“Dobbiamo riconoscere che non ci siamo sempre comportati bene in passato: dovremmo chiedere scusa“. In visita alla città di Amritsar, nello stato indiano del Punjab, il sindaco di origini pakistane di Londra, Sadiq Khan, ha chiesto al governo britannico di scusarsi per il massacro del 13 aprile del 1919. In quella occasione, infatti, i soldati inglesi (e le unità nepalesi), su ordine del generale Reginald Dyer, fecero fuoco senza alcun preavviso su una manifestazione a cui avevano preso parte migliaia di persone, a Jalianwalla Bagh, nel cuore della città. La protesta faceva seguito ad altre dure contestazioni seguite al “Rowlatt Act“, attraverso il quale il governo della Corona rendeva stabili alcune misure d’emergenza introdotte con lo scoppio della prima guerra mondiale e che limitavano le libertà nell’allora colonia dell’Impero Britannico.
Proprio il raduno, avvenuto in occasione di un comizio in un parco praticamente circondato da mura su ogni lato, infrangendo il divieto severo di riunirsi, diede così adito all’esercito di impedirne lo svolgimento con la forza. Fu un massacro. Per dieci minuti i militari spararono sulla folla inerme: quasi quattrocento i morti, poco meno di milleduecento i feriti.
Traditi dopo la partecipazione allo sforzo bellico, gli indiani seguirono così Ghandi nella sua rivoluzione non violenta che li portò all’indipendenza. “Una delle cose belle di Londra”, ha aggiunto il primo cittadino della capitale inglese, “è che cristiani, ebrei, musulmani, induisti e sikh vivono insieme pacificamente, rispettandosi a vicenda”. Del resto, il massacro di Amritsar non è certo l’unica nefandezza nella storia di quell’impero, responsabile anche dell’invenzione dei campi di concentramento in Sud Africa. Eppure, con la vittoria nella seconda guerra mondiale proprio loro hanno contribuito a fare del fascismo il male assoluto, lasciando tutto il resto alle pagine di cronaca della storia.