’amore per il prossimo, crede si debba legiferare, muove da motivazioni meramente “reazionarie” rispetto appunto a quelle che combatte, il razzismo e l’odio. E’ un criterio, dunque, specchio di quello opposto, che pure non è giudicato politico, ma che è, come esso, legato ad antipatie e/o simpatie personali, emozioni, sentimenti e stati d’animo, in breve, a tutto ciò in base al quale, in nome dell’imparzialità, non si dovrebbe proprio pensare di legiferare: l’amore contro l’odio per il prossimo, l’antirazzismo contro il razzismo.
Nel racconto tradizionale della fondazione di Roma il 21 aprile 753 a.c., Romolo uccide Remo, che pure è il fratello, non per odio o per rancore e, certo, non con piacere visto il legame; lo fa per dovere. Distinguendo perfettamente la dimensione politica da quella personale che spiritualmente lo legava al fratello. L’esempio di Roma, anche fosse soltanto mitologia – cosa che non è -, rifletterebbe una concezione del potere di natura religiosa ma laicissimo nella pratica. La religiosità del potere sta appunto nella sua origine, ma non è la dimensione spirituale personale che ispira il momento decisionale e la dimensione politica, poiché questa deve rimanere legata alla “legge”, al diritto, ad un’idea di giustizia che non è bontà individuale ma “bontà” in ottica comunitaria. Ed in ottica comunitaria, quindi, ciò che può essere bene per il singolo può essere male per la comunità e, perciò, il caso singolo deve essere trattato in base ad un criterio che dà la precedenza al bene comunitario: questa è politica, questo è diritto, perché questa è imparzialità. Questo è il vuoto “politico” volutamente lasciato da Cristo, al quale hanno cercato di rimediare i teologi, riuscendoci, come Tommaso d’Aquino, oppure giungendo a soluzioni troppo legate alla situazione contingente. Spiritualmente, affettivamente, se fosse stato “buono”, inteso nell’accezione moderna del tutto individualistica, Romolo non si sarebbe macchiato volentieri dell’omicidio del fratello, ne avrebbe fatto a meno, avrebbe chiuso un occhio, in fondo non aveva fatto male a nessuno. E’, però, il suo dovere politico di ordinatore che gli impone di non agire secondo una dimensione personale ma considerando, invece, soltanto se quell’atto avrebbe fatto il bene della comunità. E, avendo minato l’autorità, la legge e quindi il diritto, lo uccide. Non per odio, ma per dovere. L’opposizione all’immigrazione, in pari modo, non coinvolge affatto la dimensione personale, non è una questione di odio e, in ogni caso, se per alcuni lo è, non va valutata in base a questi fattori: semplicemente la risposta non deve avere a che fare con l’assecondare o l’opporsi a questi fattori. E questa stessa conclusione, di ritorno, fornisce anche un indirizzo spiritualmente interessante per quanti si oppongono al fenomeno migratorio, da cristiani oppure no: “combattere senza odiare”, parafrasando una vecchia ma sempre attuale canzone. Dunque, tenetevi lontani dal fare dell’immigrato come persona un nemico; dal motivare il vostro no all’immigrazione con l’odio, il rancore, la paura; tenetevi lontani, insomma, per quanto il rispetto di una persona lo possa meritare, dal confondere i due piani come a sua volta fa chi vi accusa, riducendovi, in fin dei conti, ad essere spiritualmente soltanto dei miseri razzisti piuttosto che dei patrioti sinceri. Questa è spiritualità romana.
«Gesù è spazzatura», esplode il razzismo ebraico a pochi giorni dell’arrivo del papa
«Re David appartiene agli ebrei, Gesù è spazzatura»: questa, apparsa sulle mura della chiesa di Hahoma Hashlishit a Gerusalemme, è soltanto una delle tante scritte anticristiane, ad opera di “estremisti” ebrei, che in queste settimane hanno vandalizzato edifici e chiese in Israele, a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco in Terra santa.
Il sentimento fortemente anticristiano in Israele, del resto, non è un fenomeno che nasce da un giorno all’altro, anzi: gli atti di vandalismo – che a parti inverse sarebbero chiamati atti di razzismo – da parte degli estremisti ebrei contro i cristiani in Israele non hanno mai accennato a placarsi pur senza fare notizia.
E se gli accenti fortemente anti-arabi sono cosa abbastanza nota a chi non si nutre solo di telegiornali, passa invece più facilmente sotto silenzio il razzismo che colpisce i cristiani, molto più politicamente scorretto e sconveniente visto che il conservatorismo europeo e statunitense considera Israele parte di un unico “fronte” insieme all’occidente. Tutti contro l’estremismo islamico, nemico della democrazia e della civiltà.
