Se questo è giornalismo: il disastro online di “Libero” (e non solo)

liberoSe state leggendo, ci siete cascati. Siete dei perfetti lettori, incolpevoli per carità, della versione online di “Libero”, quotidiano fondato nel 2000 da Vittorio Feltri e ora diretto da Maurizio Belpietro. Infatti, se il titolo del presente articolo lo avessero scelto gli stessi che gestiscono la piattaforma social del giornale di centrodestra, verosimilmente sarebbe stato questo, ovvero, un pessimo esempio di informazione, che noi ci vergogniamo persino ad imitare scherzosamente ed in maniera funzionale. Che i loro titoli sulla versione cartacea non siano esattamente un esempio di equilibrio, è cosa nota. A volte centrano il colpo, a volte esagerano, ma non perdono del tutto la dignità giornalistica. Nella versione online e, soprattutto, nella gestione del profilo Facebook che permette alle notizie pubblicate di circolare più facilmente, siamo invece ad un livello di bassezza professionale insuperabile.

Il caso recente più noto è relativo alla candidata a sindaco di Roma del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi, trattata come uno showgirl qualunque, con titoli inquietanti o semplicemente ridicoli in merito alla sua sensualità in studio da Bruno Vespa. “Sopra così, sotto da urlo. Tacchi, collant, delirio in studio: la candidata M5S Virginia Raggi da Vespa ci va così”, sparano in modo eclatante. E, nonostante le foto a smentirli, parlano addirittura di una eventualmente irrilevante “generosa scollatura” per raccontare di un vestito che, se non copre anche il collo, poco ci manca. Quanto al sotto da urlo, trattasi di una normalissima gonna, che evidentemente nel maniaco autore del trafiletto provoca però grandi sconvolgimenti.

Ma non c’è da farne “un caso”. Il caso, infatti, è un modo di fare giornalismo online che sta sporcando ulteriormente la dignità di fare questo mestiere. E, in questo caso, la dignità di una testata che non sarebbe neanche da buttare.

Bruno Vespa demolisce la sexygrillina Raggi. Il dettaglio imbarazzante su Virginia: ‘Lei dal vivo…’. Uno apre, legge e scopre che di tanto imbarazzante e distruttivo c’è un commento del giornalista televisivo che spiega: “vista dal vivo è minuta, e non fa quella impressione. La sexy candidata? Beh, direi proprio di non esagerare”. In pratica, peraltro, sputtana proprio i loro titoli, ma che importa. Facciamone un altro, tanto non sono i contenuti che contano.

Un giro sul profilo Facebook di Libero e scopriamo uno degli ultimi titoli: “FOTO – La furbata della Javorcekova: vedete questa foto? Ce n’è una tutta nuda, censura fregata”. Acquolina in bocca già dalla foto censurata. Click scontato. La logica dei social funziona così. Ed anziché innalzare il livello, alcuni grandi giornali cavalcano l’onda. Conta fare click, intascare finanziamenti pubblici, appoggiare questo o quello. Con buona pace dell’etica professionale. Il caso di Libero nella sua versione online è un’esagerazione, una strategia precisa che non può definirsi neanche giornalistica. Il problema è più grave, invece, quando è più sottile, quando il titolo farlocco si nasconde tra le colonne ricche di titoli più “affidabili”, quando una non-notizia diventa discussione politica o sociale, quando una notizia, benché inutile, viene ripresa poi da tutti gli altri quotidiani online perché fa letture, quando il titolo non è un titolo, quando il titolo è deviante e la notizia, magari, ben più seria. Capita anche questo e bisogna farci molta più attenzione.

