Sulla sua pagina ufficiale, Davide Di Stefano, responsabile romano di CasaPound Italia, parla senza mezzi termini di “processo politico“. Sono in nove, infatti, i militanti (alcuni “illustri”) del movimenti condannati ieri in primo grado dalla Quinta Sezione penale del Tribunale di Roma per la protesta contro l’apertura di un centro di accoglienza nel quartiere di Casale San Nicola, avvenuta il 17 luglio del 2015.
Tre anni e sette mesi (due anni e sette mesi in un caso in cui sono state riconosciute le attenuanti generiche) la condanna inflitta in seguito all’accusa di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e lesioni. Se i centri sociali dell’estrema sinistra subissero un trattamento simile ogni volta che protestano e attaccano deliberatamente le forze dell’ordine, probabilmente sarebbero tutti dentro e i centri sociali vuoti. Niente sconti per CasaPound, anzi, il pm di Magistratura Democratica Eugenio Albamonte aveva addirittura chiesto condanne tra i sei e i sette anni. Quel giorno, infatti, nel corso del sit-in pacifico organizzato insieme ai residenti, dopo mesi di presidio, all’arrivo dell’autobus destinato al trasferimento dei migranti, i militanti di CasaPound furono tra quelli che non si lasciarono trascinare via e tentarono di opporsi fisicamente al passaggio del mezzo. Ne scaturì una carica da parte della polizia e, in seguito, gli arresti.
“La realtà non esiste più, come non esiste più il diritto“, ha commentato Di Stefano. “Andatevi a riguardare i video”, suggerisce, “Donne e anziani in lacrime furono strattonati dalle forze dell’ordine inviate dall’allora prefetto Gabrielli (quello che oggi giudica più grave una dimostrazione sotto un giornale che una bomba davanti una caserma). Nella carica di alleggerimento che seguì per permettere agli immigrati di raggiungere il centro di accoglienza, un paio di poliziotti hanno riscontrato ‘lesioni’ guaribili in tre giorni” (14 agenti secondo RaiNews).
In attesa della sentenza, anche il vicepresidente Andrea Antonini aveva sottolineato la forte politicizzazione del pm e il fatto che sia stata frettolosamente archiviata “la denuncia dei residenti per lesioni e maltrattamenti dalla polizia”, così come sarebbero state ignorate “le testimonianze dei residenti, che raccontavano la nostra permanenza al presidio per oltre tre mesi”. “La tesi iniziale”, osserva, “in spregio a filmati e testimonianze, è rimasta tale”.
“Ingiustizia è fatta“, è il commento ufficiale del presidente Gianluca Iannone, che arriva con una nota di Cpi. “Con le condanne abnormi inflitte per i fatti di Casale San Nicola”, aggiunge, “si mette nero su bianco che difendere i diritti degli italiani agli occhi dello Stato è un crimine che crea più allarme sociale di un attentato terroristico”. “Pene che non hanno precedenti in Italia per questo genere di reati”, evidenzia Iannone, che peraltro ricorda come lo stesso allora prefetto Gabrielli, “con un clamoroso dietrofront, decise di chiudere la struttura per gli stessi motivi che i residenti avevano cercato invano di spiegargli, guadagnandosi solo accuse di razzismo, repressione e qualche manganellata”. La struttura non era adatta, la protesta dopo tutto era più che giustificata e CasaPound non era lì, infiltrata tra i residenti per l’occasione, ma era sul posto da tempo e quelle manganellate i militanti se le presero anche per non farle prendere ai residenti. “La resistenza opposta è stata passiva fino all’ultimo, quando la carica si è trasformata in scaramuccia con le prime file, ma mai c’è stata un’aggressione ai danni delle forze dell’ordine”, ricorda il capo delle tartarughe frecciate.
Ecco i video di quel giorno per farsi un’idea dell’accaduto: