Il sindaco di Londra: “chiedere scusa per il massacro di Amritsar”. Sadiq Khan contro l’impero britannico

Dobbiamo riconoscere che non ci siamo sempre comportati bene in passato: dovremmo chiedere scusa“. In visita alla città di Amritsar, nello stato indiano del Punjab, il sindaco di origini pakistane di Londra, Sadiq Khan, ha chiesto al governo britannico di scusarsi per il massacro del 13 aprile del 1919. Continua a leggere

Musulmano di origini pakistane, ecco il nuovo sindaco di Londra

sadiq-khan-london-mayor-election-2016Sadiq Khan ce l’ha fatta. E, a parte il caos che non ti aspetti dalla proverbiale efficienza britannica registratosi nel quartiere di Barnet, con liste elettorali incomplete e centinaia di elettori che in un primo momento non hanno potuto esprimere il proprio voto (tra questi Ephraim Mirvis, rabbino capo delle Congregazioni ebraiche unite di tutto il Commonwealth), tutto è andato come previsto. Già parlamentare e, dunque, non nuovo ai successi elettorali, per lui l’ultima sfida è stata senz’altro quella mediaticamente e storicamente più importante: conquistare la City Hall, diventare il primo sindaco mussulmano di Londra.

Laburista, favorevole alla permanenza all’interno dell’Unione Europea, padre di due figli, avvocato per i diritti umani, il quarantacinquenne di origini pachistane, cresciuto nelle periferie londinesi, quinto di otto figli di un conducente d’autobus, ha infatti vinto sul rivale conservatore di origini ebraiche Zac Goldsmith con il 56,8 % dei voti, contro il 43,2 % del suo avversario, 1.310.143 voti per l’uno e 994.614 per l’altro. Una maggioranza conquistata con i “voti di riserva” a disposizione dei votanti della capitale britannica (5.739.011 milioni, appena il 45,6 % degli elettori, molti di più, in ogni caso, rispetto al 38,1 % del 2012), che in prima battuta avevano assegnato ai due contendenti percentuali, rispettivamente, del 44,2 % per Khan e del 35 % per Goldsmith, mentre in seconda hanno assegnato al candidato laburista ben il 65,5 % delle seconde preferenze (soltanto il 34,5 % il suo avversario). Il sindaco che governa l’area della Grande Londra – istituzione esistente dal 2000, ricoperta per i primi due mandati dall’indipendente poi laburista Ken Livingstone, oggi al centro delle polemiche sull’antisemitismo nel partito, e per altri due mandati dal conservatore Boris Johnson, in prima linea nella campagna referendaria per lasciare l’Unione Europea, deciso a scalare il partito e diventare primo ministro sostituendo il conservatore David Cameron, favorevole invece alla permanenza nell’Ue – si sceglie infatti col metodo del voto suppletivo. In pratica, gli elettori hanno a disposizione due voti di preferenza, dei quali uno è appunto di riserva e viene conteggiato soltanto nel caso nessuno raggiunga la maggioranza assoluta. E così, grazie ad un sistema elettorale che evita il turno di ballottaggio, unico nel Regno Unito a permettere di scegliere direttamente un sindaco, il candidato favorito fin dalla vigilia in quanto rappresentante delle tantissime e forti “minoranze” di Londra, ha sconfitto il candidato repubblicano in una campagna elettorale incentrata soprattutto sul tema della casa, della sicurezza ed, a seguire, da quello dei trasporti e della tassazione. Volutamente poco spazio è stato dato, invece, alla questione “brexit”, che i candidati, con visioni del tutto opposte in merito, hanno preferito non trasformare in strumento divisivo per la loro campagna elettorale, che avrebbe dato al voto amministrativo un significato probabilmente troppo politico.