Il vip la impalma, la madre s’infuria. Chi si prende la velina Ludovica (ha 22 anni più di lei)”. Ovviamente, non può mancare il suggerimento: “FOTO”. La gente vuole vedere, vuole il pettegolezzo e Libero come altri ne approfitta per ulteriori click. Da notare la furbata accennata poco fa: il titolo non riassume più la notizia. Si limita ad adescarti. Siete curiosi? E’ Luca Bizzarri, ma per favore non aprite quel link. Perché purtroppo tutto questo non succede soltanto con la cronaca rosa. Scorriamo ancora un po’ Libero ed ecco: “Spifferata dal Colle. La furia di Mattarella: attenzione, Bruno Vespa…”. La notizia che segue effettivamente sconcerta. Per vacuità. Mattarella, forse, si è incazzato con Bruno Vespa per l’intervista al figlio di Riina. Forse. Si dice. Perché nel comunicato laconico ha fatto sapere di non volersi occupare di palinsesti televisivi. “Bin Laden, in una lettera la profezia: ‘Cosa devi comprare per far soldi’ ”. Chiaramente il virgolettato è fittizio, artificioso. Serve a non dare la notizia suscitando però interesse. Un trucco. Bin Laden suggeriva ai suoi di comprare oro. In pochi avrebbero aperto una finestra per leggere una notizia che non promette niente di ulteriormente interessante. Altra notiziona poco più giù: “Ricordate questa Laura Ravetto? Dimenticatela: la svolta radicale in tv. Irriconoscibile”. Cosa sarà mai successo? Si sarà fatta tatuare in faccia il simbolo di Forza Italia, ricostruire il naso per assomigliare a un gatto, rasata i capelli a forma di svastica? No. E’ semplicemente andata dal parrucchiere: “Al tradizionale caschetto biondo e al trucco deciso, la Ravetto ha ormai scelto un look meno aggressivo”. Non sanno cosa inventarsi per fare click. Anzi, lo sanno benissimo: cazzate. “In Transatlantico c’è Enrico Mentana. Occhio, un politico gli fa questa cosetta qui”. Altro titolo stupidamente allusorio, altra notizia non detta, altra notizia inesistente presto svelata all’interno dello scarno articolo: “qualcuno gli avrebbe addirittura fatto il baciamano”. Non è uno scherzo o un’esagerazione. La notizia è davvero tutta qui. In ulteriore “forse”, peraltro anonimo.

Alle elezioni per il comune di Milano qualche sondaggio parla di avvicinamento e possibile pareggio. Secondo Libero si tratta di “un sondaggio che cambia la storia”. Ma il sesso fa visualizzazioni ed è quindi il tema ricorrente: “Herzigova cornuta? Con quale super-vip hanno pizzato il marito: intreccio sconvolgente”. Potremmo parlare della tematica, del titolo ancora una volta col trucco o della notizia come sempre inesistente. Oppure potremmo stendere un velo pietoso e, stando a quanto ci mostra l’analisi di appena tre ore di post di Libero, passare ad altro. Non per fare una rassegna dei principali quotidiani italiani, che si rivelano comunque molto più seri nell’approccio alla rete. Ma giusto per far notare che l’identico insopportabile metodo è utilizzato esattamente da TzeTze, il più utilizzato dai grillini, insopportabile fin nel maiuscolo dei titoli. “E’ TERRIBILE: NOTIZIA APPENA CONFERMATA”, annuncia la pagina Fb. E, sotto un’immagine di papa Benedetto XVI affranto, il titolo, se così possiamo chiamarlo, che ripete: “E’ TERRIBILE, NOTIZIA APPENA CONFERMATA, TUTTO VERO! ECCO COSA…”. La notizia, riportata in una dimensione normale, di per sé, potrebbe anche essere interessante: “Samir Khalil Samir, islamologo e consigliere di Benedetto XVI per i rapporti con l’islam, analizza il ricatto islamista contro l’Europa cristiana, scrive Giuseppe De Lorenzo su Il Giornale”. Ma l’allusione alla tragedia, alla lettura imperdibile fa sicuramente più click. “+++ULTIM’ORA – VLADIMIR PUTIN: CLAMOROSO POCO FA! LA NOTIZIA APPENA ARRIVATA!”. La notizia sono le non-dichiarazioni di Putin sulle cosiddette Panama Papers, nelle quali il nome del presidente russo, tra l’altro, non compare. Più giù, stesso schema, con la foto del calciatore ed il titolo: “+++ULTIM’ORA – IBRAHIMOVIC, NOTIZIA SHOCK POCO FA: IL DOPING, INCREDIBILE!”. La notizia, ripresa da tutti i giornali, è che Uff Karlsson, ex ct della nazionale svedese di atletica leggera, ritiene che l’attaccante, quando era nella Juventus, assumesse sostanze dopanti. Ora, lasciamo stare che si tratta di una opinione e non di una notizia: ma è questo un modo serio di fare i titoli? Prendere in giro i lettori con lanci tipo “MIGRANTI, ALLARME POCO FA: L’ITALIA, CRESCE LA PAURA” per raccontare che l’Austria avverte l’Italia sul probabile raddoppio del numero dei migranti il prossimo anno, francamente, non sembra lo sia.

