“La Silicon Valley è oggi il punto di riferimento del progressismo più spinto“, ha recentemente scritto Adriano Scianca su “Il Primato Nazionale”: “Prassi strettamente capitalista al servizio di idee trotzkiste. È il comunismo del terzo millennio, baby“.
Pochi giorni dopo i fatti di Charlottesville, puntualmente, Pater Tiel, co-fondatore di Pay Pal, ha preso le distanze da Trump. Contro di lui da tempo anche Jeff Bezos, fondatore di Amazon ed editore di Washington Post, per non parlare del creatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che molti vedono come futuro candidato democratico. Rainews, riprendendo i grandi giornali statunitensi, scrive: “Trump sempre più isolato: dopo Charlottesville lo scaricano i comitati dei più grandi CEO d’America“ (qui una lunga lista risalente a qualche giorno fa). Il presidente, in effetti, è stato costretto a sciogliere i due forum economici creati per collaborare con l’amministrazione nella creazione di posti di lavoro e nella riscrittura di una nuova strategia volta a favorire la produzione. L’ideologia, evidentemente, ha prevalso.
Ben 97 società del settore hi-tech, del resto, si erano schierate fin dall’inizio contro l’elezione di Donald Trump, ma, ovviamente, non si tratta solo dell’hi-tech: tante grandi aziende, per convinzione o impaurite dalle conseguenze in termini di immagine, fanno ormai del politicamente corretto un fronte unico. E in questi giorni, ad esempio, accreditano in questo modo la falsa versione giornalistica per cui Trump abbia difeso o comunque non condannato suprematisti e neonazisti e che, come scrive Rainews, abbia “paragonato i pacifisti ai suprematisti bianchi”.
Ora, ci sarebbe molto da discutere sulla definizione di pacifisti per gli estremisti di sinistra armati di bastone che, come ha giustamente sottolineato Trump, hanno contribuito alle violenze. Non per questo, però, si possono fraintendere – a meno che non lo si faccia volutamente – le sue parole dal momento che, non solo due giorni dopo la manifestazione e l’incidente che ha portato alla morte di Heather Heyer ha esplicitamente condannato razzismo, suprematisti e neonazisti, definendoli “ripugnanti”, ma anche nel corso della discussa conferenza stampa in cui ha ricordato che le violenze sono state da entrambi i lati, ha definito di nuovo “bad” sia nazisti che suprematisti, difendendo non tanto loro ma i manifestanti che, al di là delle sigle, manifestavano pacificamente contro la rimozione della statua del generale Lee.
Quella che riportano i media mondiali all’unisono, insomma, è una gigantesca balla supportata soltanto dall’enorme brusio che ha messo a tacere la verità. Trump, in realtà, ha scelto bene la sua strategia: ha preso le distanze dai “fanatici” ma non ha rinunciato a voler rappresentare quella classe piccolo e medio-borghese bianca americana che lo ha eletto presidente, puntando idealmente a difendere le loro ragioni e non certo quelle delle sigle minoritarie che si propongono di rappresentarli più o meno ideologicamente. Trump, insomma, non intende assolutamente condividere la scena e i meriti con loro, mirando piuttosto a farsi diretto portavoce di quella parte di popolazione, senza il tramite scomodo dell’alt-right. Una mossa che, appositamente, i media stanno tentando di oscurare raccontando un’altra verità e giocando a manipolare l’opinione pubblica, consapevoli che vince il gruppo più numeroso e non la verità. Allo stesso scopo, del resto, con una doppia bugia, “The Independent” ci ha aggiunto il carico a fini di politica interna: “Theresa May rifiuta di condannare la difesa dei neo-nazisti di Trump“. Ora, non avendo Trump difeso i neonazisti, ecco ovviamente la prima bugia. Ma l’assurdo è il meccanismo perverso per cui, proprio su questa bugia, ci si arrampichi poi per costruire una serie di associazioni in cui la premier inglese, che peraltro dice l’opposto rispetto alla presunte parole di Trump – ovvero che “non c’è equivalenza tra chi propone una visione fascista e chi gli si oppone” -, dal momento che non contesta a Trump una sua immaginaria affermazione contraria, diventa Theresa May che rifiuta di condannare la difesa dei neo-nazisti di Trump.
Ed ecco che, in quest’atmosfera da caccia alle streghe, si ritorna – anzi, si prosegue – al metodo sovietico della delazione per distruggere esistenzialmente suprematisti e, senza troppe distinzioni, presunti tali (non che questo faccia differenza). Quanto hanno goduto i giornali di tutto il mondo a mostrare il video di uno spaventato Christopher Cantwell, che si diceva “terrorizzato” dalla possibilità che la polizia potesse ucciderlo con la scusa di arrestarlo! In questo caso, però, la prospettiva di un eventuale abuso di potere – verosimile oppure no – ha generato soltanto irrisione e sadico accanimento: “eccolo il suprematista che ora piange”. E giù a bulleggiare il bullo, a dispetto del politicamente corretto che, in questi casi, non fa comodo alla causa.
Anche le questioni privacy, uguaglianza, libertà d’espressione e diritti civili vari, di solito sempre in primo piano, evidentemente non valgono per i suprematisti. Non fa in tempo ad arrivare il giudice a giudicare eventuali reati commessi, che ci pensano i tribunali popolari auto-costituitisi sul web a dare la sentenza e perseguire l’annientamento totale del nemico. Il tribunale popolare neo-partigiano in questo caso è “Yes, you are racist”, il profilo Twitter creato per individuare i suprematisti e mettere online i loro volti, chiedendo ai datori di lavoro di licenziarli, alle famiglie di rinnegarli (è accaduto anche questo, con soddisfazione enorme della stampa), alle università di trattarli come si deve e ad eventuali volontari pronti a tutto possibilmente di di dargli anche una bella lezione, dal momento che l’account pensa anche a condividerne l’indirizzo di residenza. “Se riconoscete qualcuno dei nazisti che marciavano a Charlottesville, inviatemi i nomi/profili e li renderò famosi“, invita l’account, che poi, su ogni foto rubata, prima di diffonderla, appone scritte simili: “Mi conosci? Sei il mio datore di lavoro? Ero alla manifestazione nazista a Charlotte”. Così, senza pensarci due volte: non la pensano come loro e, che abbiano o meno commesso un reato, meritano di perdere tutto, di finire col culo a terra, di non poter dar da mangiare ai propri figli, di non poter fare carriera, studiare, uscire di casa tranquillamente. A perdere il lavoro, ad esempio, è stato già Cole White, licenziato da un ristorante a Berkeley in California: “Da sabato 12 agosto, Cole White non lavora più presso Top Dog. I fatti di Charlottesville non sono sostenuti da Top Dog. Noi crediamo nella libertà individuale”. Tra gli identificati, compare anche Peter Cvjetanovic, 20 anni, studente di Storia e Scienze politiche.
Alla faccia della rivoluzione di studenti e classe operaia.
Emmanuel Raffaele
Earlier, Sajid Javid, the Communities Secretary, tweeted: “Neo-Nazis: bad. Anti-Nazis: good. I learned that as a child. It was pretty obvious.”
2 risposte a "Usa, bugie su Trump ed un profilo Twitter per identificare i “suprematisti” e farli licenziare"