Cina e Russia: no alla guerra in Corea del Nord, gli Usa fermino le attività militari nell’area

Per capire il braccio di ferro internazionale dovuto alla crisi tra Corea del Nord e Stati Uniti, è più utile osservare la cartina geografica e comprendere quali sono le forze in campo, piuttosto che pensare a questioni di politica estera o – tanto meno – ai “diritti umani” che sarebbero violati in Corea del Nord. Corea del Sud e Giappone, alleati di ferro degli Stati Uniti nella regione sud-est asiatica, fronteggiano infatti da sole il blocco continentale dominato da Russia e Cina, con la Corea del Nord a fare da scomodo ed imprevedibile Stato “cuscinetto”, non proprio neutrale ma abbastanza potente ed indipendente da non poter essere considerata uno Stato satellite dei Paesi che pure contribuiscono ad armarla.

Ecco perché, dopo il missile a medio raggio (capace di trasportare una testata nucleare) di Pyongyang che ha sorvolato il Giappone, Cina e Russia – a differenza di quanto hanno ovviamene fatto i governi di Corea del Sud e Giappone -, non solo hanno invitato tutti alla moderazione, ma hanno anche ribadito il loro no ad una soluzione militare. Soluzione militare che, invece, fin dall’inizio della crisi, con una marcia indietro rispetto agli slogan della sua campagna elettorale, il presidente Usa Donald Trump non ha mai escluso e che ora potrebbe essere più vicina (probabilmente non solo a causa del missile nei cieli giapponesi, visto il recente addio del consigliere Bannon alla Casa Bianca, che in molti hanno motivato anche con una divergenza sulla questione nordcoreana), nonostante sembri invece al momento ancora escluso l’embargo sul petrolio nordcoreano.

È chiaro a tutti che l’opzione delle sanzioni alla Corea del Nord si è ormai esaurita. Maggiori sanzioni non risolveranno il problema. Ora l’Onu deve passare ad una risoluzione che dica chiaramente no a soluzione militare e no a sanzioni unilaterali al di fuori di quelle approvate dal Consiglio di Sicurezza”, ha in effetti dichiarato il vice ministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov. Anche esponenti del governo e della diplomazia cinese hanno rilasciato dichiarazioni analoghe. Corea del Nord e Russia, infatti, continuano a porre il congelamento delle “attività militari nella regione” da parte degli Stati Uniti, come la conditio sine qua non di ogni negoziato sul programma missilistico e nucleare” nordcoreano, come ha spiegato anche Leonid Slutzki, capo della commissione Esteri della Duma. In ballo, quindi, ci sono certamente le sanzioni economiche alla Corea del Nord ed il loro eventuale inasprimento ma la questione è, innanzitutto e con ogni evidenza, un affare geopolitico, che del resto si protrae dal secondo dopo-guerra (con i noti risvolti bellici) e nel quale le aree calde a livello mondiale sono più d’una (si pensi ai paesi ex Urss).

In Corea del Sud – spiega “Repubblica” – gli Usa hanno 28.500 soldati, 140 carri armati M1A1, 170 Bradley, 100 aerei F16 e A10, Patriot PAV 2 e il sistema di difesa d’area terminale ad alta quota THAAD (Terminal High Altitude Area Defense), progettato per intercettare missili a corto raggio, medio e intermedio”. “In Giappone – prosegue – gli Usa schierano 54mila militari, 14 navi da guerra, 100 aerei F15, F16 e MV-22 Osprey e una portaerei a propulsione nucleare, la USS Ronald Reagan, con un equipaggio di 5mila uomini e circa 80 velivoli, dotata delle ultime tecnologie”. Infine, nell’isola americana di Guam, situata proprio nell’Oceano Pacifico, sono presenti 4mila soldati statunitensi, 4 sottomarini, 6 bombardieri B52, più due B-1B supersonici”. E, proprio il 21 agosto scorso, “Repubblica” annunciava: “Seul e Washington compatti in uno dei più imponenti scudi antimissile mai schierati”. 50mila soldati sudcoreani, quasi 20mila americani e rappresentanti di Australia, Canada, Regno Unito, Nuova Zelanda, Olanda, Danimarca e Colombia davano intanto vita alla “più grande simulazione bellica computerizzata al mondo”. All’indomani del missile nordcoreano sul Giappone, invece, otto bombe MK-84 sono state sganciate dall’aeronautica della Corea del Sud nella provincia orientale di Gangwon, a pochi chilometri dal confine (e che prima del 1945 formava una unica unità amministrativa con la provincia nordcoreana di Kangwon), come prova di forza rispetto al regime di Kim Jong-un. Regime che ha ormai certamente la possibilità di colpire il suolo degli Usa quanto meno con missili intercontinentali privi di testate atomiche, ma anche il Giappone o, appunto, l’isola di Guam, proprio con armi nucleari. Ben venti (secondo alcuni addirittura 50) sarebbero quelle a disposizione del regime comunista, oltre a 5mila tonnellate di armi chimiche, 1000 missili balistici, 1300 aerei, 430 navi da guerra, 4300 carri armati, 70 sottomarini e – a dispetto di una popolazione formata da meno di 30milioni di abitanti – un esercito formato da un milione e 200mila soldati (si pensi che la Cina, abitata da oltre un miliardo e 300mila persone ha un esercito formato da un milione e 600mila soldati, 880 navi e 2720 aerei, una sproporzione che rimarrebbe impressionante se anche fosse vero che l’esercito nordcoreano contasse “solo” 900mila soldati).

Resta da capire, insomma, chi deciderà che questi equilibri non gli vanno più bene e che non c’è altra soluzione che farli saltare e combattere.

Emmanuel Raffaele

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