Referendum per l’autonomia lombarda: tutto quello che c’è da sapere sul voto di domenica

Questa domenica, 22 ottobre 2017, dalle ore 7 alle 23, tutti gli aventi diritti al voto con residenza nella regione Lombardia potranno partecipare al referendum consultivo sull’autonomia.

DI CHE COSA SI TRATTA?
Tutto nasce dall’articolo 116 della Costituzione che, dopo aver elencato le regioni italiane a statuto speciale, chiarisce che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119″. In altre parole, le Regioni possono chiedere allo Stato maggiori competenze e di conseguenza maggiori risorse economiche per farvi fronte. Come è evidente anche dal testo costituzionale, non sarebbe stato necessario un referendum per avviare la trattativa tra Stato e Regione e fare approvare una legge che redistribuisca le competenze non esclusive dello Stato. Il governatore lombardo, però, lamentando la scarsa attenzione da parte del governo centrale sulla questione, ha deciso di far sentire comunque la voce dei lombardi, un passaggio secondo molti inutilmente costoso (si parla di oltre 50 milioni di euro). Continua a leggere

Milano, tra gli immigrati duemila casi di scabbia. Nel 2017 spesi 4 miliardi per l’accoglienza

 

Non è una invenzione populista: il pericolo contagio di malattie infettive in Italia pressoché scomparse, connesso ai flussi migratori record soprattutto dall’Africa, è nei numeri. Numeri che l’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera ha snocciolato ieri in Consiglio regionale e che parlano chiaro: nel 2016, nei centri d’accoglienza per migranti attivi nel territorio di Milano, sono stati registrati e trattati ben duemila casi di scabbia e 38 casi di tubercolosi. Nel rapporto, che l’assessore ha illustrato in aula in risposta ad un’interrogazione di Fratelli d’Italia tramite il suo capogruppo Riccardo De Corato, viene anche sottolineato che, al momento, non si sono per fortuna avuti casi di contagio alla popolazione ma – ed è questa la posizione della Lega – buon senso vorrebbe che, per una prevenzione seria, i controlli e le eventuali cure venissero approntate al momento dello sbarco degli immigrati in Puglia, Sicilia e Calabria. Gallera ha comunque assicurato che la Regione offrirà a ciascun migrante vaccinazioni ad hoc. Il dogma dell’accoglienza, quindi, non verrà scalfito. Va tutto bene, dopo tutto.

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Azzardo, 160 Comuni dicono basta, nel silenzio dei media nazionali. Anche l’esempio di Bolzano nel dossier di Legautonomie

slot machineL’iniziativa non ha certo avuto la ribalta dei media. Ma è un fatto: ben centosessanta Comuni lombardi, ad oggi, hanno sottoscritto il “Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo”, una iniziativa di Legautonomie e dell’associazione Terra di Mezzo. Nel documento, i numeri e le conseguenze del gioco d’azzardo: «100 miliardi di fatturato, 4% del PIL nazionale, la 3° industria italiana, 8 miliardi di tasse. 12% della spesa delle famiglie italiane, 15% del mercato europeo del gioco d’azzardo, 4,4% del mercato mondiale, 400.000 slot-machine, 6.181 locali e agenzie autorizzate, 15 milioni di giocatori abituali, 3 milioni a rischio patologico, circa 800.000 i giocatori già patologici. 5-6 miliardi l’anno necessari per curare i dipendenti dal gioco patologico».

La richiesta è chiara: una legge nazionale che miri a ridurre l’offerta a l’accessibilità, leggi regionali che esplicitino i compiti in materia sanitaria delle Regioni e, soprattutto, il potere ai Comuni di poter definire orari di apertura, stabilire le distanze dai luoghi sensibili ed esprimere parere vincolante sull’istallazione dei giochi d’azzardo.

A dar ampio conto della questione, la stessa Legautonomie, che sul proprio portale ha pubblicato nel mese scorso un approfondito dossier sul fenomeno e, ovviamente, sul ruolo degli enti locali, spiegando: «Nell’arco di dieci anni il territorio urbano è stato via via occupato capillarmente da istallazioni di gioco di alea generando rilevanti problemi di pertinenza delle amministrazioni comunali, provinciali e delle Asl. Da tutto questo complesso di gestione, offerta, promozione, è stato – per legge – deliberatamente escluso il sistema dei poteri locali e regionali».