Sulla bacheca de “Il Giornale” campeggia una foto di Corona con non si sa quale fanciulla: “Ritorno di fiamma per la coppia?”. E sticazzi no? Ma ok, è cronaca rosa magari. Molto più grave invece questo: “I Beckham nel tritacarne mediatico. Incredibile quello che fanno fare alla figlia”. Con tanto di commento: “GUARDA la foto che sta indignando il mondo”. Uno apre e la notizia è una bambina che sbuffa durante la manicure. E’ uno scherzo? Altro che CasaPound come reclamano i paladini della democrazia, chiudiamo un po’ di giornali, verrebbe da dire.

Del resto, è esattamente di virus democratico che si tratta. Adeguarsi al basso, anziché portare in alto i lettori. Dare al pubblico quello che vuole e non quello che serve. E, per forza di cose, servirsi poi di questo meccanismo. Lo specchio della democrazia.

Milano, ‘Feltri show’ alla presentazione di Sovranità: “basta prendere ordini dall’Europa”

Borgonovo_FeltriE’ un Vittorio Feltri come al solito incontenibile a prendersi la scena in occasione della presentazione di “Sovranità” svoltasi ieri sera presso il C.A.M. di corso Garibaldi a Milano.

E lo fa all’insegna del no a quest’Europa: «Lingue, culture, economia, politica estera, fisco: niente accomuna i 27 paesi dell’Ue eccetto la moneta. Mai nella storia nazioni diverse sono state unite efficacemente soltanto da una moneta. E proprio in questi giorni, infatti, tocchiamo con mano l’inconsistenza dell’Europa sul caso Libia».

«Mondialismo o sovranità: il binomio destra-sinistra non rappresenta più il crinale di distinzione decisivo nella politica», spiega infatti Alberto Arrighi, ex deputato di An, tra gli animatori principali del nuovo soggetto della destra identitaria nato per sostenere il progetto politico di Matteo Salvini.

Del resto, lo slogan del movimento, «sovranità, identità, lavoro»,  rappresenta tre nette scelte di campo. Sovranità, prima di tutto, per recuperare il potere decisionale in ogni ambito: monetario, energetico, militare, economico, territoriale e rimettere al centro gli interessi del paese e dei cittadini italiani. Identità, in opposizione al multiculturalismo che snatura le nazioni. Lavoro, contro una finanza che si è impadronita dell’economia.

Una linea sulla quale sembra concordare l’editorialista de “Il Giornale” che, pur confessandosi idealmente europeista, contesta duramente l’Ue e non fa sconti a nessuno: «Monti, Letta e Renzi, tutti a baciare la pantofola della Merkel: lei ci prende per il culo, noi imbecilli che andiamo a prendere ordini».

L’ex direttore di “Libero” e de “Il Giornale”, che lo scorso anno ha pubblicato per Mondadori “Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa”, non è del resto nuovo ad uscite sovraniste e, nella sua lettura, la resa incondizionata dell’Italia ha un’origine ben precisa: «l’Italia negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta era all’avanguardia in ogni campo, aveva compiuto il suo miracolo economico, nonostante la guerra: l’Olivetti con il primo pc, l’invenzione della plastica, l’Eni, il nostro paese vanta da sempre le più grandi invenzioni. Poi nel ’68 hanno vinto i cretini, coloro che volevano distruggere ogni cosa».

Una provocazione, ma neanche troppo: «l’Italia ha sempre avuto a che fare col nemico interno, basti pensare che, alla morte del dittatore sovietico Breznev, metà parlamento andò al suo funerale, incluso Pertini, che ancora oggi è idolatrato. E durante la “Guerra fredda” mezza Italia faceva il tifo per il nemico contro gli interessi del proprio paese».

