Nel 2010, all’interno del Ministero dell’Interno, veniva creato l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2017, con 1048 presunti reati d’odio denunciati, in aumento rispetto ai 736 dell’anno precedente. Non sono disponibili cifre a proposito delle condanne relative all’anno 2017 né agli anni precedenti, ma sono invece disponibili i numeri relativi al 2016: ebbene, su 736 denunce per crimini d’odio, solo 424 si sono trasformate in processo e – udite udite – appena in 31 casi si è arrivati ad una sentenza di condanna.
A parte questo organismo che procede direttamente dal Ministero dell’Interno, presso il Dipartimento alle Pari opportunità esiste un Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) e, nel 2011, tra questi due uffici veniva firmato un protocollo d’intesa per lavorare insieme, scambiarsi informazioni e lavorare a specifici progetti della “Rete delle antenne territoriali contro le discriminazioni razziali”, promossa dall’Unar grazie al “Fondo europeo per l ‘integrazione dei cittadini provenienti dai Paesi Terzi”.
A parte Oscad, registrano questo tipo di dati numerose altre associazioni (tra le altre citate dall’Osce ci sono Lunaria e l’Osservatorio sull’antisemitismo) e si parla, quanto al 2017, genericamente di 155 incidenti (inclusi quelli attribuiti ad omofobia), tra le quali le aggressioni sarebbero meno della metà, delle quali non si conosce l’entità, né l’eventuale esito giudiziario.
Oltre alla miriade di osservatori e associazioni private e ai già citati dipartimenti e osservatori governativi, esiste poi una Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) – che conduce anch’essa ricerche su discriminazione, crimini d’odio e hate speech -,l’Intergruppo parlamentare Anti-Razzismo e Diversità (ARDI) – costituito nel parlamento europeo per monitorare la situazione negli stati membri e lavorare all’eliminazione delle discriminazioni – e c’è un Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale (Cerd) delle Nazioni Unite, che controlla l’attuazione da parte degli stati membri.
Infine, c’è da ricordare che soltanto nel 2016 veniva istituita alla Camera dei Deputati la cosiddetta “Commissione ‘Jo Cox’ su fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia e razzismo“, che proponeva la sua relazione finale il 6 luglio 2017, dopo 14 mesi di “lavoro”, qualche sondaggio raccolto e pochi, pochissimi, dati concreti. Ma il capitolo “curioso” della relazione finale è quello intitolato “Parole per ferire“, una enciclopedica raccolta di parole “stereotipanti” e variamente offensive tra le quali è catalogato anche il termine “americanata” o altre parole del genere.
Ecco tutte le ragioni per cui la Commissione parlamentare ‘contro l’odio’ – appena istituita dal Senato, con i 155 voti favorevoli di M5S e Pd, l’astensione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (non senza malumori) e 98 contrari – è, innanzitutto, l’ennesimo organo inutile, parolaio e intriso di retorica di cui non c’era nessun bisogno.
Ma, a parte la sua inutilità e ridondanza, il dato essenziale è che la nuova Commissione non nasce per combattere gli atti di razzismo ma ha una impostazione ideologica che mira a ridefinire il concetto di razzismo, prescindendo dal concetto di razza, per criminalizzare il populismo, il sovranismo e, in pratica, chi non è di sinistra, chi vuole una regolamentazione dei flussi migratori, chi vuole difendere il concetto di cittadinanza.
Una impostazione, dunque, sostanzialmente e pericolosamente liberticida.Senza contare che non si può pensare di legittimare l’istituzione di una commissione con il sensazionalismo legato al nome della proponente (la senatrice a vita ebrea Liliana Segre), anziché su utilità effettiva, rapporto costi benefici e contenuti concreti.
Ma, venendo ai contenuti, ci chiediamo innanzitutto: sulla base dei pochi dati disponibili (del tutto assenti dalla mozione), come è possibile che il testo approvato descriva l’Italia come fosse la Germania nazista degli anni Trenta?
“Negli ultimi anni”, si legge nel testo, “si sta assistendo ad una crescente spirale dei fenomeni di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e neofascismo, che pervadono la scena pubblica accompagnandosi sia con atti e manifestazioni di esplicito odio e persecuzione contro singoli e intere comunità”.
Approvare una mozione che parte così è già un’offesa grave al popolo italiano, ma non è tutto.
La mozione non fa riferimento solo a reati (per i quali gli organi giudiziari già hanno gli strumenti legislativi necessari per fare il proprio dovere) ma, appunto, anche a comportamenti “non sempre sono perseguibili sul piano penale” ma che “comunque costituiscono un pericolo per la democrazia e la convivenza civile”. Una deviazione in termini dal diritto e dalla presunzione di innocenza molto grave.
Quanto all’hate speech a cui si fa riferimento, proponendo una codificazione sulla base della raccomandazione n. 97 europee del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 30 ottobre 1997, è chiaro che il discorso sconfina nella criminalizzazione del pensiero (che in parte già esiste nell’ordinamento). Non si tratta, infatti, di combattere aggressioni, minacce e altre forme di violenza razzista o discriminatoria. Il dito, infatti, è genericamente puntato contro “tutte le forme incitamento o giustificazione dell’odio razziale” e “discriminazione verso minoranze e immigrati sorrette da etnocentrismo o nazionalismo aggressivo”. Concetti un po’ vaghi e variamente interpretabili, ma che si estendono indubbiamente molto al di là della violenza.