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Khan insieme al suo rivale Goldsmith

Khan ce l’ha fatta, nonostante lo “scandalo” scoppiato a pochi giorni dalle elezioni all’interno del partito laburista, accusato strumentalmente da più parti di ospitare troppi personaggi a vocazione antisemita. Ce l’ha fatta nonostante la campagna di Goldsmith che ha tentato di mettere in dubbio l’affidabilità del candidato mussulmano, ricordando i contatti e gli eventi insieme ad esponenti del fondamentalismo islamico, tanto che l’Evening Standard era giunto a scoprire la sua partecipazione ad un convegno in cui le donne erano costrette ad ingresso e sistemazione separata dagli uomini (non male per uno che si presenta come “femminista”). A suo dire favorevole ai diritti gay, al contrario della maggioranza dei mussulmani del Regno Unito, Khan ha promesso di costruire almeno 80mila case popolari per rispondere ad un’emergenza che a Londra si fa sentire, se possibile, più che altrove anche a causa di affitti tra i più cari del mondo. Il neo-sindaco promette inoltre di pedonalizzare Oxford Street, ampliare le restrizioni contro le emissioni nelle zone uno e due, piantare due milioni di alberi e congelare le tariffe dei trasporti, in polemica col rivale che ha giudicato la promessa pericolosa per gli investimenti pubblici nel settore, nonostante avesse a sua volta garantito di non aumentare invece la cosiddetta “council tax”, iniziativa ritenuta impraticabile dal candidato laburista. «Quando i miei genitori sono arrivati», ha dichiarato Khan in un’intervista tempo fa, «qui c’erano cartelli con su scritto ‘No neri, no irlandesi, no cani’. Con la generazione successiva, io ho sofferto abusi e ho lottato per questo e venivo insultato. Le mie figlie vivono a cinque minuti dalla zona in cui sono cresciuto e non hanno mai subito discriminazioni razziali. Questo è il progresso che è stato fatto in trent’anni. Questo è il bello di Londra». Il neo-sindaco aveva anche osservato: «Quando ero più giovane non si vedevano donne con l’hijabs o il niqabs, neanche in Pakistan». Una radicalizzazione dell’Islam, dunque, che egli non riconosce come parte integrante della cultura mussulmana. Cresciuto in una famiglia non certo benestante, Khan proprio su questo ha costruito il suo punto di forza contro un avversario appartenente invece ad una famiglia ricca e potente, puntando contemporaneamente a proporsi come «il sindaco di tutti», spingendo sul suo partito contro le “derive antisemite” e criticando addirittura apertamente il leader Jeremy Corbyn – in questi giorni bersagliato da vignette e satira di ogni tipo – per non aver fatto abbastanza per arginare il fenomeno. «Mi piace il fatto che Londra sia la casa di 140 miliardari. Sono contento che ci siano 400.000 milionari», ha affermato durante la campagna elettorale Khan.

Ma lui, dal Pakistan, questa città di super ricchi, ormai centro della finanza mondiale, l’ha conquistata, segnando simbolicamente per sempre la trasformazione sociale della grande metropoli un tempo europea. Zac Goldsmith, che di quel mondo è un po’ l’emblema, preparato al risultato, ha incassato senza batter ciglio.  Nessun impero cade quando è ancora in forze: la corrosività e l’evanescenza del mondialismo non possono che fare da ponte all’affermarsi di identità forti, laddove quelle locali sono smarrite. Londra non poteva regalarci sfida migliore per raccontarci il nostro futuro. Perché, al di là delle persone, il voto a Goldsmith e Khan oggi rappresenta tutto questo.

Emmanuel Raffaele, 7 mag 2016

Ebreo o mussulmano: chi sarà il prossimo sindaco di Londra?

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Sadiq Khan

Zac Goldsmith, 41 anni, ebreo, figlio di Sir James Goldsmith, appartenente ad una importante e ricchissima dinastia di banchieri di origine tedesca. Oppure Sadiq Khan, 45 anni, mussulmano, avvocato per i diritti umani, quinto di otto figli di un conducente di autobus pakistano immigrato con la moglie a Londra negli anni Sessanta. Il primo corre per i conservatori, il secondo per i laburisti e sarà con ogni probabilità uno tra loro due il prossimo sindaco di Londra.

In effetti, sembra che a ricalcare e forse accentuare gli stereotipi destra/sinistra ce l’abbiamo proprio messa tutta nella capitale britannica, che il prossimo 5 maggio, unica città del Regno Unito a scegliere tramite elezioni, si appresta ad eleggere il sindaco che succederà a Boris Johnson, conservatore nonché uno dei maggiori oppositori di David Cameron nella battaglia per l’uscita dall’Unione Europea.

Da una parte il mondo della finanza e la lobby ebraica (?), dall’altra uno che viene dal popolo, per di più figlio di immigrati, come se non bastasse islamico. Stereotipi che molto probabilmente non significano nulla per due politici esperti, già parlamentari, che stanno portando avanti entrambi una campagna come si conviene ad una città come Londra: lisciando il pelo a tutte le minoranze possibili e non solo.