Nel mirino c’è, chiaramente, una sinistra che ha anteposto gli interessi di partito agli interessi nazionali, ma c’è soprattutto l’affermazione col ’68 di una visione del mondo rinunciataria, utopistica, politicamente corretta che, etichettando come fascista ogni forma di patriottismo, ha distrutto ogni ambizione italiana, ogni orgogliosa rivendicazione dei propri interessi, la capacità di lottare per la propria dignità, per il proprio paese.

«Una costituzione ipocrita», ha aggiunto Feltri, «ripudia la guerra ed alla sola idea della guerra, alla vista di un fucile, tremiamo. Abbiamo abolito la leva obbligatoria, rinunciato alla difesa, delegato tutto agli americani salvo poi accusarli di essere guerrafondai. Ma le guerre ci sono e noi abbiamo così soltanto azzerato la nostra dignità, diventando incapaci di dire no».

Un paese a capo chino, questo il frutto del ’68: una dittatura del politicamente corretto al punto che, spiega Riccardo Pelliccetti, inviato de “Il Giornale”, «se scriviamo la parola “clandestino” rischiamo di incorrere in sanzioni dell’ordine dei giornalisti».

«Anche la crescita demografica», ha ricordato il leghista Fabrizio Ricca, «è divenuto argomento tabù dopo la caduta del fascismo ed ora, con l’attuale tasso di crescita, siamo destinati a morire. La priorità ora è difendere i nostri confini dall’invasione in atto».

Diversi punti di contatto e priorità in comune: è, dunque, questo il collante tra ampi settori della cosiddetta destra radicale e la nuova Lega targata Matteo Salvini che, al di là dei personalismi, sembra avere le idee programmaticamente molto chiare ed un progetto a lungo termine per proseguire su questa linea, come dimostrato dai dieci punti presentati su “Il Foglio” lo scorso 11 febbraio.

 

Il programma di Salvini: nazionalizzazioni, produzione domestica, sovranità monetaria

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«Meno Europa», come recita il primo punto, ma non solo: «nazionalizzazione di imprese strategiche e/o produttrici di beni richiesti dal mercato ma momentaneamente in crisi», «flessibilità di bilancio», «abolizione della legge Fornero», «no al Ttip» (Trattato transatlantico su commercio ed investimenti), «controllare le frontiere», zero tassazione per chi ha reddito zero, «superamento del sistema dei trasferimenti fiscali».

Un programma che, al di là delle semplificazioni giornalistiche, riflette una visione tutt’altro che classicamente liberale, d’impronta sociale e sovranista e, dunque, molto vicino alla cosiddetta destra identitaria.

«La difesa dell’euro si attua sulla pelle degli italiani […] mentre il riequilibrio potrebbe attuarsi in modo naturale con un cambio flessibile», esordisce il segretario della Lega, che bolla come fumo negli occhi anche l’attenzione eccessiva per un’inflazione sotto controllo: «anche in presenza di prezzi stabili (o addirittura in calo) se il reddito si riduce fortemente ecco che il potere d’acquisto svanisce […]. In pratica 100 per cento di inflazione pur con prezzi immobili».

E, poi, no al Tiip, come anticipavamo: «Spalancare ulteriormente l’Italia alla concorrenza estera mentre la nostra industria, la nostra agricoltura, il nostro allevamento sono in ginocchio significherebbe dare il colpo di grazia alla nostra economia», chiarisce Salvini, che sottolinea anche l’implicita cessione di sovranità nel demandare «ad altri le autorità di controllo e sorveglianza».

Il quarto punto potrebbe benissimo far parte del programma di politica economica di CasaPound e nessuno ci troverebbe nulla di strano, anzi: «In attesa del rilancio “naturale” dell’industria con il recupero della sovranità monetaria si potrebbero creare fabbriche e coltivazioni mirate alla produzione di beni esclusivamente importati da paesi extra Ue […]. La spesa necessaria alla riconversione delle imprese o, nel caso della produzione di beni abitualmente importati, alla copertura della realizzazione “sottocosto” di tali beni (se fosse conveniente produrre a prezzo pieno lo farebbero i privati) consentirà di rimettere in circolo denaro, contrastando al contempo lo squilibrio della bilancia commerciale perché si ridurrebbero le importazioni».

