Il si all’indipendenza, con il 90% delle preferenze su poco più di 2 milioni di votanti, avrà anche “stravinto”, come titolava “Repubblica” il giorno dopo la consultazione dello scorso 1 ottobre; ma è pur vero che, su oltre 5 milioni di aventi diritto, a votare è stato soltanto il 38% di loro. Colpa delle centinaia di seggi chiusi dalla Guardia Civil spagnola? Si può provare a sostenerlo, ma è difficile pensare che la repressione – dura e politicamente sciocca quanto si vuole – abbia influito in maniera così decisiva. Senza considerare il fatto che, peraltro, il referendum era comunque stato dichiarato illegale dalla Corte costituzionale spagnola.
Eppure, ieri, a poche ore dal discorso di re Filippo VI per l’unità della Spagna, il presidente della “Generalitat de Catalunya”, Carles Puigdemont, ha dichiarato alla Bbc: “Lunedì proclameremo l’indipendenza e la Repubblica catalana”. Una mossa unilaterale e ancor meno legittimata democraticamente che rischia di provocare una vera e propria guerra civile, tanto più che, da qualche ora, si è diffusa la notizia che Madrid ha deciso di inviare, per “supporto logistico”, due convogli militari in Catalogna. Una “invasione”, secondo gli indipendentisti che, peraltro, nel 2015 hanno si ottenuto una grossa vittoria alle elezioni regionali, ma non sono comunque riusciti a superare il 48% del Parlamento locale, rimanendo maggioranza relativa ma non assoluta. Ma è chiaro che il referendum e le violenze della polizia hanno acceso gli animi e chi è reticente rispetto all’indipendenza non ha più diritto di parola in Catalogna, dove gli unionisti lamentano: “Ci hanno zittiti, ma siamo tantissimi”. Basti pensare all’insubordinazione dei Mossos, la polizia catalana che non ha obbedito agli ordini e il cui capo, Josep Lluis Trapero, è ora indagato per sedizione. Ben prima della repressione dell’1 ottobre, infatti, migliaia di manifestanti pro-indipendenza avevano assediato per ore gli agenti della Guardia Civil impegnati, lo scorso 20 settembre, durante una perquisizione nella sede dell’assessorato all’Economia che aveva portato all’arresto di 14 funzionari. E la situazione, ora, sarebbe ancora peggiore: una vera e propria persecuzione contro le forze dell’ordine spagnole. Secondo le accuse, del resto, proprio l’insubordinazione dei Mossos avrebbe impedito l’evacuazione dell’edificio, mettendo di fatto in pericolo i colleghi. Sedizione, eccome, dunque, come ha ricordato il sovrano lamentando una “slealtà inaccettabile” da parte delle autorità e forze dell’ordine catalane.

“Assediati nelle caserme e insultati per strada. La Catalogna a caccia dei poliziotti spagnoli”. Mentre gli agenti dei Mossos sono ormai diventati i paladini di quegli studenti che vogliono l’indipendenza e poi scrivono sui muri: “Tourist go home, refugee welcome”. Vogliono l’indipendenza perché la Spagna gli ruba la ricchezza, dicono. Ma si scagliano contro la loro principale fonte di ricchezza. Vogliono una frontiera tra Spagna e Catalogna ma poi si proclamano no-borders e chiedono più immigrati. I giornali di tutta Europa, del resto, proprio come stanno facendo ora con la battaglia indipendentista, esaltarono la manifestazione pro-accoglienza di Barcellona, prima che immigrati islamici facessero strage proprio nella capitale catalana. In quella occasione, a Barcellona – la cui “sindaca” è appunto sia indipendentista che pro-accoglienza (bipolarismo politico) – il nemico divenne chi chiedeva più sicurezza e meno immigrazione irregolare.