Lo slogan leghista “Prima gli italiani”, ad esempio, potrebbe essere considerato etnocentrista, la lotta contro l’immigrazione clandestina potrebbe essere valutata come incitamento all’odio razziale.
La mozione Segre, insomma, ha natura esplicitamente politica: “incitamento è anche sostenere azioni come l’espulsione di un determinato gruppo di persone dal Paese”. Battersi per il rimpatrio dei clandestini potrebbe essere quindi hate speech.
Non si tratta di monitorare ‘l’odio’ (che fa già ridere così) ma il tentativo di imporre per legge un pensiero unico, vietando insieme ai discorsi d’odio “anche i nazionalismi e gli etnocentrismi”, “gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi”, sulle quali definizioni, ovviamente, decidono loro.
Matteo Salvini ha giustamente dichiarato: “Siamo contro razzismo, violenza, odio e antisemitismo senza se e senza ma, tuttavia non vorremmo che qualcuno a sinistra spacciasse per razzismo quello che per noi è convinzione e diritto ovvero il ‘prima gli italiani’: non vogliamo bavagli e stato di polizia che ci riportano a Orwell.
Sullo stesso tono Fdi, che sottolinea l’ambiguità nell’includere nazionalismo ed etnocentrismo: “Chi attacca una donna che da ragazza ha vissuto il dramma della deportazione in un campo di concentramento non soltanto è un vigliacco ma è anche un idiota. Fratelli d’Italia non ha votato a favore dell’istituzione della Commissione perché non è una commissione sull’antisemitismo, come volevano far credere, ma una commissione volta alla censura politica”, ha commentato infatti il senatore Giovanbattista Fazzolari.
Il tutto mentre Pd e M5S preferivano proseguire sulla linea della retorica, pericolosamente alimentando la demonizzazione degli avversari come pericolosi razzisti: “Che vergogna questa destra sempre più a trazione Salvini che cede alla piazza San Giovanni piena d’odio, rancore e violenza e boccia la commissione. E poi diteci che non c’è differenza tra destra e sinistra”, ha dichiarato il segretario Pd Nicola Zingaretti. Mentre i senatori grillini parlavano di “becero fanatismo” e i deputati di “un violento attacco ai valori fondanti della Repubblica”. Dimenticando le mozioni presentate proprio da Lega e Fdi e respinte perché non ideologizzate politicamente.
Già la Commissione precedentemente istituita e a cui abbiamo fatto cenno, del resto, parlava di una ridefinizione del razzismo, dando ampio margine alla possibilità di tacciare di razzismo qualcuno. Nella relazione finale, infatti, era possibile leggere: “si diffonde un razzismo culturale o “sottile”, che pur non basandosi più apertamente sulla “razza”, fa delle differenze culturali un motivo di pregiudizio, separazione e discriminazione. Si considerano gli altri comunque “diversi” (e inferiori) non più per il colore della pelle ma per il colore della cultura e dei modi di vivere”. E ancora: “Si impone ormai una visione razzista differenzialista, secondo la quale la differenza culturale inevitabilmente impedirebbe la convivenza”.
Insomma, se non siete razzisti ma la pensate diversamente sulla questione sociale, per impedirvi di esprimervi liberamente basterà cambiare la definizione di razzismo. Non si potrà così dire che qualcuno ha una religione diversa, un’idea di Stato diverso, che crede in cose diverse. Tutto questo sarà considerato razzismo.
Non ne siete convinti? Ecco un altro passaggio della citata relazione parlamentare che è essenziale per capire dove si vuole andare a parare, come è già chiaro dai paragrafi della mozione Segre che abbiamo evidenziato: “Il differenzialismo è l’ideologia utilizzata oggi per negare legittimità ai fenomeni migratori, considerati come fattori negativi e destabilizzanti nelle relazioni internazionali e nella vita sociale. Le ideologie populiste e nazionaliste che valorizzano molto il fattore etnico-nazionale, considerato come unico parametro identitario, minano i valori della convivenza democratica come libertà, uguaglianza e solidarietà sociale sui quali è basata l’Unione europea”. E ancora: “In primo piano emerge anche la competizione per le risorse: casa, servizi sociali, lavoro. Più della metà della popolazione ritiene che gli italiani dovrebbero avere la precedenza nell’assegnazione della casa o nel posto di lavoro”.
Si tratta molto chiaramente di un attacco politico, di un attacco al “populismo”, al “sovranismo”, alla sovranità. Del tentativo comune alla sinistra di vincere grazie al mezzo giudiziario impedendo per legge un pensiero alternativo al proprio.
E non si tratta di fantasie, se Facebook, tra gli applausi della sinistra, dopo aver bloccato le pagine ufficiali di CasaPound (legalmente presente alle elezioni) e altre organizzazioni, oltre ai profili privati di responsabili e militanti, ha questa mattina addirittura chiuso la pagina di un giornale, “Il Primato Nazionale”, seguito su Facebook da ben 80mila persone, presente nelle edicole con un mensile.
La censura non è un’ipotesi, è già realtà.
Emmanuel Raffaele Maraziti