Priorità per le piccole e medie imprese a dispetto delle «grandi imprese globalizzate e delocalizzate» col «plauso costante di Confindustria»: «la chiave del nostro modello», spiega infatti, «sarà la produzione domestica […]. Se molti imprenditori italiani hanno deciso di delocalizzare salvando i propri profitti a scapito dei posti di lavoro si preparino a fare marcia indietro». Altro punto da anni cavallo di battaglia della destra identitaria.

«Un sistema previdenziale che diventa contributivo», afferma invece Salvini a proposito della legge Fornero, «ma al contempo lascia i lavoratori privi di un lavoro e della pensione è assurdo, barbaro e deve essere abolito». Dunque, più stato sociale contro i teorici del liberismo.

«Il Pd preme», aggiunge l’ottavo punto, «per l’azzeramento degli enti locali in Italia, la cessione di sovranità a Bruxelles e l’annegamento globalista in un mondo dominato dalle grandi multinazionali rese “competitive” dalla mano d’opera a basso prezzo incoraggiata ad invaderci con “mare nostrum” e frontiere aperte. Noi, anche qui, vogliamo l’esatto contrario. Siamo convinti che il “frullato” di culture e sapori faccia comodo solo a pochi e che invece nella diversità, nelle tradizioni e nelle autonomie locali vi sia la vera ricchezza. Pertanto siamo per uno stop all’immigrazione incontrollata in assenza di domanda di lavoro». Standing quasi ovation: considerate le premesse si poteva benissimo essere più chiari nel chiedere lo stop all’immigrazione, punto.

E ancora. «Terapia shock per mezzo dello strumento della flat tax. Un’unica aliquota molto bassa uguale per tutti, con una deduzione fissa su base familiare renderà dichiarare i propri redditi semplice e conveniente» secondo una logica di base precisa: «I debiti si ripagano col lavoro e con la crescita: considerare le coperture dei provvedimenti fiscali ex ante senza valutare l’impatto di tali provvedimenti sull’economia è un semplice metodo perché nulla cambi mai».

È invece la conclusione del discorso di Salvini a suscitare il bisogno di qualche chiarimento: non vogliamo pagare i debiti degli altri, i nostri soldi devono rimanere qua, non diamoli all’Europa. E fin qui ci siamo. Poi, però, il discorso prosegue con questa logica fin dentro i confini nazionali, giungendo a conclusioni che non possono esser digerite senza fiatare: «Noi proponiamo un sistema dove nessuno debba pagare per altri e dove ognuno possa essere competitivo con le proprie forze». «Pertanto», aggiunge in maniera ancora più esplicita, «dopo un iniziale ritorno allo status quo pre-euro, necessario per rimettere in piedi il tessuto industriale del nord Italia con l’aiuto di una valuta più leggera, occorrerà pensare a meccanismi di flessibilità (come ad esempio due monete) per riequilibrare la competitività del sud esattamente nello stesso modo in cui si cerca il recupero della competitività italiana verso la Germania».

Se fosse una premessa, una cura, in vista della crescita nazionale, ci si potrebbe ragionare. Ma l’assonanza con troppi slogan autonomisti già sentiti è impossibile da negare. Perciò qualche chiarimento sarebbe necessario. La sovranità è nazionale o non è. Ricordarlo costantemente a chi, al di fuori, dovesse metterlo in dubbio sarà il compito del neonato movimento.

Marò, la ricostruzione di Capuozzo “scagiona” i fucilieri. Ma non interessa ai media

marò girone latorre«Oggi, lunedì [1 luglio, ndr], “Il Giornale” riporta con grande evidenza la nuova ricostruzione degli incidenti del 15 febbraio 2012, di cui ha dato notizia, tra le righe, anche il Corriere della Sera. Per il resto tutto tace».

È il commento affidato ai social network dal giornalista Toni Capuozzo, in seguito alla ricostruzione fatta per Tgcom24, all’interno della rubrica “Mezzi toni” lo scorso sabato 29 giugno, sul caso marò [1], che ha avuto una tiepida accoglienza da parte dei principali media nazionali.