«Le Regioni – prosegue Legautonomie – non hanno alcun potere né d’indirizzo, né regolativo, né ispettivo: pur vedendosi ricadere sulle responsabilità regionali gran parte degli effetti (sociali, economici, urbanistici, finanziari). I Comuni e le Province, che pure devono adottare piani per il commercio, l’artigianato, l’industria e per i servizi, sono deliberatamente esautorati di ogni potestà amministrativa, anche laddove si trovino – come nei fatti avviene – a doversi far carico e a gestire gli “effetti collaterali” di questo complesso “insediamento”. Per limitare danni e ricadute alcuni Comuni hanno emanato provvedimenti di natura amministrativa successivamente annullati dalla giustizia amministrativa».

Una sorte a cui è sfuggita la legge esemplare in materia della Provincia autonoma di Bolzano, contro la quale aveva sollevato dubbio di legittimità costituzionale il Consiglio dei Ministri presieduto da Monti nel 2011 e che la Corte costituzionale ha invece ritenuto di tutelare riconoscendone la competenza.

Resta il fatto che solo una legge nazionale mirata potrebbe imprimere una svolta al problema, che vede lo Stato anche beffato dalla sostanziale stabilità delle entrate erariali a fronte di un volume di gioco che cresce vertiginosamente. E chissà se la risposta potrà venire dal progetto di legge per il riordino del settore, depositato lo scorso 18 giugno alla Camera dei Deputati, che pure non restituisce la meritata centralità agli enti locali ma potrebbe essere un buon punto di partenza.

Nel frattempo, le proteste sul territorio in risposta al fenomeno, che vede una spese pro capite superiore ai 1300 euro annui, si moltiplicano.

Di seguito il DOSSIER di Legautonomie, con tutti i numeri relativi al gioco d’azzardo, i provvedimenti amministrativi, le proposte di legge e molto altro: http://www.legautonomie.it/Documenti/Dossier/Gioco-d-azzardo-ed-enti-locali.-Dossier-di-Legautonomie

Solferino: CasaPound contro privatizzazione Cri, scoppia un rogo e la stampa gongola: «assalto»

solferino casapound croce rossaAnsa: «Assemblea Croce Rossa, “assalto” da militanti Casapound». Corriere: «Blitz di Casdapound contro la Croce Rossa. Il lancio di un fumogeno ferma l’assemblea». Gazzetta di Mantova: «Assalto [solo in seguito mutato in un più mite «Protesta», ndr] di CasaPound all’assemblea della Croce Rossa». Libero: «Croce Rossa: Rocca, inaccettabile protesta Casapound». Repubblica: «CasaPound, blitz contro la Croce Rossa: sospesa l’assemblea a causa di un rogo».

Così è come si è dato conto dell’episodio. Ora veniamo ai fatti accaduti.

Nel pomeriggio a Solferino, in provincia di Mantova, era prevista una riunione della Croce Rossa Italiana. CasaPound Lombardia, in linea con alcune iniziative nazionali del movimento, era lì per protestare contro la privatizzazione di quella che è considerata un’eccellenza italiana, per di più con 4000 lavoratori a rischio. E così, si è presentata davanti il cancello del tendone dove era prevista l’assemblea, con torce colorate ed uno striscione: «Rocca: Stato sociale? 4000 famiglie a casa non possono stare».

Come testimonia la foto pubblicata dal Giornale di Brescia, la manifestazione, con qualche decina di militanti, tanti tricolori e molte bandiere rosse con la tartaruga frecciata, ha avuto luogo regolarmente e pacificamente. Poi l’imprevisto.

«Il cordone di sicurezza, per impedirci di entrare, ci ha deviati verso le sterpaglie e qualche scintilla è caduta sul terreno dando vita a un incendio», spiega Marco Arioli, responsabile regionale di CasaPound Italia Lombardia, che dunque non si nasconde davanti all’accaduto.

«Il forte vento e le alte temperature – aggiunge la Gazzetta di Mantova – hanno contribuito ad estendere le fiamme che si sono fermate a tre metri dal tendone. Una colonna di fumo ha invaso la tensostruttura tanto che le 500 persone sono state fatte evacuare. I volontari della Cri si sono messi a spegnere l’incendio con mezzi di fortuna, in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco. L’incendio è stato domato in poco tempo e l’assemblea ha potuto riprendere regolarmente».

