Attento alla tematica (molto sentita in Francia) della laicità, circa un mese fa, lo scrittore transalpino Henri Peña-Ruiz, nel corso di una conferenza organizzata dal partito di sinistra radicale “La France insoumise“, ha scatenato le polemiche dei radical chic affermando: “abbiamo il diritto di essere islamofobi“.
La frase, subito rimbalzata sui social network, debitamente depurata del contesto e del resto della frase (“Abbiamo il diritto di essere ateofobi, così come abbiamo il diritto di essere islamofobi. D’altra parte, non abbiamo il diritto di rifiutare uomini o donne perché sono musulmani“), ha catturato l’attenzione persino del segretario di Stato Julien Denormandie, che su Twitter si era subito prodigato a richiamare il filosofo all’ordine. Da ogni parte, infatti, gli sono piovute addosso accuse isteriche di razzismo, costringendo l’autore ad innumerevoli interviste per spiegare la sua posizione.
La laicità, ha spiegato a “Le Figarò“, “antepone l’interesse generale al privilegio concesso all’interesse particolare”, ecco perché “esiste il diritto di essere ateofobo come il diritto di essere islamofobo e cattolicofobo, ma non si ha invece il diritto di rifiutare uomini o donne in quanto musulmani, cattolici o atei”. “Il razzismo”, ha proseguito, “è la messa in discussione di un popolo o di un essere umano come tale. Il razzismo antimusulmano è un delitto. Ma la critica dell’islam, del cattolicesimo e dell’umanesimo ateo non lo sono affatto”. Si tratta della linea che separa la “libertà fondamentale di criticare le religioni” e il razzismo, appunto.
Una distinzione essenziale a cui il saggista d’Oltralpe aggiunge alcune riflessioni interessanti: “Credo che molte persone abbiano un approccio compassionevole all’Islam. Queste persone ritengono che i cittadini di fede musulmana […] siano già vittime di varie discriminazioni […] e per questo non dovremmo “infierire” criticandone anche la religione […]. Una difficoltà simile esiste per quanto riguarda l’ebraismo: le critiche alla religione ebraica o alla politica di Israele sono talvolta erroneamente confuse con l’antisemitismo“. Con il risultato che Israele prosegue impunemente con le sue politiche discriminatorie e colonizzatrici nei confronti dei palestinesi, aggiungiamo noi.
“Alcuni vecchi marxisti”, prosegue, “vogliono vedere nei musulmani di oggi una forma di nuovo proletariato, verso il quale bisogna avere una compassione particolare. Ma, poiché i musulmani sarebbero vittima di razzismo o alienazione, non si può per questo giustificare un’altra forma di alienazione che è quella delle donne nell’islam allorché sono obbligate a dissimulare i loro corpi”.
“COSI’ GLI ISLAMISTI NE APPROFITTANO PER IMPEDIRE LA CRITICA ALL’ISLAM
Ecco perché, a ridosso delle polemiche, il sociologo e giornalista cadandese Mathieu Bock-Côté, sempre sul quotidiano francese, ha azzardato un pezzo dal titolo: “Islamofobia, un concetto da congedare”. Schierandosi decisamente dalla parte di Peña-Ruiz, Bock-Côté ha riaffermato il diritto di critica a tutte le religioni (“così come si può fare con una ideologia), punzecchiato le “anime belle” subito pronte a scandalizzarsi (meno pronte a ragionare) e ha soprattutto fatto notare come il concetto di islamofobia sia cavalcato per “santificare l’Islam e assimilare la sua critica alla blasfemia” (che, d’altra parte, per Peña-Ruiz è un delitto che non trova posto in uno Stato laico).
“Non sorprende che gli islamisti promuovano il concetto di islamofobia: gli permette di assimilare le parole dei suoi avversari ai discorsi d’odio che bisogna combattere in nome del vivere insieme. Si sa: l’islamismo ha trovato modo di formulare le sue rivendicazioni nel linguaggio della diversità. Questo gli ha permesso di avanzare nello spazio pubblico neutralizzando psicologicamente i suoi avversari”. “L’islamismo è arrivato a convincere una parte importante delle nostre elite che tradirebbe la democrazia se non ci si sottomettesse alle sue esigenze”. Si tratta, secondo il giornalista, di “intimidazione ideologica“, alla quale le elite hanno risposto esattamente “andando contro il proprio popolo e accusandolo di razzismo solo perché, semplicemente, non vuole diventare straniero a casa sua”.
Tesi molto simili, del resto, a quelle di Céline Pina, autrice del libro “Silence coupable”, che punta il dito proprio contro la elite politica francese, ricevendo le medesime accuse e i medesimi attacchi.
CONTRO VIOLENZA E RAZZISMO, MA PER LA LIBERTA’ DI ESSERE POLITICAMENTE SCORRETTI
Ai tempi del berlusconismo, Travaglio scandalizzò le anime belle con un suo editoriale dal titolo: “Diritto all’odio“. La sua, condivisibile o meno nello specifico, era una rivendicazione del diritto di parola e ad una contrapposizione politica accesa, liberi dal ricatto morale che equipara la critica feroce ad un delitto morale.
Riletta nei giorni delle campagne di censura di Facebook contro chi osa opporsi alla politica dei “porti aperti”, ma anche dell’Europarlamento che censura il comunismo, la questione islamofobia riapertasi in Francia, appare essere solo l’ennesimo sintomo di un problema più grande che dovremmo prima o poi affrontare, strutturalmente.
Non si tratta di ripensare il diritto di parola, al contrario, si tratta di riaffermarlo, consapevoli che la cultura dominante (qualunque sia) e/o il potere hanno la tendenza a zittire gli avversari. Si tratta della necessità di una rivendicazione più generale che unisca chi, a destra e sinistra, crede nella libertà di pensiero e, soprattutto, ami il pensiero in tutte le sue forme. Perché non sia una battaglia degli uni contro gli altri o una battaglia combattuta per convenienza politica solo quando si è direttamente toccati, ma una battaglia per una società disponibile a dialogare, a discutere, a ripensarsi, a mettersi in discussione
La violenza e l’istigazione alla violenza, infatti, non sono assolutamente in discussione: sono inammissibili. La lotta politica condotta con metodi violenti – come avvenne recentemente negli anni Settanta, con un antifascismo militante che agì militarmente e sistematicamente contro giovani innocenti di destra – è da ripudiare con forza.
La violenza va si condannata (con gli strumenti della legge), il razzismo può e deve essere oggetti di condanna politica, senza però fare confusione solo per infangare gli avversari: serve onestà intellettuale e un giornalismo serio, contro la dittatura del sorriso e delle buone maniere obbligatorie perfettamente riassunta dalle parole del premier Conte in Senato.
Perché la violenza politica reale è, invece, la diretta conseguenza diretta proprio di una politica censoria che interviene prima di tutto a livello giornalistico, accademico e sociale, giustificando la violenza esercitata dal basso con la negazione del diritto di parola agli avversari decisa dall’alto. Totalitaristicamente.
Emmanuel Raffaele Maraziti