«Il lavoro di analisi di Luigi Di Stefano, Stefano Tronconi e mio – prosegue Capuozzo – dimostra l’innocenza di due cittadini italiani. Può essere confutato, discusso, vivisezionato e ritenuto poco credibile, anche se abbiamo studiato a lungo la cosa e siamo in grado di ribattere. Ma il silenzio si spiega anche con il fastidio di tanta parte dell’informazione verso chi ha fatto il lavoro che sarebbe stato compito di un giornalismo rigoroso e senza pregiudizi. Con l’imbarazzo delle autorità italiane, remissive e deboli, capaci solo di parole per difendere due servitori dello Stato, e forse distratte da interessi commerciali. Con l’indifferenza della politica in generale verso due militari, figli di un dio minore. Ma è una battaglia, la nostra, che continua».

Anche in seguito al pregevole servizio fatto per il Tg5 della durata di 3 minuti e 15 secondi [2], nella seguitissima edizione delle 20, la notizia non rimbalza.

Una rapida ricerca su Google mostra come della ricostruzione non diano conto i grandi giornali, eccetto il sempre controcorrente Dagospia[3] e Libero, che nella versione cartacea dedica più di mezza pagina, con un pezzo a firma di Chiara Giannini, al servizio in questione, pur relegandolo a pagina 19 e senza richiami in prima. Per capirci, dopo un pezzo su Saviano, uno sull’ “esercito di Silvio”, uno su Travaglio, uno su Renzi, sui senatori a vita ed uno sull’Imu.

Quel che è chiaro è che il caso marò per i media non è un caso nazionale. Rimane una questione di “cronaca”.

E veniamo al merito della ricostruzione, che molto deve al lavoro, tra gli altri, di Luigi Di Stefano, perito nel processo sulla strage di Ustica, autore di un documentato dossier sul caso marò ed attaccato tendenziosamente da “Il Fatto quotidiano” anche per la sua vicinanza a CasaPound.

Un manifesto tentativo di screditare le tesi del perito da parte del quotidiano diretto da Antonio Padellaro, nonostante i punti fermi del suo dossier si siano, in effetti, dimostrati molto convincenti, ripresi non solo da Toni Capuozzo, ma anche provati dal gesto della Corte suprema indiana che, nel marzo scorso, ha azzerato le indagini a causa degli errori commessi, negando anche la giurisdizione alla Corte del Kerala.

Tanti gli elementi poco chiari e contraddittori della vicenda. Una su tutte la questione dell’orario, su cui da sempre insiste Di Stefano.

E’ tra le 16 e le 16.30 che la Enrica Lexie (nave su cui sono imbarcati appunto Salvatore Girone e Massimiliano Latorre) viene avvicinata da un’imbarcazione sospetta, i fucilieri sparano in acqua, questa si allontana ed il comandante avvisa in tempo reale la Guardia costiera indiana.

Il peschereccio St Anthony, su cui si trovano i due pescatori uccisi, rientra al porto di Neendankara alle 23.20. «Il capitano e armatore Freddy Bosco – spiega Capuozzo su Tgcom24 – dichiara alle televisioni che l’incidente di cui sono state vittime è avvenuto intorno alle 21.30. E conferma di aver allertato immediatamente, via radiotelefono la Guardia Costiera indiana». Di questo episodio esiste del resto un video, nel quale è visibile anche un poliziotto.

Ma dopo il rientro del peschereccio, la Guardia costiera invita la Enrica Lexie a rientrare  a Kochi. Alle 22.20, però, la nave greca Olympic Flair fa sapere di esser stata attaccata dai pirati ed è ora lontana dalla costa, al contrario della nave italiana, che sta rientrando in porto. A questo punto il teorema investigativo viene probabilmente forzato, lo dimostrerebbero anche la variazione degli orari in alcune ricostruzioni e diversi punti oscuri nello svolgimento delle indagini, messi in luce dai dossier in questione.

Inizia così la tragedia dell’ingiusta detenzione (dal momento che il fatto, peraltro, avviene in acque internazionali) dei nostri marò. E l’inerzia, incapacità e debolezza del governo italiano.

Solferino: CasaPound contro privatizzazione Cri, scoppia un rogo e la stampa gongola: «assalto»

solferino casapound croce rossaAnsa: «Assemblea Croce Rossa, “assalto” da militanti Casapound». Corriere: «Blitz di Casdapound contro la Croce Rossa. Il lancio di un fumogeno ferma l’assemblea». Gazzetta di Mantova: «Assalto [solo in seguito mutato in un più mite «Protesta», ndr] di CasaPound all’assemblea della Croce Rossa». Libero: «Croce Rossa: Rocca, inaccettabile protesta Casapound». Repubblica: «CasaPound, blitz contro la Croce Rossa: sospesa l’assemblea a causa di un rogo».