Da qui il caos mediatico e la strumentalizzazione perfino di un evento imprevisto, imprevedibile ed ovviamente indesiderato da parte di CasaPound Lombardia.

Si va dall’utilizzo improprio, oltre che infondato e diffamatorio, del termine «assalto» (nel titolo dell’Ansa e della Gazzetta di Modena) per definire una protesta pacifica, fino alla vera e propria inversione della realtà: il blitz sarebbe stato «contro» la Croce Rossa. Neanche contro la sua privatizzazione, ma proprio contro la Cri.

Ma guardali un po’ sti maledetti “estremisti di destra”, ora si mettono davvero a sparare sulla Croce Rossa!

Peccato che l’azione, in realtà, sia stata tentata esattamente in difesa della Cri. “Per”, altro che “contro“. Una semplice parola, utile però a presentare in maniera differente i fatti considerata la stima di cui gode l’ente in questione.

Vi sono poi le solite invenzioni, come il “lancio di un fumogeno” in stile guerriglia urbana che, secondo Claudio Del Frate sul Corriere online, avrebbe provocato l’incendio.

Ora, posto che non ha nessun senso lanciare una torcia colorata, così come è stato spiegato dall’Ansa e dalle altre testate, oltre che dalla stessa CasaPound, che ha prontamente diffuso un comunicato, non c’è stato nessun lancio, ma semplicemente – come detto – si è trattato di qualche scintilla che ha provocato un guaio serio.

Quanto alle motivazioni della protesta, l’Ansa così come Repubblica, Libero, la Gazzetta di Mantova (che poi però pubblica il comunicato di CasaPound) ed il Giornale di Brescia, non ne danno conto. Non sono evidentemente ritenute importanti e, del resto, senza incendio la vicenda non avrebbe avuto lo stesso spazio mediatico, come accaduto in passato.

Il Corriere, infine, su oltre 1800 battute, ne occupa soltanto 186 per spiegare il perché della contestazione.

In conclusione, dare notizia dell’accaduto è ovvio, non contestualizzare lo è un pò meno ma sarebbe preferibile al travisamento ed alla strumentalizzazione di qualsiasi cosa ruoti attorno ad una sigla sgradita.

Di seguito la nota diffusa da CasaPound:

http://www.casapounditalia.org/2013/06/cri-blitz-di-casapound-privatizzazione.html

Doppia preferenza di genere (anche in Sicilia): qualcosa non torna

crocetta«La sentenza del 14 gennaio 2010 n. 4 della Corte Costituzionale», spiegava il Ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna nell’ottobre 2010, «ha legittimato la legge della Regione Campania che prevede la doppia preferenza di genere». «Questa», assicurava, «è la strada da percorrere per riequilibrare situazioni di partenza gravemente disomogenee».

Effettivamente, dopo l’introduzione della norma, nella Regione Campania le donne elette in Consiglio regionale sono passate da due a quattordici. Ed a sottolinearlo appena qualche mese fa è Sara Valmaggi, vicepresidente del Consiglio regionale lombardo in quota Pd.

Quando nel nostro Paese si tratta di cavalcare i buoni sentimenti e la retorica egualitarista, i maestri dell’ipocrisia dimostrano quanto siano labili le identità politiche proposte.

La legge campana che introduce per la prima volta in Italia la doppia preferenza di genere, nello specifico, prevede la possibilità che l’elettore possa esprimere due preferenze anziché una. Però, nel caso decida di farlo, sarà obbligato a votare due candidati di sesso diverso. Tutto ciò, appunto, per pilotare l’elezione di un numero maggiore di donne all’interno del Consiglio regionale.

La Corte Costituzionale, pronunciatasi nel merito, non vi ha trovato nulla da ridire. Così come sottolinea la Valmaggi, la Consulta ritiene infatti «infondata sia la ‘violazione del diritto dell’elettorato attivo’, sia la ‘violazione del diritto di voto’, prospettata dal Governo in un ricorso nel 2010». Quello stesso governo di cui faceva parte la già citata Carfagna, tanto per chiarire.

Dopo di ché, la legge approvata in Campania è stata presa ad esempio un po’ in tutta Italia, come abbiamo visto nel caso lombardo e come dimostra anche la grande manifestazione organizzata dall’altra parte del Paese, a Catanzaro, il 26 marzo 2012 dal titolo «La democrazia paritaria»; presente all’iniziativa è addirittura il ministro della Giustizia Paola Severino.