Ma a rompere per una volta il velo d’ipocrisia è il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal, che ha denunciato proprio in questi giorni il clima pesante che si respira. Un tentativo che i media italiani hanno accolto a dir la verità freddamente, riportando lo stretto indispensabile, senza mettere troppo in evidenza la questione relativa all’estremismo ebraico.
Basti leggere il lancio dell’Ansa: «Atti anticristiani Israele, sos di Twal – Patriarca Gerusalemme, ‘Avvelenano atmosfera visita Papà». Ma chi sarebbero gli autori di questi atti vandalici? Un mistero che si disvelerà nel corpo dell’articolo? Non esattamente: «I recenti anti di vandalismo anticristiani – scrive l’Ansa – ‘avvelenano l’atmosfera di coesistenza e cooperazione, in particolare a due settimane dalla visita di papa Francesco’. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, la più alta autorità cattolica in Terra Santa. ‘Non abbiamo paura, il pontefice non ha paura e gli apparati di sicurezza dei tre paesi che si appresta a visitare funzionano. E poi – ha aggiunto Twal riferendosi alla prossima visita del papa – c’è anche la protezione divina’»[1].
Di ebrei colpevoli neanche l’ombra; cosa sia successo e per colpa di chi rimane un interrogativo. Siamo all’11 maggio.
Il giorno seguente, in un approfondimento di Massimo Lomonaco, il quadro sembra un po’ più chiaro ed in partenza si parla di razzismo ed estremisti ebrei, anche se ancora il titolo rimane vago al riguardo («Israele: stretta contro razzismo anticristiano e arabo») e nel sottotitolo si fa addirittura riferimento ai «neonazisti locali». La logica è chiara, non conta l’ideologia, è il male in sé in qualsiasi forma che rappresenta il campo avverso, quello sconfitto nella seconda guerra mondiale. E così lo stereotipo si autoalimenta.
Per evidenziarne anche i contenuti più interessanti: «Il governo, in sostanza, sembra aver imboccato la strada che il movimento dietro i ‘price tag’ – !il prezzo da pagare” – sia definito organizzazione terroristica: una mossa definita da molti ”decisiva” per contrastare il fenomeno». E ancora: «un ufficiale di polizia avrebbe chiesto alle autorità cattoliche di rimuovere un poster gigante di benvenuto a papa Francesco apposto su un palazzo dell’Ordine Francescano vicino alla Porta di Giaffa di Gerusalemme. La motivazione dell’ufficiale di polizia sarebbe stata il pericolo che il poster potesse infiammare le passioni e condurre a nuove proteste di ebrei contrari alla visita del papa»[2].
Ancor più ermetica la notizia data sempre dall’Ansa in un altro lancio, da Gerusalemme: «I recenti atti di vandalismo anticristiani ‘avvelenano l’atmosfera di coesistenza e cooperazione, in particolare a due settimane dalla visita di papa Francesco’. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, Fuad Twal, la più alta autorità cattolica in Terra Santa in una conferenza stampa a Haifa». Ma immediatamente, nella frase successiva, si cambia registro e si rimane disorientati: di che si parla?! «’Provo dolore – ha detto il Papa a braccio ordinando 13 nuovi preti – quando trovo gente che non va più a confessarsi perché è stata bastonata, sgridata: hanno sentito che le porte delle chiese si chiudevano in faccia, per favore – ha esortato – non fate questo, misericordia, misericordia’»[3].
Storia simile a quella illustrata poc’anzi anche per Rai News, che titola: «Israele, l’allarme del patriarca: ‘Stop a vandalismo contro cristiani’». E poi, nel sottotitolo, “spiega”: «Monsignor Fouad Twal denuncia un”atmosfera avvelenata’ a due settimane dalla visita di Papa Francesco e chiede al governo israeliano di agire contro i responsabili di atti d’odio contro i cristiani. Il ministro della Giustizia Livni: ‘Terrorismo’».
Anche qui la regola base del giornalismo, quella delle 5 W, viene bypassata: il ‘chi?’ (‘who?’) viene del tutto ignorato.
Anche nell’incipit del pezzo Rai News è molto cauta: «’Un’ondata di atti estremisti‘ che ‘avvelenano l’atmosfera di coesistenza e cooperazione’, ‘in particolare a due settimane dalla visita di Papa Francesco’. Lo denuncia il patriarca latino di Gerusalemme, Fuad Twal, la più alta autorità cattolica in Terra Santa. Nel mirino, i cosiddetti ‘price tag’ (prezzo da pagare), cioè gli atti di violenza commessi da estremisti e coloni contro arabi e cristiani».