Tanto che, scorrendo le visitatissime pagine Facebook dei candidati, che viaggiano entrambi poco al di sotto dei 90mila like, è tutto un moltiplicarsi di visite a sinagoghe, chiese cristiane, comunità sikh, tamil e chi più ne ha più ne metta, auguri per il nuovo anno bengalese, festività induiste d’improvviso balzate al centro delle loro preoccupazioni e così via. Un vero e proprio specchio del melting pot londinese e della tipica strategia elettorale democratica in salsa post-identitaria. Senza contare l’intervista doppia rilasciata al magazine modaiolo “Vogue”, nel corso della quale entrambi hanno promesso ovviamente grande impegno per lo sviluppo di un settore che contribuirebbe per 35 miliardi all’economia londinese, e la visita di poche ore fa da parte di Goldsmith ad un’associazione che cura cani e gatti randagi. Tutto e il contrario di tutto, insomma.

Zac Goldsmith
Zac Goldsmith

Anche se la sfida sembra aver una tendenza fin troppo etnica per un bianco, ricco, “conservatore” ebreo, che infatti è considerato sfavorito. Nel futuro prossimo di Londra, capitale della finanza per eccellenza, sembra infatti esserci un sindaco mussulmano, a conferma dello sposalizio felice tra la sinistra e le culture allogene, ma anche tra destra liberale e mondo della finanza. Alternative che lasciano poco spazio al tifo per l’uno o per l’altro schieramento.

Il tema del terrorismo, ovviamente, non poteva non essere al centro del dibattito. Reso ancora più attuale dagli attentati di Parigi, Bruxelles e comunque centrale in una città simbolo dell’Occidente, principale alleato europeo degli Stati Uniti, che ha già subito gravi attentati ed ha fornito parecchi foreign fighters alla causa jihadista. A rendere il dibattito ancora più vivace, però, ci si sono messi proprio i due candidati, con alle spalle questioni personali che hanno dato modo ad entrambi di rimpallarsi le accuse. Su Khan, ovviamente, pende la pregiudiziale religiosa, ma anche il suo ruolo di avvocato per i diritti umani, che lo ha portato a difendere o esporsi a favore di personaggi discussi, come Yusuf al-Qaradawi, accusato di volere lo sterminio degli ebrei e la condanna a morte per gli omosessuali, ma anche di aver preso parte a conferenze in compagnia di Yasser al-Siri, condannato per terrorismo, e Sajee Abu Ibrahim, membro di un altro gruppo terroristico. Anche Goldsmith, d’altronde, è finito sul banco degli imputati a causa della vicinanza ed il sostegno ricevuto dal suo ex cognato, Imran Khan, elemento di spicco del Movimento Pakistano per la Giustizia, in passato al centro delle polemiche per il sostegno alla causa dei Talebani. Imran Khan, infatti, in occasione della visita in ospedale di Malala Yousafzai, aveva affermato: “Il popolo dell’Afghanistan che lotta contro un’occupazione straniera, sta combattendo una guerra santa”. Miliardario anch’egli, sposato in passato con Jamina Goldsmith, ex capitano della nazionale di cricket e spesso al centro delle cronache mondane inglesi, è leader di un partito che, però, non ha mancato di portare avanti iniziative all’insegna del fondamentalismo religioso nelle scuole.

Imran Khan
Imran Khan

Singolare che proprio Goldsmith abbia dovuto a più riprese difendersi dalle accuse di islamofobia ed abbia puntato molto sul pericolo rispetto al terrorismo rappresentato dal suo avversario, il quale da parte sua giura che metterà la città “sul piede di guerra” contro ogni pericolo estremista.

Al di là degli stereotipi e dei colpi tipici di una campagna elettorale molto sentita, quindi, resta un dato di fatto: il fondamentalismo islamico è molto più forte e molto più radicato in Occidente di quanto dall’Italia si possa credere e, paradossalmente, come dimostra l’influenza saudita nella finanza britannica, ciò potrebbe non seguire linee di divisione troppo scontate.