Il 23 novembre 2012 la legge n. 215 conferisce legittimità «nazionale» alla proposta, non soltanto introducendo la previsione di precise garanzie di un’adeguata rappresentanza femminile negli enti locali, ma anche regolamentandone il recepimento per quanto riguarda le elezioni nei piccoli comuni.

Approvata appena in aprile, la doppia preferenza di genere, inoltre, ha già debuttato in Sicilia. Effetto del «modello Sicilia», Crocetta-Cinque Stelle, penserete. E invece no. I grillini, dimostrando anticonformismo, si sono opposti duramente alla proposta: «questa legge è una porcata, consentirà il voto di scambio e il capillare controllo del consenso elettorale», ha dichiarato il capogruppo Giancarlo Cancellieri. «Il testo approvato in questa forma è pericolosissimo», gli fa eco la collega Gianina Ciancio. A spiegare i punti deboli della norma approvata è “Il Fatto Quotidiano”: «le due preferenze, infatti, si dovranno esprimere in un’unica scheda. Un vulnus che potrebbe facilmente fare il gioco dei vari ras locali delle preferenze, abilissimi a creare coppie di candidati uomo – donna “blindati” per tracciare la provenienza del voto». Addirittura, «i vari ‘collettori’ di voti potrebbero impartire l’ordine di annullare la seconda preferenza, controllando militarmente i pacchetti di voti dei vari clientes».

A dividere i grillini da Crocetta, che subito ha trovato l’accordo con un’entusiasta Pdl, è stata in questo caso, dunque, una questione formale. Ma non c’è dubbio che le modalità di applicazione della legge, così come la ponderazione dei voti, lasciano spazio a vari dubbi.

Tanto più che, come dicevamo, resta impari il trattamento nei confronti di chi, se non vuole votare una donna (o un uomo), è costretto ad indicare il nome di un soltanto candidato, al contrario di chi, avvalendosi della doppia preferenza, può indicare invece due diversi candidati. Ed è comunque obbligato a scegliere non chi vuole ma un candidato di sesso opposto. Questioni tecnico-giuridiche su cui la Corte, come dicevamo, si è espressa ma sulle quali i dubbi interpretativi permangono.

La questione vera, però, è politica. E parte proprio dalla retorica egualitarista di partenza, senza discostarsi troppo dalla questione sulle «quote rosa», ma conducendo a conseguenze se possibile ancor più assurde.

Che sia garantito alla donna il «diritto alla poltrona» è sacrosanto. Che le sia garantita la poltrona stessa è però tutta un’altra cosa. Se il diritto della donna a partecipare alla vita politica deriva dalla sua uguaglianza davanti alla legge rispetto all’uomo, ciò vuol dire che il suddetto diritto proviene giuridicamente dal suo essere persona con annessi diritti civili, al pari di chiunque altro, uomo o donna che sia. Se invece il diritto lo si fa derivare proprio dall’esser donna è chiaro che tale diritto ha fondamento soltanto in sé stesso, è autoreferenziale, poggia insomma sul nulla e perciò la questione cambia, poiché ciò nega l’uguaglianza di fronte alla legge dalla quale dovrebbe paradossalmente avere origine la proposta.

E con conseguenze ancor più assurde. Stando a questa logica, infatti, un diritto alle pari opportunità così interpretato richiederebbe un’eguale rappresentanza per ogni categoria sotto-rappresentata e riconosciuta come tale. Anzi, a dir la verità, volendo proprio esser coerenti, la norma risulterebbe addirittura discriminatoria nei confronti delle altre «categorie». D’altronde, chi decide quali sono le altre categorie che meritano una poltrona assicurata? Quali i criteri oggettivi? Come la mettiamo per i giovani, anch’essi sotto-rappresentati. O per gli omosessuali, gli immigrati, i cattolici, gli atei, i mussulmani, i protestanti, gli ebrei. E, dopo tutto, perché essere cattivi? Come non garantire una quota di seggi anche a chi ha un pensiero politico sotto-rappresentato?

Il diritto delle minoranze a non esser minoranze. Che è un po’ come il diritto della pioggia ad esser bel tempo. Qualcosa non torna.