Con il voto di oggi sulla piattaforma online “Rousseau”, hanno espresso la propria preferenza sul governo M5S-PD ben 79.634 iscritti al Movimento 5 Stelle, approvando così, con una maggioranza schiacciante, la trattativa e l’accordo trovato con il Partito Democratico dalla delegazione guidata dal capo politico ed ex vice-premier Luigi Di Maio. L’ennesima (per alcuni sospetta) conferma delle decisioni dei leader di partito, sostenuta addirittura dal 79,3% dei votanti (63.146 iscritti) contro un 20,7% di contrari (16.488 iscritti) su 117.194 aventi diritto. Un record, spiegano sul blog del Movimento, considerato che il precedente era del maggio 2019 con 56.127 voti espressi. Resta ora da vedere se ci saranno spaccature significative in Parlamento, anche se non appare molto probabile.
Dunque, messo da parte l’impegno del premier incaricato a non partecipare ad altri governi, il Conte-bis partirà.
Anche a costo di rinunciare al Vicepremier e probabilmente al Ministero dell’Interno; anche a costo di non avere nessuna garanzia precisa da parte del Pd sui punti considerati imprescindibili da Di Maio; nonostante il tradimento di Grillo che ha pubblicamente attaccato lo stesso capo politico del Movimento accusandolo di sabotaggio e “brama di potere”,; nonostante un premier che poco a poco prende le distanze dal M5S per farsi una carriera per conto suo.
Appoggiato dai leader di mezzo mondo, il suo potere contrattuale è cresciuto a dismisura ed ora è il Movimento a inseguire.
Un europeismo folgorante e la schiena un po’ più piegata hanno reso possibile questo accordo, dal quale il Movimento esce un po’ più casta e il Pd travestito da cambiamento. Con un Grillo che, a costo di fare l’accordo, ha bacchettato chi portava avanti le ragioni Movimento e leccato il culo a Zingaretti. Ci ha messo un po’ a diventare pompiere, ma alla fine lo ha fatto con un confuso video in cui, come tutti quelli registrati ultimamente, chiacchiera senza dire niente e non spiega perché governare col Pd dovrebbe improvvisamente rappresentare questo cambiamento meraviglioso che ci vuole propinare.
Detto questo, le polemiche circa il voto su Rousseau lasciano il tempo che trovano. L’indipendenza dei parlamentari voluta dalla Costituzione, in un sistema in cui tutto si decide nelle direzioni di partito, è una barzelletta a cui non ha mai creduto nessuno. Perlomeno il Movimento ha lasciato decidere agli iscritti la linea di partito, ad una assemblea virtuale e non a pochi “eletti”. Il che non sembra così anti-democratico e assurdo. Ma l’umore alterno degli opinionisti, quando si tratta del Movimento, è sempre stato caratteristico: la disciplina di partito dovrebbe valere per tutti tranne che per loro. Il voto non si è messo in mezzo alla prassi istituzionale più di quanto non lo avrebbe potuto fare una riunione del direttivo del Pd, per esempio. Allo stesso modo avrebbe deciso se i parlamentari avrebbero dovuto sostenere o no il governo e nessuno si sarebbe scandalizzato. Come nessuno si è scandalizzato quando ci si è persi nel contare i parlamentari “controllati” da Renzi e quelli di Zingaretti.
Resta da dire che il voto è stato un po’ al buio, con l’accordo che non è un accordo, reso pubblico oggi stesso sulla piattaforma, dopo trattative che hanno lasciato filtrare davvero poco sui contenuti concreti e sul superamento dei punti più spinosi. Un testo in 25 punti brevi e generici che ci assicurano una sola cosa: come avevamo preannunciato, i nodi verranno al pettine e il M5S non potrà più nascondersi dietro un dito.
Emmanuel Raffaele Maraziti