‘Coloni’ anziché ‘ebrei’ o ‘estremisti ebrei’: suona meglio, più leggero.
E’ solo alla fine del secondo paragrafo che arriva finalmente il punto: «sospettati alcuni ebrei ultraortodossi». Ah ecco!
«Quello della Chiesa – aggiunge Rai News – è solo uno dei tanti atti contro i cristiani. È di pochi giorni fa una lettera di minacce spedita a Nazareth negli uffici del vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele». Il responsabile, che si è anche firmato, chiedeva ai cristiani di lasciare Israele.
«Spesso gli obiettivi dei radicali sono chiese, moschee, gruppi pacifici israeliani e persino basi dell’esercito israeliano. Il vandalismo è stato ampiamente condannato dalle autorità dello Stato ebraico e dall’opinione pubblica, mentre la polizia indaga sui fatti»[4].
Vandalismo, non razzismo. L’antisemitismo a parti inverse non è più “il più odioso dei crimini contro l’umanità” ma un fenomeno paragonabile al comune danneggiamento.
Anche Repubblica sceglie di non fare riferimento diretto ai responsabili nel titolo: «Veleni anticristiani sulla visita del Papa a Gerusalemme». Dopo un po’ è finalmente spiegato il punto: «Polizia e Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, temono che il movimento radicale ebraico che è in parte sotterraneo, potranno beneficiare del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa dal 24 al 26 maggio per intensificare la loro campagna di intimidazioni».
«Lunedì a Gerusalemme – segnala Repubblica – è stata imbrattato il muro davanti l’ufficio dell’Assemblea degli Ordinari cattolici, edificio del Vaticano che sorge proprio di fronte alla Città Vecchia. Con lo spray è stato scritto ‘Morte agli arabi e ai cristiani’».
A chiarire il contesto e far capire che non si tratta di episodi e realtà isolate è lo scrittore israeliano Amos Oz, che racconta «dell’appoggio di certi nazionalisti, deputati razzisti e di certi rabbini che forniscono loro giustificazioni pseudo- religiose»[5].
Del resto, su circa otto milioni di israeliani, gli ultraortodossi (haredim) si aggirano tra i quattrocentomila e gli ottocentomila abitanti, con un tasso di crescita del 6% annuo, a dispetto dell’1,5% del tasso complessivo.
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Il papa, Odifreddi e le larghe intese di una fede profana
“Negli ultimi duemila anni, i legami tra la Chiesa cattolica e gli ebrei non erano mai stati così buoni”. A parlare, in occasione di un incontro in Vaticano nel settembre scorso, è Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress. Durante l’incontro pare che papa Francesco si sia speso molto anche per la risoluzione dell’annoso problema relativo alla macellazione “koscher” (rituale ebraica) degli animali, spesso vietata in Europa.
“Il papa che conduce il dibattito a questo livello – afferma invece Menachem Rosensaft, professore ebreo americano – significa che ci avviamo, com’è auspicabile, verso un’integrazione della memoria dell’Olocausto non solo nel quadro teologico ebraico, ma anche tra gli insegnamenti cattolici. Forse, allora potremo andare avanti insieme”. Rosensaft ha avuto in questi giorni uno scambio “epistolare” con papa Francesco che ha fatto il giro del mondo.
Le parole di Rosensaft seguono alle parole di risposta del papa a lui indirizzate, in seguito ad una riflessione inviata al Vaticano sulla “possibilità della presenza di Dio durante la Shoa”, come scrive il Washington Post.
La questione teologica per eccellenza (l’esistenza di Dio nonostante il male) qui acquisisce un senso nuovo e finisce per rappresentare non un’ingiustizia all’interno della storia, ma l’ingiustizia per eccellenza in una storia che è, dunque, storia sacra.
Un concetto che viene da sé, dal momento che il quesito generico necessita in questo caso di essere superato da uno più specifico, in relazione al comportamento ed all’eventuale assenza di Dio in quel preciso momento storico [rispetto ad un’assenza che sarebbe poi inesistenza, visto che Dio è eterno, perciò è oppure non è – ciò che un papa ed una fede dovrebbero considerare come un dato ‘a priori’].
