“A questa crisi [dell’Unione Europea,ndr] non si può certamente rispondere con un europeismo che in più occasioni ho definito fideistico, ma nemmeno si può opporre uno scetticismo disgregatore, volto a compromettere le conquiste raggiunte in sessant’anni, semmai invocando il ritorno a sovranità nazionali chiuse e conflittuali, con sterili ripiegamenti identitari“.
“A proposito di sovranità, libertà ed Europa, citazione per citazione, torno a Cicerone: la libertà non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non avere nessun padrone“.
Meta-politicamente, questi i passaggi fondamentali nel botta e risposta dello scorso 20 agosto, in Senato, coi discorsi pronunciati – nell’ordine – dal presidente del Consiglio dimissionario Giuseppe Conte e dal suo ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Frasi che chiariscono una volta per tutte perché il Movimento 5 Stelle – malgrado una condivisibile visione del lavoro, dell’ambiente e della tutela delle prerogative statali – non può essere e non vuole essere considerata come una forza sovranista. Sull’Europa e le diverse organizzazioni internazionali ha spesso una posizione critica e alternativa, riformista, ma la sovranità nazionale piena non è (quanto meno non più) un suo obiettivo. Si saranno raffreddati dagli inizi incendiari oppure siano sempre stati così, poco importa.
Del resto, anche le aperture ad est, le relazioni con la Russia che molti gli rimproveravano, sono state liquidate così: “Ci siamo relazionati a Cina, India, Vietnam, Russia ma la nostra politica estera deve rimanere fedele ai due pilastri del rapporto transatlantico e dell’Unione europea di cui restiamo paese fondatore“. Ora, una cosa è non fare dell’antiamericanismo e anti-europeismo spicciolo, altra è essere più lealisti del re, soprattutto se e quando il filo-atlantismo e l’europeismo equivalgono a piegarsi a diktat contrari all’interesse nazionale.
Tanto meno il Movimento 5 Stelle, come evidenziato sempre da Conte, fa sue le istanze identitarie.
Il discorso sulle sovranità nazionali “chiuse e conflittuali” e sugli “sterili ripiegamenti identitari” è molto chiaro e allineato rispetto ai luoghi comuni del più entusiasta globalismo.
E’ tutta qui l’unica plausibile spiegazione politica dell’altrimenti inspiegabile decisione di Matteo Salvini di far saltare tutto. Il tono nei confronti del leader della Lega, il cordone creato contro di lui con gli applausi del Pd, isolato spesso sul fronte immigrazione, definito pericoloso e autoritario, dipinto insomma come l’uomo nero che appare sui giornali più europeisti e sulle bocche dei funzionari europei più allineati, spiega infatti molto più di ogni altra cosa la rottura di un accordo di governo che altrimenti aveva retto e si è spaccato apparentemente in maniera forte solo sulla Tav – punto che nel contratto stipulato tra le due forze rivela molte ambiguità, ridotto a poche righe marginali e sul quale, tra l’altro, Conte si era infine schierato per il “Si”. E’ evidente che l’insofferenza nei confronti di Salvini nasce da queste motivazioni di fondo che lo hanno messo dalla parte dei cattivi proprio ora che i Cinque Stelle puntano ad accreditarsi come buoni e affidabili.
Concretamente, a parte la qualità incomparabile dei due discorsi (il leader della Lega, evidentemente nervoso e confuso, non ha certo dato il meglio proprio quando avrebbe dovuto) molte delle cose contestate a Salvini sono sacrosante, come l’assurda (o quanto meno azzardata) richiesta di “pieni poteri” lanciata con leggerezza, l’aver mandato tutto all’aria apparentemente per ragioni di partito e per sondaggi favorevoli, la stessa sfiducia a cui non sono seguite le dimissioni sue e dei suoi ministri, l’aver messo in cattiva luce il suo stesso governo, anche un certo grado esagerato di populismo (vedi rosari e invocazioni alla Madonna), l’evocazione della piazza e delle urne come panacea di tutti mali (“Far votare i cittadini è l’essenza della democrazia, sollecitarli a votare ogni anno è irresponsabile”, ha ribadito giustamente Conte), un certo protagonismo che può aver messo in difficoltà l’azione di squadra.
Il Movimento 5 Stelle, del resto, potrebbe solo essere stato più furbo a far “sbroccare” Salvini nascostamente, facendolo passare ancor più da irresponsabile, per accreditarsi sempre più come partito di governo (la scena in Senato, con Salvini che accusava il Movimento di un probabile tradimento avvenuto ben prima della rottura, a parte suscitare quasi tenerezza, sembrerebbe a proposito rivelatore).
Ma resta il fatto che, alla luce delle posizioni espresse, in un ipotetico fronte a difesa della sovranità nazionale, che è la base di qualsiasi politica meritevole di attenzione, ci si può trovare più facilmente Salvini e non il M5S, allo stato attuale.
Ora, che Salvini sia completamente affidabile, dopo quanto visto, non ci si può scommettere. Ma che si sia schierato dalla parte dei cattivi, contro l’Europa dei buoni burocrati, questo è innegabile dopo la predica in stile Dc rifilatagli da Conte.
Ecco perché è necessario sperare che non ci sia una nuova alleanza con berlusconiani e simili e che, in caso di elezioni, si verifichi una vittoria schiacciante del fronte sovranista, la quale – con l’aiuto di un sistema elettorale alquanto confuso – permetta di tagliare fuori i rami secchi del centrodestra. Va da sé che, nel caso si procedesse ad un governo M5S-Pd, le politiche sull’immigrazione, sulla sicurezza e l’approccio alla sovranità nazionale, cambierebbero radicalmente, ovviamente in peggio. Un incubo a cui forse potremmo anche attribuire la colpa a Salvini, se di attribuire colpe e meriti (e non dell’interesse del Paese) si trattasse.
Quel che è certo è che, viste le posizioni spesso marcatamente liberiste di Salvini e le esitazioni sulla difesa della sovranità da parte del Movimento, l’accordo giallo-verde costituiva una tutela su entrambi fronti, garantendo un reciproco equilibrio su questi temi, ciò che accordi alternativi difficilmente potranno garantire allo stesso modo.
Emmanuel Raffaele Maraziti
Una risposta a "Rimpiangeremo il governo giallo-verde"