Khan, del resto, ha tirato fuori al momento opportuno la storia del padre conducente e sta spingendo molto sull’immaginario dello straniero che arriva in Gran Bretagna e realizza i suoi sogni partendo dalla periferia sud di Londra. Ma si sta anche sforzando di non spaventare troppo i ricchi: “Mi piace il fatto che Londra sia la casa di 140 miliardari. Sono contento che ci siano 400.000 milionari”. Anche questa è diversità, anche questa è Londra, spiega, ricordando chi, invece, è costretto a fare due o tre lavori per sopravvivere. “Sarò il sindaco di tutti i londinesi”, promette.

Nessuno, d’altronde, può pensare di vincere a Londra con una campagna “settaria”. E così, ecco la caccia al consenso delle minoranze, i colpi duri di Goldsmith per conquistare il voto asiatico prospettando posizioni avverse da parte dei laburisti, la sfida a chi costruisce più case popolari. Khan ne promette almeno 80mila, con un affitto di un terzo del reddito medio locale e facilitazioni per l’acquisto; più “prudente”, Goldsmith ne vorrebbe costruire 50mila. Khan, inoltre, vorrebbe portare a £10 il salario orario minimo nella costosissima città di Londra, piantare circa due milioni di alberi, estendere all’intera zona uno e due le restrizioni relative alle Ultra Low Emissions, pedonalizzando tra l’altro la famosa Oxford Street. Promette, inoltre, di non aumentare le tariffe per il trasporto pubblico fino al 2020, mentre – sostiene – con Goldsmith subiranno un incremento del 17%. Da parte sua, però, Goldsmith intende congelare la cosiddetta “council tax” ed evidenzia, invece, il parere contrario del suo rivale, facendo notare anche che le politiche sui trasporti di Khan provocherebbero un buco negli investimenti necessari al miglioramento del servizio.

Euroscettico di lungo corso, Goldsmith promette 500mila nuovi posti di lavoro, un forte incremento della presenza di agenti di polizia a sorvegliare la Tube (mentre Khan pensa a rendere più efficace e continua la videosorveglianza), mandando avanti il piano che la porterà a breve a funzionare per tutta la notte, investimenti in nuovi piccoli parchi cittadini, piste ciclabili ed una rivoluzione energetica, con l’incremento dell’utilizzo dell’energia solare e, almeno su questo, nessuno ne dubita dal momento che il suo fratello minore, Ben, ha investito molto in una compagnia del settore, la Engensa, tanto da far intervenire il fratello maggiore in parlamento contro i tagli ai finanziamenti, in un conflitto d’interessi denunciato da “The Guardian”.

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La polemica tra i due, invece, è stata diretta proprio sulla questione dell’emergenza abitativa, laddove Khan ha attaccato Goldsmith, colpevole secondo il candidato laburista di approvare un piano del governo secondo il quale 450mila sterline sarebbero un prezzo accessibile per l’acquisto di una casa. Deciso a limitare le costose tariffe per gas e luce nella capitale inglese, Khan ha anche avuto modo di garantire il suo impegno nel riequilibrare il gap di genere nelle retribuzioni, dichiarando: “sarò fieramente femminista”. A questo proposito, Sadiq Khan si è anche dichiarato contrario al velo integrale nel servizio pubblico, spendendosi in una riflessione significativa: “Quando ero più giovane non si vedevano donne con l’hijabs o il niqabs, neanche in Pakistan”. Una radicalizzazione, fa notare, sviluppatasi col tempo nell’ambiente islamico mentre, al tempo stesso, sono sparite le discriminazioni razziali da parte della società inglese: “Quando i miei genitori sono arrivati qui c’erano cartelli con su scritto ‘No neri, no irlandesi, no cani’. Con la generazione successiva, io ho sofferto abusi e ho lottato per questo e venivo insultato. Le mie figlie vivono a cinque minuti dalla zona in cui sono cresciuto e non hanno mai subito discriminazioni razziali. Questo è il progresso che è stato fatto in trent’anni. Questo è il bello di Londra”.

Da notare, per inciso: gli inglesi che esponevano cartelli contro neri, irlandesi e cani, sono gli stessi che hanno giudicato gli errori del regime fascista di qualche decennio prima con la consueta superiorità morale tipicamente liberale. Oggi è quella stessa società che giura e che forse ha davvero messo da parte il razzismo ad essere terreno fertile per la radicalizzazione islamica. Non sarà che, forse, qualcosa non va alla radice?

Emmanuel Raffaele, 20 apr 2016