“In ambito ebraico – scrive ancora il WP -, la risposta alle questioni teologiche sollevate dalla Shoah ha spaziato da un rifiuto dell’esistenza di Dio nell’insegnamento di alcuni ambienti ultra- ortodossi che vedono l’Olocausto come una punizione divina”, fino ad altre per cui l’orrore, che questi ultra-ortodossi attribuiscono in qualche modo ad un Dio vendicativo veterotestamentario, è invece da attribuire ad un Male personificato nella storia di cui gli ebrei sono gli agnelli sacrificali.
In entrambi i casi, si tratta di storia sacra.
“La memoria della Shoa” è il “fondamento stesso della costruzione dell’identità europea”, ha invece commentato, a ridosso delle frasi del matematico di sinistra Piergiorgio Odifreddi sulle camere a gas, il giornalista e critico televisivo Aldo Grasso.
“Non entro nello specifico delle camere a gas – aveva detto Odifreddi in merito alle frasi di Priebke al riguardo – perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra, e non avendo mai fatto ricerche, e non essendo uno storico, non posso fare altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato”.
Nel frattempo, pochi giorni fa, con un colpo di mano, si è tentato di approvare in tutta fretta una legge per punire anche in Italia quello che viene definito ‘negazionismo’ – ovvero quel filone della ricerca storica che mira ad approfondire i dettagli ‘rivelati’ della persecuzione degli ebrei in Germania – e con esso i suoi sostenitori.
I grillini hanno stoppato la corsa della legge – che grazie alle larghe intese non avrebbe dovuto passare dal Parlamento – e tutti gli hanno urlato contro. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in sinagoga pochi giorni fa, era infatti tra i maggiori tifosi dell’iniziativa.
In un paese dove si discute su tutto, abbiamo individuato ciò che sta al di sopra degli schieramenti, ciò che non è ‘divisivo’ e che cementa le larghe intese.
E, per ‘naturale’ conseguenza, abbiamo un pezzo di storia che si fa legge. Ed una legge che non si limita a punire un reato ma, sul modello delle società arcaiche, in cui la norma rappresenta anche la volontà divina e violarla vuol dire commettere un’azione sacrilega, intende dividere tra buoni e cattivi, tra chi ha diritto ad un funerale e chi no, chi è uomo e chi un ‘non-uomo’, così come ha titolato ‘Il Fatto Quotidiano’ sul caso Priebke.
Ed, anzi, è proprio per questo che nasce, per togliere diritti ai ‘cattivi’. Il reato stesso viene creato su misura del cattivo. Esiste concettualmente prima il cattivo e poi il reato, ciò che è essenziale cogliere e che contravviene a qualsiasi concetto ‘moderno’ e ‘laico’ di diritto.
Nel frattempo, come visto, abbiamo chi sostiene il fondamento della stessa Europa, non solo sulle ‘radici giudaiche’, storicamente opinabili, ma addirittura la costruzione della sua identità attorno a questo pezzo di storia. Un altro concetto storicamente opinabile, del resto, dal momento che l’Europa si afferma come idea già in seguito alla prima guerra mondiale.
Ma ciò che conta è la percezione stessa che la persecuzione ebraica abbia avuto un ruolo. Perché vuol dire che, di fatto, ha finito per averlo seriamente un ruolo, oggi.
E non c’è da stupirsi che sia sorta questa ‘mitologia’ se, comprensibilmente, l’ebraismo conferisce una struttura teologica a questo pezzo di storia mentre il papa della Chiesa cattolica, meno comprensibilmente – e non certo per primo (non è stato lui a tirar fuori la storia dei ‘fratelli maggiori’ ed il Concilio Vaticano II è un fatto storico) -, contribuisce a teologizzare un evento in cui quello degli ebrei, sacralizzandosi, sembra porsi sullo stesso piano del sacrificio cristico.
Ecco perché la politica fatica a cogliere lo scempio di introdurre un reato di opinione che imponga la storia a suon di galera. Si tratta di una politica che legifera sull’onda di entusiasmi momentanei e dogmi simil-religiosi. Come dimostra il momento scelto per far approvare la legge, con il caso Priebke al centro del dibattito e la ricorrenza del rastrellamento degli ebrei romani che richiedeva di far approvare il provvedimento proprio in quella data.
Ed ecco, probabilmente, perché un matematico come Odifreddi, laico per eccellenza, uno che scalpita istintivamente quando ha a che fare con il sacro e con i dogmi religiosi, avverte questa contraddizione al contrario di molti altri. Perché è questo che la persecuzione ebraica ha finito per rappresentare in Occidente: una storia, una legge, una fede, che non hanno nulla a che fare con la scienza, il diritto e la laicità.
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