Perché l’anacronistica lotta per l’indipendenza catalana è stata del tutto politicizzata, si è fatta strada con il governo popolare degli ultimi cinque anni e, non a caso, si è trasformata in una sorta di lotta contro l’immaginaria dittatura di un immaginario regime fascista imposto dal governo centrale. La politicizzazione operata dalla sinistra di questa battaglia è evidente. “I cori vanno avanti senza pause”, racconta “La Stampa”: “«Fascisti», «assassini», «andate in Spagna», pure con qualche variante: «Questo palazzo diventerà una biblioteca»”. “Gli elenchi degli alloggi dove erano ospitate «le forze d’occupazione» giravano sui social. Gli abitanti di Calella (nella zona del Maresme) ne hanno mandati via 500, rimasti senza una stanza quando tornavano dalle operazioni di domenica. Stessa sorte toccata agli agenti che dormivano nel Comune di Pineda del Mar, dove i proprietari degli hotel hanno raccontato di forti pressioni per mandare via gli ospiti indesiderati”, prosegue il quotidiano. Le autorità politiche catalane, per ragioni del tutto elettorali, hanno irresponsabilmente giocato con un fuoco che ora rischia di incendiare la Spagna. E stanno legittimando la rivolta e la violenza. A dar fastidio è la bandiera spagnola, simbolo di per sé di nazionalismo e, quindi, di fascismo nella testa degli indipendentisti. Senza considerare che la Spagna, insieme all’indissolubilità del Paese, nella sua Costituzione garantisce “i diritti di auto-governo delle nazionalità e delle regioni di cui è composta”. Una autonomia ampia e che poteva ampliarsi ancora se l’interesse politico non si fosse messo di mezzo, mettendo a rischio questo processo pacifico, dal momento che – in caso di proclamazione unilaterale – allora si che l’autonomia potrebbe essere sospesa dal governo in nome dell’art. 155 dell Costituzione spagnola.
Ora, non sta a noi giudicare la legittimità delle pretese indipendentiste della Catalogna, né quantificare fin dove è giusto spingersi nella lotta: onore a chi si batte sinceramente per qualcosa in cui crede. Ma, quanto meno, non si possono pretendere applausi di legittimazione, perché la sovranità, se non la si può ottenere pacificamente, si può conquistare solo con la guerra, che è proprio il momento in cui il diritto salta. E non sta a noi decidere al riguardo. Ma c’è da chiedersi se la Catalogna sia esattamente una regione soggetta a repressione e addirittura invasa. Dal momento che vantano di contribuire più di tutti (e pare non sia proprio vero) alle entrate dello Stato e di essere tra le regioni più ricche, qualche dubbio si pone. Difficile immaginare Barcellona come una qualsiasi città oppressa da un regime straniero. Qualche giorno prima del referendum, del resto, “El Pais” – in un articolo riassunto ottimamente da “Il Post” – si è preoccupato di sfatare alcuni falsi miti degli indipendentisti. Tra i dieci punti in elenco, uno di questi contestava la presunta ostilità della Costituzione post-franchista del ’78: “La Catalogna fu, insieme all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia la Costituzione, alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Secondo il País, inoltre, il testo votato non si può considerare in nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato profondamente decentralizzato“. Vennero redistribuite le competenze e la lingua catalana – vietata sotto Franco venne recuperata e, infatti, è oggi più che tutelata: dai segnali stradali fino ai menù dei ristoranti, la lingua catalana è presente ovunque. Quello attuato ad un anno dall’adozione della nuova Costituzione fu, secondo El Pais, “un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna”.
Gli indipendentisti dicono di voler far parte dell’Unione Europea ma sanno benissimo che separandosi dalla Spagna sarebbero fuori dall’Europa e dovrebbero far domanda di adesione, senza garanzia di essere accettati, né alcuna garanzia sui tempi. Senza contare che il Pil catalano potrebbe nel frattempo ridursi enormemente (la Catalogna non è la Gran Bretagna). Interessante poi il riferimento al diritto all’autodeterminazione garantito dal diritto internazionale: “È vero che il diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli, ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello stato, sulle esigenze di autodeterminazione”. Serve aggiungere altro?
Emmanuel Raffaele
3 risposte a "Puigdemont: “verso l’indipendenza unilaterale”. E Madrid invia l’esercito. Ecco perché gli indipendentisti catalani giocano col fuoco"