Così è come si è dato conto dell’episodio. Ora veniamo ai fatti accaduti.

Nel pomeriggio a Solferino, in provincia di Mantova, era prevista una riunione della Croce Rossa Italiana. CasaPound Lombardia, in linea con alcune iniziative nazionali del movimento, era lì per protestare contro la privatizzazione di quella che è considerata un’eccellenza italiana, per di più con 4000 lavoratori a rischio. E così, si è presentata davanti il cancello del tendone dove era prevista l’assemblea, con torce colorate ed uno striscione: «Rocca: Stato sociale? 4000 famiglie a casa non possono stare».

Come testimonia la foto pubblicata dal Giornale di Brescia, la manifestazione, con qualche decina di militanti, tanti tricolori e molte bandiere rosse con la tartaruga frecciata, ha avuto luogo regolarmente e pacificamente. Poi l’imprevisto.

«Il cordone di sicurezza, per impedirci di entrare, ci ha deviati verso le sterpaglie e qualche scintilla è caduta sul terreno dando vita a un incendio», spiega Marco Arioli, responsabile regionale di CasaPound Italia Lombardia, che dunque non si nasconde davanti all’accaduto.

«Il forte vento e le alte temperature – aggiunge la Gazzetta di Mantova – hanno contribuito ad estendere le fiamme che si sono fermate a tre metri dal tendone. Una colonna di fumo ha invaso la tensostruttura tanto che le 500 persone sono state fatte evacuare. I volontari della Cri si sono messi a spegnere l’incendio con mezzi di fortuna, in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco. L’incendio è stato domato in poco tempo e l’assemblea ha potuto riprendere regolarmente».

Da qui il caos mediatico e la strumentalizzazione perfino di un evento imprevisto, imprevedibile ed ovviamente indesiderato da parte di CasaPound Lombardia.

Si va dall’utilizzo improprio, oltre che infondato e diffamatorio, del termine «assalto» (nel titolo dell’Ansa e della Gazzetta di Modena) per definire una protesta pacifica, fino alla vera e propria inversione della realtà: il blitz sarebbe stato «contro» la Croce Rossa. Neanche contro la sua privatizzazione, ma proprio contro la Cri.

Ma guardali un po’ sti maledetti “estremisti di destra”, ora si mettono davvero a sparare sulla Croce Rossa!

Peccato che l’azione, in realtà, sia stata tentata esattamente in difesa della Cri. “Per”, altro che “contro“. Una semplice parola, utile però a presentare in maniera differente i fatti considerata la stima di cui gode l’ente in questione.

Vi sono poi le solite invenzioni, come il “lancio di un fumogeno” in stile guerriglia urbana che, secondo Claudio Del Frate sul Corriere online, avrebbe provocato l’incendio.

Ora, posto che non ha nessun senso lanciare una torcia colorata, così come è stato spiegato dall’Ansa e dalle altre testate, oltre che dalla stessa CasaPound, che ha prontamente diffuso un comunicato, non c’è stato nessun lancio, ma semplicemente – come detto – si è trattato di qualche scintilla che ha provocato un guaio serio.

Quanto alle motivazioni della protesta, l’Ansa così come Repubblica, Libero, la Gazzetta di Mantova (che poi però pubblica il comunicato di CasaPound) ed il Giornale di Brescia, non ne danno conto. Non sono evidentemente ritenute importanti e, del resto, senza incendio la vicenda non avrebbe avuto lo stesso spazio mediatico, come accaduto in passato.

Il Corriere, infine, su oltre 1800 battute, ne occupa soltanto 186 per spiegare il perché della contestazione.

In conclusione, dare notizia dell’accaduto è ovvio, non contestualizzare lo è un pò meno ma sarebbe preferibile al travisamento ed alla strumentalizzazione di qualsiasi cosa ruoti attorno ad una sigla sgradita.

Di seguito la nota diffusa da CasaPound:

http://www.casapounditalia.org/2013/06/cri-blitz-di-casapound-privatizzazione.html